La nuova Costituzione non avrebbe smantellato da sola il neoliberismo, ma avrebbe indubbiamente creato condizioni migliori per continuare la battaglia. Perché la stragrande maggioranza dei cileni ha rifiutato questa proposta costituzionale, che molte organizzazioni sociali consideravano un passo avanti storico? Domenica 4 settembre, gli attivisti del Comando de los movimientos sociales para el Apruebo si sono riuniti presso la sede del sindacato Bata (Sindicato Nacional de Trabajadores empresa Bata Chile) nel centro di Santiago, a pochi passi dall’emblematica Plaza Dignidad (centro nevralgico della grande rivolta popolare dell’ottobre 2019). I risultati del referendum nazionale per approvare o respingere il nuovo testo costituzionale, elaborato per un anno dalla Convenzione Costituzionale (Assemblea Costituente), organo eletto a suffragio universale nel maggio 2021, sono iniziati ad arrivare alle 18.00.
Fin da subito è stato chiaro che il rifiuto avrebbe prevalso, ma nessuno aveva previsto la portata della sconfitta. Dopo mesi di mobilitazione, è stato necessario affrontare e accettare la vittoria dei settori conservatori che si opponevano alla proposta costituzionale, che mirava nientemeno che a porre fine alla Costituzione del 1980, elaborata sotto la dittatura di Pinochet.
Un rifiuto clamoroso
Il risultato è stato schiacciante: 61,88% a favore del rifiuto e 38,12% per l’approvazione, con un’affluenza di oltre 13 milioni di elettori (85,81% delle liste elettorali), 4,5 milioni in più rispetto al secondo turno delle elezioni presidenziali del dicembre 2021, un aumento determinato principalmente dalla introduzione di un sistema di voto obbligatorio, con registrazione automatica.
Nella regione più meridionale di Magallanes, dove vive la famiglia del presidente Gabriel Boric, il rifiuto ha raggiunto il 60%: una sconfitta personale per il giovane leader della sinistra. Nel nord, l’approvazione è stata solo del 35% e nella regione di Araucanía, dove vive la maggior parte delle comunità Mapuche, il rifiuto ha raggiunto il 74%. Anche nella Grande Santiago o a Valparaíso, aree urbane tradizionalmente più inclini al cambiamento e dove sono stati recentemente eletti diversi sindaci di sinistra (anche comunisti), non vi è stata una maggioranza a favore della nuova Costituzione: l’approvazione ha avuto la meglio solo in 8 dei 346 comuni del Paese.
Settori della destra e del “centro”, contrari al testo, sono subito apparsi sui media mentre celebravano il loro successo in alcune strade e piazze dei quartieri ricchi di Santiago. Anche l’estrema destra ha espresso la propria soddisfazione. Diversi leader conservatori si sono mostrati sorpresi per la portata della loro vittoria, uno scenario improbabile due anni fa, quando il Cile – un'”oasi” e una “vetrina” del neoliberismo – sembrava aver imboccato un nuovo percorso storico segnato dalle mobilitazioni dell’ottobre 2019.
Le enormi crepe nel modello e la crisi di legittimità del sistema politico – che hanno quasi portato all’impeachment del presidente miliardario Sebastián Piñera [capo di Stato dall’11 marzo 2010 all’11 marzo 2014 e dall’11 marzo 2018 all’11 marzo 2022] – sono state oggetto di diversi tentativi da parte delle élite neoliberali di risolverle dall’alto. Così, il 15 novembre 2019, quasi tutti i partiti in Parlamento avevano firmato l'”Accordo per la pace sociale e una nuova Costituzione“. Questo aveva diviso il Frente Amplio (una coalizione di sinistra creata nel 2017) tra coloro che sostenevano che l’accordo implicava la necessaria canalizzazione istituzionale delle lotte in corso e coloro che lo vedevano come un modo per disinnescare queste lotte. Le fazioni direttamente coinvolte nella mobilitazione hanno descritto l’accordo come il prodotto di un nuovo “inciucio” tra i partiti, tra l’altro perché è stato raggiunto mentre il movimento popolare stava affrontando una repressione criminale da parte dello Stato cileno [con molti prigionieri la cui liberazione diventerà oggetto di tensione e che non saranno amnistiati dal nuovo governo di Gabriel Boric].
