Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana le elezioni politiche generali si svolgeranno all’inizio dell’autunno (il 25 settembre). Si tratta di elezioni politiche anticipate rispetto alla scadenza naturale (la prossima primavera) sulla base di una discutibile decisione del Presidente della Repubblica Mattarella e del primo ministro Draghi di fronte alle difficoltà crescenti della sua maggioranza di governo che comprende tutti i principali partiti con la sola eccezione dell’estrema destra di Fratelli d’Italia.
La campagna elettorale si sta quindi svolgendo in piena estate e in un periodo utilizzato per le vacanze annuali per la gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori, essendo non solo le fabbriche, ma la maggior parte delle attività produttive chiuse.
Tutti i sondaggi danno largamente vincente la coalizione delle forze delle destra e dell’estrema destra composta da Forza Italia di Berlusconi, dalla Lega di Salvini e da Fratelli d’Italia (FdI) della Meloni. Si tratta di organizzazioni a vario titolo marcatamente padronali, reazionarie, xenofobe ed anche fascisteggianti. [1]
Nel corso degli anni i rapporti di forza elettorali e politici tra questi soggetti si sono modificati: se in passato l’egemonia spettava a Forza Italia, successivamente passata alla Lega, da un anno ormai FdI appare il partito dominante con una previsione di voto che si aggira intorno al 24% e che lo renderebbe il partito più votato in assoluto.[2] Si tratta del partito erede del MSI e nel cui simbolo continua ad ardere una fiamma tricolore sopra la bara di Mussolini. La Presidente di questo partito, Giorgia Meloni, pretende già la carica di Presidente del Consiglio, prospettando insieme a tutta la coalizione la modifica della Costituzione e il passaggio a una Repubblica presidenziale. [3]
E’ utile ricordare che se la vittoria delle destre si concretizzasse e la Meloni accedesse alla carica di Primo ministro dopo l’insediamento del nuovo Parlamento ad ottobre, questo avverrebbe esattamente a 100 anni dalla conquista del potere da parte di Mussolini.
Sul futuro delle classi lavoratrici italiane, autoctone e migranti, incombe quindi lo spettro politico e sociale di un governo delle destre e dell’estrema destra. Il pericolo che corre il paese è grande: una vittoria di queste forze e un loro governo non potranno che comportare nuove terribili difficoltà per le classi subalterne a partire dai settori più deboli, dalle/dai lavoratrici/tori migranti, dai poveri e disoccupati e dalle donne. Non ci può essere alcuna sottovalutazione: il dopo elezioni sarà diverso e ancora più difficile sul piano sociale, economico ed istituzionale; le forze anticapitaliste e democratiche progressiste (per usare un vecchio linguaggio) devono prepararsi a fronteggiare nuove sfide. Un governo di FdI e accoliti nel centesimo anniversario della marcia su Roma, creerà un clima politico e ideologico di sdoganamento dei peggiori soggetti e delle loro concezioni reazionarie, susciterà dinamiche molto pericolose e si moltiplicheranno i casi di aggressione dell’estrema destra e ogni sorta di sopraffazione poliziesca, fascista e razzista troverà spazi più ampi e vergognose giustificazioni nel quadro delle politiche del nuovo governo.
Lo sprofondo sociale
Come si è precipitati in questa situazione politica difficilissima, ma soprattutto qual è il contesto sociale e quali sono le dinamiche dei rapporti tra le classi che l’hanno determinata?
In prima istanza quanto sta avvenendo non è altro che il riflesso perverso di un quadro sociale drammatico in cui le classi lavoratrici hanno perso da tempo un ruolo attivo da protagoniste, sia sul piano di una efficace azione sindacale rivendicativa, sia dal punto di vista dell’organizzazione politica, cioè della presenza di una forza di sinistra di classe ben radicata in grado di esprimerne gli interessi sul terreno politico e nella attività sociale.
