Le performance politico tattiche dei partiti che costituiscono il moderno Circo Barnum hanno caratterizzato l’inizio della campagna elettorale (uno spettacolo indecente che disgusta, ma anche confonde gran parte delle cittadine e dei cittadini del nostro paese) non sono altro che il riflesso perverso di una situazione politica e sociale drammatica in cui le classi lavoratrici hanno perso da tempo un ruolo attivo da protagoniste, sia sul piano di una efficace azione sindacale rivendicativa, sia dal punto di vista dell’organizzazione politica, cioè della presenza di una forza di sinistra ben radicata in grado di difenderne gli interessi immediati e di medio periodo sul terreno politico.
Arlecchini di un solo padrone
Questa situazione d’impasse che si prolunga da anni anche di fronte a un quadro sociale drammatico, caratterizzato da una crescente povertà, da una precarietà sempre più generalizzata del lavoro, dalla dominanza delle politiche liberiste e da polarizzazioni sociali insopportabili che pure dovrebbe chiamare alla insorgenza le lavoratrici e i lavoratori, permette alle diverse forze borghesi di dominare completamente la scena politica e tanto più quella elettorale. I loro scontri “titanici” mediatici, le manovre e contro manovre, l’affermazione dei diversi capi e capetti del cosiddetto centro, servono a costoro a garantirsi la presenza quotidiana sui giornali e le televisioni, a “dimostrarsi” come i più utili gestori e servitori degli interessi dei padroni, a costruirsi consensi popolari attraverso programmi (o più precisamente slogan elettorali), il più delle volte fasulli e ingannevoli, ma molte volte anche significativamente indicativi a quali pance intendono parlare (vedi la flat tax di Berlusconi e Salvini).
Nel frattempo la classe sociale responsabile di tutto questo scempio, cioè la borghesia, il capitale, resta fuori dalla scena, non viene mai chiamata in causa, anzi i suoi giornali possono anche prodursi in ipocriti editoriali di denuncia delle debolezze e delle malefatte dei suoi stessi partiti e delle difficoltà a costruire una direzione politica coerente ed efficace. E sullo sfondo devono rimanere anche gli enormi utili delle grandi aziende, dall’Eni all’Enel e al Prysmian Group (settori cavi e energia) da Stellantis alla Brembo, dalla Leonardo alla Ferrari, da |Unicredit ad Intesa, fino a Poste italiane, tanto che la stessa La Repubblica è costretta a titolare “Una messe di profitti”.
Il pericolo delle destre reazionarie e fascisteggianti e le questioni mal poste
Sul futuro delle classi lavoratrici incombe il ruolo politico, sociale e di governo delle destre e delle estreme destre padronali, razziste ed anche fascisteggianti, la cui coalizione viene data largamente vincente da tutti i sondaggi elettorali con un ruolo egemone di FdI.
Il pericolo che corre il nostro paese è grande: una vittoria di queste forze e un loro governo non potranno che comportare nuove terribili difficoltà per le classi subalterne a partire dai settori più deboli, dalle/dai lavoratrici/tori migranti, dai poveri e disoccupati e dalle donne.
Non ci può essere alcuna sottovalutazione: il dopo elezioni sarà comunque diverso e ancora più difficile sul piano sociale, economico ed istituzionale e bisogna prepararsi a fronteggiare le nuove sfide. Un governo di FdI a 100 anni dalla marcia su Roma susciterà le peggiori dinamiche, si moltiplicheranno i casi come quello di Civitanova Marche e ogni sorta di sopraffazione poliziesca, fascista e razzista troverà spazi più ampi e vergognose giustificazioni mistificanti.
Di fronte a questa prospettiva sono in molti, intendo soggetti sociali, politici ed intellettuali, che si sono esercitati in queste settimane in appelli, articoli ed in improbabili proposte tecniche elettorali di alleanze per cercare di prevenire o impedire una vittoria eclatante delle destre come quella annunciata. Qualcuno anche spera che qualche rivendicazione sociale o una maggiore attenzione verso le periferie (elementi certo lodevoli se coniugati in una ottica non solo elettorale) possano spostare il baricentro dei consensi o attivare settori oggi del tutto passivi.
