Lo scorso 16 agosto sono state depositate alla Cancelleria federale oltre 120 mila firme di cittadine e cittadini contrari all’acquisto dei nuovi caccia dell’esercito F-35. L’iniziativa era stata lanciata da un comitato che comprendeva varie forze tra le quali il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE), il Partito socialista, I Verdi e numerose altre associazioni.
Alcuni giorni dopo l’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina, Viola Amherd, ministra della difesa, aveva invitato gli iniziativisti a ritirare il testo. La nuova situazione venutasi a creare con l’inizio della guerra creava le condizioni, secondo la destra e il Consiglio Federale, per nuovi programmi di riarmo. L’acquisto degli F35 non si poteva dunque rimettere in discussione. Nonostante questo appello il comitato promotore aveva portato a termine la raccolta delle firme e depositato l’iniziativa.
Il Consiglio Federale, nella sua fretta di assecondare la destra e la lobby legata all’industria degli armamenti ha deciso comunque di firmare il contratto definitivo con gli Stati Uniti per l’acquisto di questi aerei lo scorso 19 settembre, prima dunque di una eventuale votazione popolare.
Nello spazio di poche settimane anche la Svizzera si è allineata con i Paesi NATO che hanno deciso un cospicuo aumento delle proprie spese militari. Le previsioni indicano chiaramente che si raggiungeranno i 7 miliardi di spese annue e che si cercherà di migliorare/intensificare la collaborazione con la NATO.
Dobbiamo dire, sinceramente, che l’iniziativa popolare contro contro gli F35, in quanto tale, non ci aveva mai convinti; in particolare poiché focalizzava la discussione sul rifiuto di un tipo di aereo, di armamento, e non sulla necessità di mettere in discussione la politica di riarmo (come dovrebbe essere nelle corde di un movimento che si definisce “Per una Svizzera senza esercito”).
Alla fine, la campagna per la raccolta delle firme e il suo veloce successo, aveva dimostrato un’altra cosa: che tale campagna, seppur non chiara nei suoi obiettivi, poteva costituire una importante occasione per lanciare rimettere in discussione i progetti di riarmo e cercare di ricostruire un movimento contro il riarmo che negli anni è andato perdendo forza. Non dimentichiamoci infatti che nel 1989 il 35,6% della popolazione svizzera accolse l’idea di abolire l’esercito, nel 1992 il 42,8% si dichiarò contraria all’acquisto dei famosi F/A 18, nel 1996 entrò in vigore la legge per il servizio civile, ancora due anni fa il referendum contro l’acquisto di nuovi aerei da combattimento raccolse il 49,9% di consensi, sfiorando dunque il successo.
Tutto questo, pur considerando l’indebolimento che negli anni ha coinvolto il movimento contro le spese militari, indicava chiaramente che questo tema andava ripreso e che proprio la guerra in Ucraina e le reazioni dei governi occidentali in tema di riarmo (che quasi sempre hanno avuto poco a che vedere con il sostegno – compreso quello militare – all’Ucraina) mostra quanto sia necessario continuare con insistenza e forza questa battaglia in tutti i paesi, Svizzera compresa.
La decisione del Consiglio Federale non ci sorprende più di tanto. Da anni ormai la lobby degli armamenti insiste per aumentare le spese in questo settore e anche per allentare la legge sull’esportazione di materiale bellico. La decisione di Putin di invadere l’Ucraina e l’isteria militarista che ha colpito l’Occidente, hanno offerto su un piatto d’argento l’occasione tanto attesa.
Soprende di più, per le ragioni che abbiamo evocato qui sopra, la decisione del comitato promotore di ritirarla. Neppure il tempo di valutare con calma cosa fare dopo la firma del contatto, ecco la decisione di ritirare il testo. Le motivazioni vanno dal “Non vogliamo dare una mano per uno pseudo-voto”. (Priska Graf, consigliera nazionale del partito socialista) al “In effetti, presentare alla popolazione un’iniziativa svuotata di significato è trarre in inganno i diritti politici, cosa che non vogliamo fare.” (Fivaz Fabien, Verdi, membro del comitato), fino a “Il Consiglio federale e la maggioranza parlamentare hanno creato fatti inamovibilI e una procedura discutibile in termini di politica democratica.” (Marionna Schlatter, consigliera nazionale Verdi)
Ricordiamo che in Svizzera, quasi sempre, le iniziative vengono ritirate quando i promotori si dichiarano soddisfatti dei controprogetti elaborati dal Parlamento e che uno dei principali scopi di un’iniziativa è quello di mobilitare l’elettorato su un tema.
L’iniziativa andava mantenuta perché avrebbe permesso di rilanciare il tema del rifiuto di ogni forma di riarmo e avrebbe facilitato il rilancio del movimento antimilitarista in Svizzera. Inoltre avrebbe messo in difficoltà la destra e l’industria degli armamenti in caso di vittoria. Purtroppo però Partito socialista e Verdi sembrano ormai conquistati pure loro alla logica inarrestabile di riarmo che sta attraversando tutta l’Europa in questi mesi di guerra in Ucraina. L’esempio è stato dato in primis dal governo rosso-verde della Germania, con lo stanziamento di 100 miliardi di euro per modernizzare l’esercito e la decisione di portare le spese annuali militari al 2% del PIL, come richiesto dalla NATO.
In Svizzera assistiamo al solito teatrino dell’opposizione parlamentare da parte della “sinistra” alla richiesta di aumento delle spese militari. Poi, alla prima occasione per costruire davvero sul terreno questa opposizione, si rinuncia.
Se davvero ci si vuole battere contro le spese militari bisogna ricominciare a fare una vera politica antimilitarista tra la gente. Bisogna approfittare di ogni occasione per denunciare questa deriva e le sue conseguenze. Ogni franco che verrà investito nell’industria degli armamenti verrà tolto alla collettività nel settore dei servizi e dell’aiuto sociale. Oggi più che mai lo slogan “Non un centesimo per l’esercito” deve ritrovare la sua centralità nell’azione di tutte le forze che si dichiarano antimilitariste e contrarie alla guerra.