I recenti dati delI’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e dell’Istituto di Statistica (ISTAT) configurano una realtà sociale drammatica: nel paese ci sono 5,6 milioni di persone in totale povertà ed altrettante in semipovertà; la disoccupazione e precarietà sono uno degli elementi dominanti della condizione della forza lavoro (la stragrande maggioranza dei nuovi contratti di lavoro sono di brevissima durata, anche solo di 1 giorno o una settimana); un terzo di lavoratrici/lavoratori guadagna meno di 1000 euro al mese; più in generale l’Italia è l’unico paese europeo con i salari più bassi di quelli di 30 anni fa; anche le pensioni sono molto basse; il carovita galoppante taglieggia gli uni e le altre, tanto è vero che lo stesso governo Draghi ha dovuto prendere qualche misura, se pur miserrima, di alleggerimento per cercare di tamponare il disagio sociale.[4] Più in generale abbiamo una sanità pubblica che precipita ogni giorno sotto i colpi della progressiva privatizzazione, una scuola pubblica alla deriva che sta per riaprire senza che siano stati fatti gli interventi per prevenire i contagi ed infine una epidemia che continua a mietere ogni giorno 100 vittime avendo ormai governo e istituzioni rinunciato ad attivare una decente politica sanitaria. Le condizioni di supersfruttamento (dei migranti) nelle campagne al Sud, ma anche nel settore della logistica dove ci sono state dure lotte e poi in tutti i settori della ristorazione e del turismo, sono vergognose ed insopportabili.[5] Di tutto ciò tutte le maggiori forze politiche sono totalmente responsabili, compreso il Primo ministro Draghi che continua a gestire il governo.
Se molte centinaia di migliaia di persone non sono state letteralmente ridotte alla fame, soprattutto al Sud si deve all’introduzione di una misura adottata nel 2018 dal governo giallo verde, fortemente voluta dal M5S, che sta alla base del suo travolgente successo nelle scorse elezioni. Si tratta del cosiddetto Reddito di cittadinanza, definizione imposta dal M5S, ma del tutto impropria perché siamo di fronte soltanto a un modesto sussidio di povertà di ultima istanza, molto delimitato e per di più vincolato a una serie di condizioni che il governo Draghi ha modificato rendendolo quindi meno favorevole per i suoi percettori che sono stati tuttavia alcuni milioni; un’ancora di salvezza che ha impedito la totale disperazione per tantissime individui e famiglie, in particolare nel Meridione del paese.[6]
Oggi questa misura è fortemente attaccata dal 90% dei candidati al Parlamento sotto la pressione degli imprenditori grandi e piccoli che vogliono avere a loro disposizione una manodopera obbligata ad accettare forme di lavoro semischiaviste. Guidano l’offensiva la Meloni in prima persona e un personaggio impresentabile come l’ex primo ministro Renzi. Eppure dopo il crollo dell’economia nel primo anno della pandemia il rimbalzo economico è stato molto forte in Italia, con un consistente sviluppo che, nonostante il rallentamento degli ultimi mesi, regge per ora meglio di molti altri paesi europei, tra cui Francia o Germania, anche se all’orizzonte si preannunciamo nuvole tempestose, tra cui la possibile crisi del gas.[7]
E’ in questo quadro che le polarizzazioni sociali sono ancora aumentate; settori di lavoratori hanno retto meglio, le vaste zone della piccola e media borghesia, che è una caratteristica fondamentale del capitalismo italiano, grazie anche alle diverse forme di evasione fiscale e dei forti sussidi pubblici, pur in modo diversificato se la stanno passando bene e c’è stato un rilancio dei consumi, del turismo e dei viaggi.