Diciamo subito che tutti questi ragionamenti sono mal posti o sono del tutto irreali; soprattutto sono poco corretti perché gli autori non vogliono individuare e comprendere le ragioni che hanno prodotto la diffusa egemonia di ideologie reazionarie nella società, la demoralizzazione e il rancore che spingono verso le destre estreme.
Leggendo molti interventi viene infatti da chiedersi: ma costoro dove stavano in questi anni? Perché non hanno mosso un dito contro le politiche dell’austerità? O se le hanno più o meno criticate, perché hanno continuato a sostenere coloro che le hanno gestite? Perché hanno creduto in Draghi ed anche oggi continuano a vedere in lui, grand commis del padronato, il taumaturgo della crisi italiana? Come si può pensare che quegli stessi che da venti anni hanno picconato in vario modo la Costituzione del 1948, riuscendo già a stravolgerla in alcune parti fondamentali, quelli che stanno portando avanti col governo Draghi la micidiale e divisiva “autonomia differenziata”, possano prendersi cura della difesa della Costituzione, dei diritti democratici che ancora in parte preserva (ma ben poco rappresentati nei sistemi elettorali) e delle indicazioni sociali presenti, anche se vilipese dalle controriforme sociali ed economiche degli ultimi 30 anni?
Come si può pensare di affrontare un problema sociale e politico enorme, che è la presa di massa delle forze dell’estrema destra, con dei marchingegni elettorali, con alleanze con quegli stessi che ritengono caduca la costituzione del 1948 non adatta alle necessità della concorrenza della mondializzazione?
Qualcuno poi dovrebbe spiegare perché Fratelli d’Italia che nelle elezioni politiche del 2018 raccolse poco più del 4% dei voti e nelle elezioni europee del 2019 il 6,5% e che ancora al momento dell’insediamento del governo Draghi viaggiava intorno al 10%, oggi sia dato al 23% grazie a un’abile, se pur finta opposizione politica, tanto che la sua leader rivendica ai 4 venti la Presidenza del Consiglio! Stiamo parlando di un di un partito, che ha nel simbolo la fiamma fascista e la bara di Mussolini!
Forse le politiche condotte in questi ultimi anni dalle forze governative di Draghi non erano poi così buone, se nuovi settori sociali guardano all’estrema destra alla ricerca di un’alternativa, non solo falsa, ma pericolosissima per il futuro del paese.
Qualcuno di questi soggetti dovrebbe sforzarsi di capire che le fortune attuali delle organizzazioni reazionarie e fasciste si spiegano non solo con il vuoto politico a sinistra, ma anche con la subalternità al capitale delle burocrazie delle grandi organizzazioni sindacali, che in tutti questi anni non hanno neanche provato a difendere seriamente le condizioni di vita e di lavoro delle classi proletarie, accontentandosi del “tavolo delle trattative”, rifiutandosi di costruire seriamente e in modo sistematico il conflitto e la lotta sociale su obiettivi di classe alternativi. Sarebbe stato il miglior antidoto alla propaganda delle destre e dei fascisti.
Senza lotta sociale vince la Meloni
In mancanza di un’attività sociale di classe sono le ideologie e la propaganda dei media che inevitabilmente condizionano la coscienza delle classi subalterne. Solo la partecipazione, le esperienze di lotta, la discussione su contenuti e piattaforme alternative determinano la coscienza di classe, la comprensione della propria collocazione nella società, una coscienza civile, democratica, collettiva e socialista. E’ da tutto ciò che nasce la volontà e la necessità di costruire un’altra società, che spinge a dare forza alle organizzazioni sociali e politiche che pongono questo compito e a capire chi sono i falsi amici e naturalmente i nemici da combattere.
Ma quando sono gli stessi dirigenti sindacali che accettato la logica della concorrenza capitalista, cioè la concorrenza tra i lavoratori, quando si è fatto poco o nulla per impedire la controriforma Fornero o quelle sul lavoro di Renzi, quando si dimentica di denunciare ogni giorno gli insopportabili livelli di sfruttamento padronale, quelli delle campagne, ma anche quelli della logistica dove la repressione padronale e quella statuale si congiungono per colpire le lotte dei lavoratori, allora si aprono vere e proprie autostrade all’azione dei reazionari e dei fascisti.