Sta di fatto che il 19 dicembre 2021 uno dei mentori dell’Accordo, il filo-Frente Amplio Gabriel Boric, è stato eletto presidente del Cile a capo di una coalizione [Apruebo Dignidad] del suo settore [Convergencia Social] con il Partito Comunista. Questo sembra confermare nelle urne la volontà sociale di cambiamento, anche se sulla base di un programma molto moderato e in opposizione ad Antonio Kast, un uomo dell’ultradestra che esprimeva una volontà di “ordine”, con sfumature razziste e xenofobe, da parte di gran parte della popolazione.
I campanelli d’allarme suonavano da tempo, ma gran parte della sinistra sembrava non accorgersene. In precedenza, i dati impressionanti del referendum del 2020 avevano indicato ampie possibilità di trasformazione socio-politica (il 78% degli elettori ha approvato l’idea di una nuova Carta fondamentale per seppellire la Costituzione del 1980), nonostante i limiti di un’Assemblea costituente in parte “regolata” dai vecchi partiti del Congresso costituito. In quel periodo suonavano anche altri campanelli d’allarme: quasi la metà dei cileni non si era presentata alle elezioni, soprattutto nei quartieri popolari. Ma la forza di ottobre sembrava ancora esserci per potersi imporre parzialmente nell’Assemblea Costituente, grazie alla parità, ai seggi riservati ai popoli indigeni, alle liste degli indipendenti [con molti eletti] e la presenza del movimento femminista e sociale.
Il fatto che la destra e i settori più conservatori siano stati messi sulla difensiva ha permesso di ottenere un testo costituzionale progressista e molto avanzato sotto molti aspetti: si proponeva di porre fine allo Stato sussidiario neoliberale e di costruire uno “Stato sociale e democratico di diritto“, solidale e paritario, che riconoscesse molteplici diritti fondamentali, comprese forme di democrazia partecipativa, con un vero spazio ai beni comuni e ai mezzi per affrontare la crisi climatica. Con una forte presenza di richieste femministe – come il riconoscimento del lavoro domestico e di cura – il testo riconosceva anche l’istituzione di un sistema pubblico di sicurezza sociale, la fine della privatizzazione dell’acqua, l’eliminazione del Senato e la creazione, al suo posto, di una Camera delle Regioni, la realizzazione (finalmente) di uno Stato plurinazionale, che tenesse conto di alcune delle richieste storiche del popolo Mapuche.
Anche il diritto del lavoro segnava un notevole progresso, sui temi quali la contrattazione collettiva settoriale, il diritto effettivo di sciopero e il riconoscimento dei sindacati, in altre parole una vera e propria rivoluzione copernicanarispetto all’attuale normativa cilena. Tutto ciò ha portato al malcontento dei grandi imprenditori locali e transnazionali. La nuova Costituzione, ovviamente, non avrebbe smantellato il neoliberismo in quanto tale, ma avrebbe potuto aprire il campo alla contestazione da parte dei nuovi partiti attivi in una prospettiva di lotta di classe in Cile. Come spiegare, allora, perché la stragrande maggioranza dei cileni ha voltato le spalle a questa proposta costituzionale, considerata da molte organizzazioni sociali un progresso storico?
Le ragioni della sconfitta
Innanzitutto, è necessario sottolineare la capacità delle élite neoliberali di concentrare la loro forza proprio nell’ambito in cui le lotte sociali sembravano aver sconfitto il loro modello socio-economico: in altre parole, i diritti sociali sanciti nel progetto della nuova Costituzione nei settori della salute, della casa, dell’accesso all’acqua, del sistema educativo e del lavoro.
A tal fine, le forze favorevoli al rifiuto sono riuscite a raggiungere un livello di diffusione delle menzogne che ha superato ogni limite di impudenza. Attraverso una campagna multimilionaria sui social network e sfruttando il monopolio quasi totale dei media [stampa, TV, radio], hanno moltiplicato assurde affermazioni come queste : “I cittadini dovranno essere curati obbligatoriamente in un sistema sanitario pubblico sull’orlo del collasso“, “sarà abolita la libertà di educazione“, “saranno creati bonus statali per i lavoratori che optano per la disoccupazione“, “saranno espropriate le case e sarà proibita la proprietà privata“, “sarà abolito il principio di uguaglianza davanti alla legge a favore di indigeni, omosessuali e altre “minoranze”“, “la libertà di culto sarà abolita e le comunità evangeliche saranno perseguitate“, “l’aborto sarà consentito in qualsiasi momento della gravidanza“, “tutti i controlli sull’ingresso nel paese saranno eliminati” [gli scontri con i migranti provenienti dal Venezuela sono stati ben pubblicizzati], “i criminali saranno protetti a livello giudiziario a spese delle vittime“, “i risparmi dei lavoratori saranno confiscati, impedendo la loro eredità“, “il nome del paese e gli emblemi nazionali saranno cambiati“… per non citare solo alcune delle dichiarazioni apparse nell’ora di trasmissione elettorale obbligatoria dei canali televisivi gratuiti.