In cima alla piramide sociale, dall’altra parte della barricata rispetto alle classi lavoratrici abbiamo la classe possidente, i ricchi che sono diventati ancora più ricchi, aziende che fanno profitti ed elargiscono senza problemi cospicui dividendi ai loro azionisti, grazie anche al continuo foraggiamento pubblico; abbiamo una razza padrona che ritiene di poter utilizzare la manodopera come meglio crede, con la piena riaffermazione delle divisioni in classi e del diritto divino dei possidenti di agire al disopra delle stesse modeste leggi che dovrebbero contenere la loro onnipotenza. Di che stupirsi allora, se in questo contesto di ricchezza e povertà, di arretramento per moltissimi e di rancore e di paura per il futuro, brilla la stella nera della Meloni, tanto più mancando la mobilitazione delle classi lavoratrici e dei sindacati contro questo stato di cose presenti. Questa andava costruita ed era possibile costruirla negli anni e nei mesi scorsi; non è stato fatto per il semplice fatto che le direzioni sindacali, compresa quella della CGIL hanno rinunciato a farlo. [8] Nel corso degli anni infatti l’integrazione dei vertici e degli apparati sindacali nelle istituzioni capitalistiche è andata sempre più aumentando e quindi anche la subordinazione alle leggi del sistema, compresa quindi l’accettazione delle politiche liberiste dell’austerità. Di qui la rinuncia a dare impulso alle mobilitazioni delle classi lavoratrici, con conseguente demoralizzazione e disorganizzazione di ampi settori di lavoratori e quindi ulteriore deterioramento dei rapporti di forza tra le classi che, a sua volta porta le burocrazie sindacali a scelte moderate e alla passività prendendo a pretesto la vera o presunta scarsa disponibilità alla lotta dei lavoratori stessi. E’ una dialettica infernale che però avrebbe potuto essere spezzata se ci fosse stata la volontà di qualche settore delle direzioni sindacali a rimetterla seriamente in discussione. Faccio un esempio. Durante l’autunno scorso mentre si discuteva della legge finanziaria i dirigenti sindacali non hanno preso alcuna iniziativa di lotta; a metà dicembre quando questa legge, fortemente lesiva degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, stava per essere votata definitivamente, CGIL e UIL hanno indotto, in grave ritardo, uno sciopero generale dimostrativo di un giorno, fatto che non avveniva da molti anni; con una certa sorpresa lo sciopero ha avuto un buon successo in parecchi settori, in particolare nella categoria dei metalmeccanici, e si è assistito a 3 grandi manifestazioni di piazza, molto combattive (nel nord a Milano, nel Sud a Bari e a Palermo nelle Isole. Dal palco delle manifestazioni i segretari di CGIL e UIL hanno promesso e giurato che quella giornata era solo l’inizio di una mobilitazione che sarebbe continuata nei mesi successivi contro la precarietà del lavoro, per difendere le pensioni e su molte altre rivendicazioni sociali avanzate. Ma nulla di tutto cioè è stato messo in atto da allora ad oggi. Si può allora comprendere la disillusione non solo dei settori più larghi della classe, ma ancor più dei settori più disponibili alla lotta che sono indispensabili per rompere il quadro della passività e rimettere in modo una forte dinamica di ripresa del movimento di massa.
Questa situazione di impasse, che si prolunga da anni, permette alle diverse forze borghesi di dominare completamente la scena politica e tanto più quella elettorale. I loro scontri “titanici” mediatici, le manovre e contro manovre, l’affermazione dei diversi capi e capetti del cosiddetto centro politico, servono a costoro solo a garantirsi la presenza quotidiana sui media, a “mostrarsi” come i più utili gestori e servitori degli interessi del capitalismo, a costruirsi consensi popolari attraverso programmi (slogan elettorali), fasulli e ingannevoli, tra cui il rilancio della flat tax. Nel frattempo la classe sociale responsabile di tutto questo scempio, cioè la borghesia, il capitale, resta fuori dalla scena, non viene mai chiamata in causa, anzi i suoi giornali possono anche prodursi in ipocriti editoriali di denuncia delle debolezze e delle malefatte dei suoi stessi partiti e delle difficoltà a costruire una direzione politica coerente ed efficace. E sullo sfondo rimangono gli enormi utili delle grandi aziende, dall’Eni (più di 7 miliardi nel primo semestre) all’Enel e al Prysmian Group (settori cavi e energia) da Stellantis (quasi 8 miliardi) alla Brembo, dalla Leonardo alla Ferrari, da Unicredit ad Intesa, dalle Generali a Poste italiane, tanto che la stessa La Repubblica ha titolato “Una messe di profitti”.[9]
I tre governi della legislatura e la crisi del governo Draghi
L’attuale legislatura, cominciata nel 2018 ha visto la formazione di tre governi assai diversi tra loro, che hanno avuto sempre come forza centrale il M5S, il partito uscito vincitore dalle elezioni con circa il 33% dei voti, ma che nel corso degli anni ha subito diverse defezioni e perdita di credibilità tanto che oggi è valutato intorno 11% dei voti. Il primo governo è stato il cosiddetto governo giallo verde, presieduto da Giuseppe Conte costituito dal M5S e dalla Lega di Salvini; il secondo quello sostenuto da M5S e dal PD, sempre sotto la presidenza di Conte. Questo governo è caduto agli inizi del 2021 grazie a una operazione politico istituzionale assai dubbiosa orchestrata dal Presidente della Repubblica insieme alle forze confindustriali (la Confindustria è l’associazione dei padroni) e con gli intrighi del vecchio segretario del PD, Renzi.[10]. Si è così formato il governo capitalista per eccellenza, presieduto da Mario Draghi con un ruolo bonapartista, osannato dai media italiani, dalle istituzioni finanziarie internazionali e dai governi di mezzo mondo come il salvatore della patria. La missione per cui è stato messo in piedi era ben precisa: operare una profonda ristrutturazione del capitalismo italiano utilizzando gli ingenti fondi europei (quasi 200 miliardi di euro) avendo come obiettivo il sostegno alle imprese più performanti, un’ulteriore flessibilizzazione del lavoro e nuove profonde controriforme liberiste a vantaggio del capitale. Era ed è un governo di “unità nazionale” sostenuto da tutti i maggiori partiti con la sola eccezione di Fratelli d’Italia, che però ha sempre condotto un’opposizione solo formale, convergendo largamente sulle misure intraprese.