La battaglia contro le destre va fatta con grande forza nella campagna elettorale, ma va fatta non solo rispetto all’indicazione di voto, ma soprattutto lavorando per attivare le mobilitazioni su contenuti alternativi su cui costruire l’insorgenza e la convergenza delle sfruttate e degli fruttati. I capitalisti, anche se preferirebbero per le loro esigenze un nuovo governo Draghi, non avranno alcuna difficoltà a utilizzare le forze della coalizione reazionaria contro i lavoratori.
Ma dovremo nello stesso tempo indicare quelli che sono i falsi amici, quelli che più o meno si pretendono di sinistra, ma che altro non sono che una delle espressioni della classe dominante.
Se non saremo capaci di fare campagna politica e campagna sociale si perderà due volte, sia perché il risultato elettorale sarà particolarmente brutto, sia perché ancora maggiori saranno le difficoltà a reggere con le lotte l’urto di un governo dell’estrema destra o di un nuovo di governo tecnocratico, autoritario, espressione diretta del padronato.
La ricostruzione di una forza autentica della sinistra forte e radicata, anticapitalista, non può che passare attraverso una ripresa delle mobilitazioni e di un cambio profondo e radicale delle politiche sindacali, ricostruendo sindacati che facciano il loro mestiere: costruire le lotte, la sindacalizzazione e l’unità di tutte/i le/i lavoratrici/tori, quelle/i che ancora hanno con un posto più o meno stabile, quelle/i precarie e chi il lavoro non l’ha mai avuto o l’ha perso.
Qualche considerazione sul PD filoatlantico ed europeista (?) e sulla “strategia” di Letta
Abbiamo già scritto del ruolo del PD, un partito che, da anni, attraverso le metamorfosi che hanno segnato la vecchia DC e il PCI, si propone come il gestore più autentico, razionale e beninteso “democratico” delle scelte politiche ed economiche della grande borghesia, quella italiana, ma complessivamente di quella europea, espresse nel progetto dell’Unione Europea. Per questo il PD è stato il più fedele sostenitore del governo Draghi e delle sue politiche; per questo anche è il più europeista, non nel senso di farsi carico degli interessi delle classi lavoratrici del continente, ma del progetto capitalista (e imperialista) dell’Europa; è oggi anche la forza di più stretta osservanza atlantica, cioè convergente con la Nato e l’imperialismo USA. Alcuni si possono ancora stupire del fatto che il PD sia stato il più sollecito sostenitore della partecipazione italiana alla guerra in Ucraina, e dell’aumento massiccio delle spese militari, ma c’è coerenza in queste scelte negative.
Così come c’è coerenza nelle scelte tattiche elettorali che ha fatto. La stretta logica elettorale indotta dall’attuale sistema, avrebbe dovuto spingere Letta e soci a perseguire un’alleanza con il M5S che, disponendo ancora d’intenzioni di voto intorno al 10%, le avrebbe permesso di concorrere in molti collegi uninominali limitando il successo delle estreme destre. Ma per il gruppo dirigente del PD l’alleanza con Conte alla ricerca di un recupero di consensi elettorali attraverso alcuni distinguo dalle politiche di Draghi e di un’accentuazione dei contenuti sociali se pure coniugati in una forma interclassista, era troppo rischiosa. Troppo rischiosa e portatrice di contraddizioni, ben conoscendo Letta quale tipo di politiche richiederà la borghesia di fronte “alle nuvole che si addensano” per usare l’espressione di Draghi.
Nessun problema invece all’alleanza con i Verdi e SI, utili per dare alla cosiddetta “coalizione larga”, una spruzzatina di temi sociali, ma di cui si conoscono bene i limiti e la propensione a restare comunque dentro il cortile del PD. Fondamentale era, nell’ottica PD trovare l’alleanza anche con il cosiddetto centro, nella “speranza” di recuperare voti a destra, ma soprattutto di disporre di un alleato molto moderato con cui poter giustificare la subalternità alle scelte capitaliste e la rinuncia alle pur modeste rivendicazioni sociali e civili che si avanzano in campagna elettorale, come quelle che stanno apparendo sui cartelli pubblicitari.