Più che la varietà delle menzogne diffuse dalla campagna del fronte del rifiuto, è importante notare la capacità di pianificazione strategica delle destre. Hanno anche abilmente optato per una campagna che affermava di essere a favore della modifica costituzionale ma non della nuova Costituzione, trovando così alleati al centro dello spettro politico e tra i sostenitori della vecchia Concertación [che riuniva essenzialmente il PS, la Democrazia Cristiana e il Partito per la Democrazia].
Qui si può osservare un’importante differenza con le forze politiche schierare a favore dell’approvazione: sebbene la sinistra parlamentare e i movimenti sociali anti-neoliberali avessero conquistato la maggior parte dei seggi nell’Assemblea Costituente, fin dal momento inaugurale dell’elezione del suo consiglio esecutivo, hanno mostrato le loro differenze. E alcuni elettori sembravano seguire le abitudini dello screditato Congresso cileno. Le liste degli indipendenti hanno subito diverse battute d’arresto e uno scandalo che ha portato alle dimissioni di un funzionario eletto. Allo stesso tempo, le forze di centro-sinistra erano riluttanti a seguire le proposte sostanziali dei rappresentanti eletti legati alle mobilitazioni, in particolare una limitazione rafforzata dall’imposizione di un quorum di due terzi per approvare ogni articolo.
In molti casi, e nonostante le numerose iniziative di consultazione e partecipazione, la Costituente è sembrata troppo lontana dalle preoccupazioni immediate della classe lavoratrice e dai suoi interessi. Nelle ultime settimane non è stato possibile invertire questa tendenza. Allo stesso tempo, va sottolineato che le numerose assemblee, le riunioni territoriali e giovanili e i tentativi di coordinare il lavoro collettivo di quartiere, che erano emersi durante l’ottobre 2019, sono stati gradualmente smantellati, sia a causa della politica istituzionale ed elettorale, ma anche a causa della continua repressione e, successivamente, con il pretesto della pandemia e della crisi economica.
D’altra parte, il governo di Gabriel Boric, nonostante le promesse di riforme progressiste contenute nel suo programma, è stato rapidamente coinvolto dallo stesso giudizio dei cittadini. Quando è stato necessario dare prova di determinazione politica per sostenere le dinamiche del cambiamento costituzionale, il governo si è dimostrato esitante, alla ricerca di alleanze “pragmatiche” con l’ex Concertación nel Congresso – in cui è in minoranza – per poter governare. In molti momenti si è sentito il peso del vero capo di gabinetto del governo, il ministro delle Finanze Mario Marcel, ex presidente della Banca Centrale ed ex attivista del blocco social-liberale che governa il Paese dal 1990. Anche il Ministro degli Interni Izkia Siches è stata criticata per aver iniziato il suo mandato cercando brevemente il dialogo con le comunità Mapuche in conflitto, per poi approvare la militarizzazione della regione e l’incarcerazione del leader della CAM [Coordinadora Arauco-Malleco] Héctor Llaitul. Lo stesso si può dire dei prigionieri politici della ribellione di ottobre 2019, molti dei quali sono ancora in detenzione preventiva mentre l’esecutivo non è disposto a procedere con un’amnistia generale. Sono stati compiuti progressi concreti nell’accesso all’assistenza sanitaria nel sistema sanitario pubblico, ma la mancanza di progressi su questioni fondamentali come la timida riforma fiscale impedisce di confermare lo status riformista del governo.
Il governo progressista non sembrava disposto a confrontarsi con i soliti poteri economici e di fatto [militari e repressivi], né a mobilitare la sua base sociale. Da questa posizione di classe, una parte significativa di coloro che avevano votato per Boric ha continuato a disapprovarlo apertamente. Allo stesso tempo, la destra ha sfruttato la sua ben oliata macchina mediatica per confondere la crescente impopolarità del governo associandola al testo della nuova costituzione. La stampa ha ampiamente trattato l’attuale crescita della criminalità organizzata e del traffico di droga, collegandola alla drammatica situazione dei migranti nel nord del Paese. Il nuovo elettorato, originariamente motivato dal voto obbligatorio, si è collegato direttamente con la frangia popolare delusa, assicurando così un ampio trionfo del rifiuto.