Questo progetto anche in un periodo “normale” del capitalismo avrebbe determinato grandi contraddizioni sociali, ma di fronte a eventi giganteschi come la guerra, i contrasti interimperialisti, la crisi climatica e quella energetica, il rilancio di un’inflazione all’8% nel quadro della persistenza della pandemia, non poteva che precipitare il paese in una drammatica crisi sociale. Le politiche di Draghi sono state vergognose, a partire dalla “non gestione” della crisi sanitaria, dall’aumento delle spese militari a scapito di quelle sociali (sanità e scuola), dalla cosiddetta autonomia differenziata delle Regioni che dividerà ancor più il paese e dalle politiche economiche che hanno favorito la caduta dei salari e delle pensioni e la generalizzazione della precarietà del lavoro. Di fronte alla crisi energetica le poche misure promesse di transizione ecologica sono state abbandonate; si ritorna al carbone, ai rigassificatori e forse anche al nucleare.
E questa crisi sociale profondissima, il malessere presente in vastissimi settori della popolazione, nonché i contrasti dei diversi settori economici capitalisti e dei loro rappresentanti politici per affrontare le difficoltà economiche e le ristrutturazioni produttive, alla fine hanno minato il governo aumentandone le contraddizioni.
Le forze che compongono il governo infatti, pur accumunate dalla medesima matrice borghese, esprimono infatti la composita articolazione dei vari settori (piccoli, medi e grandi) del capitalismo italiano. Ora la combinazione delle profonde crisi in atto comportano una ricomposizione dello stesso sistema dominante, che colpisce a fondo le classi lavoratrici, ma che interviene anche sui settori capitalisti più deboli, nel variegato e vasto mondo delle piccole e medie imprese. La fibrillazione politica interna al governo andava avanti da mesi e si è via via accentuata di fronte alle problematiche del riarmo e della guerra, della crisi energetica e dell’inflazione; i contrasti si sono manifestati prima con alcune iniziative della Lega, poi con quelle del M5S, sotto attacco da tutte le parti e in forte perdita di credibilità e infine nella scelta di FI e della Lega di non lasciare ulteriore spazio all’opposizione, se pur fasulla, di FDI, puntando a sfruttare a loro vantaggio le elezioni anticipate con la finalità di difendere al meglio non solo le loro posizioni politiche, ma anche gli interessi specifici borghesi che rappresentano. A difendere gli “interessi generali” della grande borghesia, espresso nella cosiddetta “agenda Draghi” è rimasto imperterrito il PD fino all’ultimo e il variegato e rissoso mondo dei partitini del centro parlamentare. Perché non ci siano dubbi: il governo è ancora in carica per gestire gli affari correnti il che significa che l’agenda Draghi continua il suo corso e che nessun ministro, di nessun partito si è dimesso dalla sua carica. Sugli schermi televisivi gli attori politici se ne dicono di tutti i colori, ma la continuità delle scelte politiche e sociali resta ben ferma.
Non c‘è dubbio però che questa crisi politica si configura come espressione della crisi di direzione della borghesia, (in atto per altro non solo in Italia), cioè la difficoltà da parte della classe dominante a produrre nelle elezioni e nella società partiti forti con adeguati consensi popolare e quindi governi stabili per gestire al meglio le sue politiche complessive.