Sono scelte che corrispondono alla natura borghese del PD sempre espressasi nei passaggi politici più delicati, da quelle di Veltroni nel 2008, poi il sostegno al governo Monti, quelle di Letta e successivamente di Renzi ed infine la decisione di rompere, sotto la pressione di Mattarella, l’alleanza con il M5S del Conte 2 per partecipare al governo dell’unità nazionale.
Comico è stato il matrimonio di Letta con il centro di Calenda, durato solo 5 giorni; per altro non avrebbe permesso di concorrere seriamente con le destre, per di più su un programma totalmente padronale.
Le storiche ambiguità del M5S in cerca del rilancio
Poche parole sul M5S: è bene ricordare che questo è stato il partito più governativo di tutta la legislatura e che anche oggi è al governo con Draghi; i suoi ministri non si sono dimessi. Le misure parzialmente positive che ha portato a casa si possono contare su due dita, mentre la lista di quelle negative è molto lunga, stiamo parlando delle politiche che hanno prodotto e accentuato la crisi sociale in cui siamo immersi. Sarebbe ben grave errore confondere un’isolata ed incerta “non partecipazione” a un voto di fiducia in Senato su Draghi con l’apertura di un nuovo percorso di opposizione e di “lotta”, come pure qualcuno nella sinistra, ha voluto “credere”, o “illudersi”.
L’Unione Popolare
Un programma sociale e democratico alternativo, coniugato al desiderio di ricostruire una stagione di lotta degli oppressi, è quello che le forze che si sono riunite nella lista “Unione Popolare” vogliono difendere e rappresentare in questa campagna elettorale. Si tratta di Potere al Popolo, Rifondazione comunista, le deputate di ManifestA e il Movimento DeMa di De Magistris.
Alcuni limiti hanno caratterizzato la formazione di questa lista, a partire dalla incapacità o scarsa volontà di aprirsi a un maggior numero di forze sociali e politiche, da alcune ambiguità tattiche, ma con forte valenza politica, come la ricerca di costituire un polo politico con il M5S, forza strutturalmente interclassista, dalla scelta del simbolo della lista con nominativo, presentato in funzione tattica elettorale per una maggiore visibilità, scelta che comporta però sempre e comunque il rischio di contribuire alla personalizzazione della politica voluta dal sistema dominante; infine il richiamo alcune volte a forza di governo e la disponibilità a future alleanze, che non possono che favorire ambiguità e confusione sulla direzione di marcia. Per parte nostra pensiamo che sia necessario valorizzare e ricercare al massimo il lavoro collettivo nella costruzione di un’alternativa politica e che questa debba avere sempre un chiaro segno di classe. Abbiamo voluto richiamare queste valutazioni critiche da noi espresse nel corso delle ultime settimane; esse non impediscono tuttavia il nostro sostegno alla lista e la nostra indicazione di voto. Questa infatti è l’unica lista con un segno e contenuti alternativi rispetto al quadro politico dominante presente, laddove la lista di Sinistra Italiana e dei Verdi è completamente subalterna al Pd, a tal punto da inghiottire senza problemi l’agenda Cottarelli, naturale prosecuzione di quella Draghi.
E non è un caso che su di essa fino ad oggi ci sia il silenzio dei media: meglio che non se ne parli, meglio se non riuscirà a raccogliere le firme necessarie alla presentazione. Infatti per l’Unione Popolare c’è la necessità, a differenza di quasi tutte le altre formazioni politiche, piccole o grandi, di raccogliere molte decine di migliaia di firme in pochissimi giorni grazie all’operazione, molto dubbiosa dal punto di vista politico, ma anche costituzionale, di Mattarella e Draghi che hanno precipitato le elezioni in pochissime settimane. L’hanno fatto in un periodo di ferie in cui c’è qualcuno che può agire a suo piacere grazie agli strumenti mediatici di cui dispone e altri, le forze della sinistra, che devono agire dal basso proprio quando le fabbriche e i luoghi di lavoro sono chiusi per le sacrosante vacanze delle lavoratrici e dei lavoratori. Si cerca così di rendere estremamente arduo il perseguimento di un fondamentale diritto. Sta anche a tutte/i noi garantire questo elementare diritto democratico nei prossimi giorni, invitando a firmare per le liste di Unione Popolare.
*Sinistra Anticapitalista