Come nota lo storico Igor Goicovich, il divorzio tra mondo popolare, governo e processo costituzionale è evidente nei risultati del 4 settembre. Le numerose questioni sollevate all’Assemblea costituente dai movimenti sociali sul femminismo, l’ecologia e la multinazionalità non hanno generato molto sostegno nell’elettorato popolare. Hanno persino sollevato dubbi, vista la mancanza di una forza sociale in grado di girare per il Paese, “dal basso”, per dibattere ampiamente questi temi: “In tutti i comuni che gli ecologisti hanno chiamato “zone di sacrificio”, l’opzione rifiuto è stata ampiamente imposta […]. Questo non è molto diverso da quello che è successo nei comuni della Regione del Bio Bío [nel centro del Paese] e di La Araucanía (Macrozona Sur), che sono preferibilmente orientati verso il disboscamento, dove il conflitto tra le imprese forestali e le comunità indigene ha raggiunto dimensioni sempre più radicali. […] Se osserviamo il comportamento elettorale dei comuni dell’area metropolitana, notiamo una tendenza storica: i comuni con i redditi più alti (Las Condes, Lo Barnechea e Vitacura) votano massicciamente per l’opzione “Rifiuto”. Anche i comuni che prediligono i settori a medio reddito della popolazione, come La Reina, Providencia, Macul, Peñalolén e La Florida, votano per l’opzione “Rifiuto”, ad eccezione dei comuni di Maipú e Ñuñoa. Mentre praticamente tutti i comuni della classe operaia, tra cui Recoleta, El Bosque, La Pintana, La Granja, Lo Espejo, Cerro Navia, Renca e Independencia, che sono stati storici bastioni della sinistra, hanno optato per il “Rifiuto”“.
E adesso?
Le frazioni del mondo popolare e operaio che, nonostante tutto, hanno votato per l’Approvazione sia nel referendum di domenica scorsa che nel plebiscito del 2020, sono ora alle prese con un senso di catastrofe dietro il quale si cela un profondo impegno di opposizione al modello neoliberale cileno. È chiaro che questa opposizione non sarà sostenuta dal governo.
Nel suo discorso di domenica 4 settembre, Gabriel Boric ha fatto appello all’unità nazionale e ha preso le distanze “dal massimalismo, dalla violenza e dall’intolleranza“. Ha annunciato un rapido rimpasto di governo. Riorganizzerà il suo gabinetto in linea con la traiettoria “verso il centro” che abbiamo già descritto, aprendo maggiormente La Moneda [il palazzo della presidenza] alle forze dell’ex Concertación, che potrebbero indebolire ulteriormente il suo alleato, il Partito Comunista. Questo gabinetto sarà progettato per chiudere la riforma fiscale sotto forma di un patto fiscale che prevedibilmente affronterà le priorità immediate di sopravvivenza del governo: attrarre capitali ospitando aziende a rapida crescita e chiedendo anticipi per coprire la spesa pubblica così da contenere eventuali mobilitazioni.
Sul fronte costituzionale, i partiti nel loro insieme hanno confermato che continueranno a lavorare per una nuova prospettiva costituente, ma che la sua elaborazione avverrà da parte dell’attuale Congresso, suggerendo il ritorno della politica del consenso fortemente rifiutata nel 2019 e seppellendo l’impatto di trasformazone che avrebbe avuto la nuova Costituzione. Il 4 settembre, di fronte al risultato del plebiscito, la dichiarazione della leadership dei Movimientos Sociales por el Apruebo concludeva: “È essenziale che i settori che si sono organizzati per rendere possibile questo processo si assumano anche il compito che ci attende oggi. Non si può tornare indietro. Il nostro popolo ha preso una decisione indiscutibile e il compito di rovesciare la Costituzione di Pinochet e il modello neoliberale è ancora all’ordine del giorno. In questo processo, le lezioni che abbiamo imparato saranno fondamentali, perché noi, i movimenti sociali, non siamo quello che eravamo prima che questa Costituzione fosse scritta“.
* Frank Gaudichaud insegna all’Università Toulouse 2 Jean Jaurès. Miguel Urrutia è sociologo presso l’Università del Cile. Questo articolo apparso il 6 settembre 2022 sul sito Jacobinlat. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.