La lotta contro le destre
La prospettiva delle governo delle destre e delle destre estreme ha spinto molti soggetti sociali, politici ed intellettuali a formulare, attraverso appelli ed articoli, varie proposte tecnico elettorali di alleanze per prevenire una loro vittoria eclatante. Qualcuno anche ha suggerito alle forze del cosiddetto centrosinistra qualche rivendicazione sociale in più e una maggiore attenzione verso le periferie popolari nella speranza di poter togliere consensi alle destre e riattivare settori sociali passivi.
Il più delle volte questi ragionamenti sono mal posti e del tutto improbabili perché non vanno mai alla radice del problema: individuare le ragioni ed anche i responsabili politici e governativi che nel corso degli anni hanno prodotto o favorito la diffusione delle ideologie reazionarie ed oggi addirittura la credibilità in ampi strati popolari di un partito dai tratti fascisteggianti come quello della Meloni come possibile alternativa alle miserie del presente.
C’è da chiedersi: ma dove stavano in questi anni molti di questi soggetti? Perché hanno sostenuto le politiche dell’austerità o non le hanno combattute, o se le hanno criticate perché hanno continuato a sostenere il partito che le praticava e le gestiva dal governo, cioè il PD? Perché molti di loro hanno valutato positivamente la formazione del governo Draghi e hanno pensato che, proprio lui, il gestore per eccellenza dei progetti borghesi, lo strangolatore del popolo greco da Presidente della BCE, fosse colui che poteva salvare il paese dalle difficoltà economiche e sociali e preservare la democrazia?
Al centro di queste proposte tattiche e politiche per battere le destra c’è infatti soprattutto la rivendicazione della necessità di difendere la Costituzione democratica del 1948 frutto della vittoria della Resistenza contro il nazifascismo. Bene. Solo che esiste una contraddizione profonda: come è possibile allearsi a questo fine con coloro, vedi PD e varie forze di centro che da venti anni almeno stanno picconando la Costituzione stessa essendo già riusciti a stravolgerla in alcuni aspetti fondamentali (il titolo V sulle autonomie, il vincolo del pareggio di bilancio che decapita le misure sociali|)? Sono gli stessi che proprio ora, in questi mesi, con il governo Draghi e con tutte le forze della destra stanno portando avanti la micidiale, antipopolare e divisiva “autonomia differenziata” delle Regioni, che sancisce la divisione del paese, dei territori e dei loro abitanti di serie A e di serie B. Come possono costoro prendersi cura della difesa della Carta Costituzionale e dei diritti democratici che ancora in parte preserva? Per non parlare poi delle istanze sociali indicate nella Costituzione stessa, che da anni sono stati abbandonate sotto la spinta delle controriforme liberiste.
Ed infine ancora come affrontare il problema enorme, che è la presa di massa delle forze dell’estrema destra, con dei marchingegni elettorali, con alleanze con quegli stessi che ritengono caduca la costituzione del 1948 non adatta alle necessità della concorrenza della mondializzazione?
Qualcuno poi dovrebbe spiegare perché Fratelli d’Italia che nelle elezioni politiche del 2018 raccolse poco più del 4% dei voti e nelle elezioni europee del 2019 il 6,5% e che ancora al momento dell’insediamento del governo Draghi viaggiava intorno al 10%, oggi sia dato al 24% grazie a un’abile, se pur finta opposizione politica.
Ma anche tutte le forze democratiche e realmente progressiste dovrebbero capire ( lavorando poi di conseguenza) che la credibilità delle forze reazionarie e fasciste si spiega col vuoto politico a sinistra, ma anche con la totale subalternità alle leggi del capitale delle direzioni burocratiche sindacale che da anni non cercano di costruire la difesa delle condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici accontentandosi del “tavolo delle trattative”, e rinunciando, anzi rifiutandosi di costruire seriamente e in modo sistematico il conflitto e la lotta sociale su obiettivi di classe alternativi. Sarebbe il miglior antidoto alla propaganda delle destre e dei fascisti.
Senza lotta sociale vince la Meloni
In mancanza di un’attività sociale di classe sono le ideologie e la propaganda dei media che inevitabilmente condizionano la coscienza delle classi subalterne. Solo la partecipazione, le esperienze di lotta, l’autorganizzazione, la discussione su contenuti e piattaforme alternative determinano la coscienza di classe, la comprensione della propria collocazione nella società, una coscienza civile, democratica, collettiva e socialista. E’ da tutto ciò che nasce la volontà e la necessità di costruire un’altra società e che spinge a partecipare alle organizzazioni sociali e politiche che si pongono questo compito e a capire chi sono i falsi amici e naturalmente i nemici da combattere.
Ma quando sono gli stessi dirigenti sindacali che accettato la logica della concorrenza capitalista, cioè la concorrenza tra i lavoratori, quando si è fatto poco o nulla per impedire la controriforma Fornero sulle pensioni o quelle sul lavoro di Renzi, quando si dimentica di denunciare ogni giorno gli insopportabili livelli di sfruttamento padronale, quelli delle campagne, ma anche quelli della logistica dove la repressione padronale e quella statuale si congiungono per colpire le lotte dei lavoratori, allora si aprono vere e proprie autostrade all’azione dei reazionari e dei fascisti.
La battaglia contro le destre va fatta con grande forza nella campagna elettorale, ma va fatta non solo rispetto all’indicazione di voto, ma soprattutto lavorando per attivare le mobilitazioni su contenuti alternativi su cui costruire l’insorgenza e la convergenza delle sfruttate e degli fruttati. I padroni vorrebbero sempre un “governo Draghi”, ma non avranno problemi ad utilizzare ai propri fini, il governo delle destre, cosiddette sovraniste, se vinceranno le elezioni.
Se le forze della sinistra di classe, antiliberista e anticapitalista non saranno capaci di fare campagna politica e campagna sociale in sinergia, si perderà due volte, sia perché il risultato elettorale sarà particolarmente brutto, sia perché ancora maggiori saranno le difficoltà a reggere con le lotte l’urto di un governo dell’estrema destra o di un nuovo di governo tecnocratico, autoritario, espressione diretta del padronato. Anche la ricostruzione di una forza autentica della sinistra forte e radicata, anticapitalista, non può infatti che passare attraverso una ripresa delle mobilitazioni e di un cambio profondo e radicale delle politiche sindacali, ricostruendo sindacati che facciano il loro mestiere: costruire le lotte, la sindacalizzazione e l’unità di tutte/i le/i lavoratrici/tori, quelle/i che ancora hanno con un posto più o meno stabile, quelle/i precarie e chi il lavoro non l’ha mai avuto o l’ha perso.
[1] Si vota con un sistema elettorale fortemente lesivo della rappresentanza democratica, quindi di dubbia legittimità costituzionale, voluto qualche anno fa dal PD di Renzi e da FI di Berlusconi che combina una parte proporzionale con sbarramento al 3% e una parte uninominale; è un sistema fortemente criticato da tutti e su cui tutti i partiti avevano espresso la volontà di modificarlo, ma non lo hanno mai fatto anche perché non c’era accordo sulla direzione in cui andare. E’ un sistema per cui una coalizione come quella delle destre, data oggi intorno al 46-48% dei voti, potrebbe anche vincere in quasi tutti i collegi uninominali e quindi conquistare i 2/3 dei seggi in Parlamento, un quorum che a sua volta le permetterebbe di modificare la Costituzione stessa, senza neanche dover passare attraverso un referendum popolare confermativo delle modifiche introdotte.
Inoltre la modifica costituzionale di riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, fortemente voluta ed anche imposta dal M5S nel corso di questa legislatura, nel combinato disposto con le norme del sistema elettorale, ha fortemente penalizzato la rappresentanza territoriale e ancor più rafforzato il potere delle segreterie dei partiti di predeterminare gli eletti.
Queste vicende politiche italiane mettono in luce anche un altro aspetto della realtà attuale del sistema capitalista e delle politiche borghesi: il profondo deterioramento della democrazia parlamentare e più in generale della democrazia borghese, quale si era consolidata nel nostro paese con la vittoria della Resistenza e poi con la forza del movimento dei lavoratori e delle Sinistre. La democrazia parlamentare, i diritti democratici (non solo quelli sociali che pure sono strettamente correlati) sono sempre più erosi e rimessi in discussione da parte della classe dominante di fronte alla crisi capitalista complessiva e alle difficoltà a gestirla. La corsa verso la predominanza degli organi esecutivi su quelli legislativi data ormai da decenni, si moltiplicano i fenomeni autoritari, governi messi in piedi senza una reale sostegno di voto popolare costituiti direttamente in funzione delle esigenze del sistema. Si modificano le leggi elettorali in funzione della presunta governabilità a scapito di una reale rappresentanza popolare come sta avvenendo nel nostro paese da 30 anni a questa parte, da quanto cioè è stato fatto saltare il sistema proporzionale originario, che garantiva tutte le forze politiche e anche quelle sociali e tutti i territori. E questo profonda involuzione democratica spiega molto bene anche il fatto che settori sempre più ampi di cittadine e cittadini disertano le urne. In Italia la partecipazione al voto che era altissima, ha continuato a scendere; nelle elezioni politiche del 2018 la percentuale è stata ancora superiore al 72, ma in molte elezioni regionali o locali si sta scendendo al 60% od anche al 50%.
[2] La Lega di Salvini è data sopra il 14%, Forza Italia sopra il 7%. Per quanto riguarda il PD viene dato poco dietro a FdI, cioè sopra il 23%, il M5S all’11%, la coalizione del cosiddetto centro poco sotto il 5%. Non è chiaro se la lista Verdi-Sinistra italiana potrà superare il 3%. Non pervenute ancora le previsioni sulla coalizione della Sinistra radicale, l’Unione popolare.
[3] La Meloni si muove con molta circospezione e con cautela, per non fare passi falsi e spezzare il vento favorevole da cui è sospinta e tenere i giusti rapporti internazionali con il mondo finanziario e le capitali europee; ha espresso la sua totale fede atlantica. Per questo anche afferma “Se fossi fascista direi che sono fascista. Invece non ho mai parlato di fascista perché non lo sono”. Nello stesso tempo si guarda bene dal rinnegare il passato e tutto quello che la circonda, compreso il simbolo elettorale, rimanda a quell’origine. Inoltre una vasta serie di organizzazioni fasciste militanti è presente e bene organizzata; esse attendono il loro momento. Il Manifesto ha scritto giustamente: “Meloni ha aggiunto l’impresa al pantheon tradizionale delle destre estreme e conservatrici. Dio, patria, famiglia, proprietà e confini.”
[4] Impressionante anche la denuncia della Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza dell’agricoltura italiana: “Quasi 540 mila bambini under 15 hanno avuto bisogno di aiuto per bere il latte o mangiare.”
[5] La CGIL di Rimini, luogo turistico per antonomasia, ha denunciato che ci sono salari di un euro all’ora; la risposta della Confesercenti, l’organizzazione padronale, è stata: ”Non è vero, al massimo ci possono essere dei casi di 2-3 euro all’ora”!!
[6] Nel primo quadrimestre di quest’anno i nuclei famigliari beneficiari sono stati 1,5 milioni per un complesso di 3,3 persone coinvolte; due terzi dei beneficiari riguardano il Sud e le Isole. L’importo medio varia in base al numero dei componenti, da un minimo di 488 euro per i single (cioè soprattutto donne), a 741 euro per le famiglie con cinque componenti. Il picco massimo di percettori complessivi si è avuto nel 2021 con 3,9 milioni di persone coinvolte. Questa misura ha un costo di circa 9 miliardi l’anno, una bazzecola rispetto a quanto è stato regalato alle grandi imprese nel corso degli anni e alla dimensione dei sussidi erogati a tutte le forme del lavoro privato e commerciale.
[7] Secondo le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati stessi, il fortissimo aumento del costo dell’energia mette a repentaglio l’esistenza di 120.000 imprese soprattutto nel settore terziario.
[8] Anche nei giorni della crisi di governo sono arrivati al ridicolo: invece di costruire una prospettiva di alternativa, hanno continuato a chiedere la continuità di un governo, che altro non era che un governo nemico.
[9] L’enorme dimensione degli utili delle aziende che maggiormente stano beneficiando dell’inflazione e della crisi energetica ha obbligato il governo a introdurre una modesta tassa sui cosiddetti “sopraprofitti”. Era prevista una entrata di 10 miliardi di euro, ma le aziende stanno aggirando facilmente questa imposizione fiscale e ora le previsioni di entrata sono ridotte a 1 miliardo e mezzo.
[10] Renzi è uscito dal Pd nel 2019 con un folto gruppo di parlamentari formando un nuovo partito Italia Viva, ma oggi sembra avere consensi elettorali molto modesti.
*Sinistra Anticapitalista