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I recenti eventi meteorologici inviano un messaggio molto chiaro: se i governi continuano a non fare (quasi) nulla, il riscaldamento globale avrà conseguenze sempre più catastrofiche.
Dal punto di vista ecologico e sociale ciò significa che il cambiamento climatico sta aggravando le disuguaglianze, che i salariati e i poveri sono le principali vittime e che un numero sempre maggiore di persone pagheranno con la vita.

Siamo già nel bel mezzo della catastrofe

La temperatura è aumentata di “soli” 1,2°C e questo è già sufficiente a moltiplicare e intensificare siccità, ondate di calore, piogge torrenziali, tempeste ecc. Non c’è bisogno di essere un climatologo per immaginare l’impatto con un aumento di +1,5°C… Del resto, lo dicono gli specialisti: le proiezioni dei modelli sottostimano la realtà. Tutto sta andando più velocemente del previsto!

I vertici sul clima (COP) di Parigi e Glasgow hanno fissato l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C. Questa è la soglia oltre la quale la Terra rischia di diventare un “pianeta stufa”, più calda di 5°C, un pianeta che l’Homo sapiens non ha mai conosciuto. Regioni che oggi ospitano due miliardi di persone diventeranno inabitabili, il declino della biodiversità si accelererà e la stessa sopravvivenza della nostra specie sarà minacciata.

Nel corso delle 26 COP, i governi hanno tergiversato così tanto che è ormai rimasto poco tempo per agire: la soglia di 1,5°C sarà superata molto prima del 2040. Per evitarlo, le emissioni globali di gas serra dovrebbero diminuire del 45-50% entro il 2030. Inoltre, le emissioni e gli assorbimenti “antropogenici” di gas carbonici dovrebbero essere in equilibrio entro il 2050 [1] (“zero netto carbonio”).

L’urgenza è massima, ma le politiche sono ai livelli minimi…

Nel migliore dei casi, se venissero rispettati tutti gli impegni e le vaghe promesse di ridurre le emissioni entro il 2030, il riscaldamento sarebbe di 2,4°C. Se si aggiungono gli impegni ancora più vaghi di riduzione entro il 2050, forse si limiterà a +2,1°C. Ma sarebbe comunque troppo,veramente troppo! Stiamo andando a sbattere.

Perché i governi non hanno fatto nulla (o quasi) per trent’anni, pur essendo a conoscenza della situazione? Perché la loro priorità è stata quella di sostenere i profitti aziendali nell’ambito della competizione e della conseguente crescita capitalistica, basaata sui combustibili fossili. I bisogni sociali e l’ecologia sono state ridotte a semplici “variabili di aggiustamento”.

La priorità per salvare il clima è smettere di bruciare petrolio, carbone e gas naturale. Questi “combustibili fossili” emettono molta CO2, che è il gas serra più preoccupante perché si accumula nell’atmosfera. La concentrazione atmosferica di CO2 è aumentata del 50% dalla rivoluzione industriale. È una situazione senza precedenti da 14 milioni di anni.

L’urgenza e il buon senso ci impongono di usare meno energia, di abbandonare tutte le produzioni superflue e di sostituire i combustibili fossili con le fonti rinnovabili (che sono sicure e più che sufficienti a soddisfare il nostro fabbisogno) [2]. Si dice che questa “transizione energetica” sia in corso, ma si tratta di un’illusione: in trent’anni, la quota dei combustibili fossili nel “mix energetico” mondiale è diminuita solo del 4% (86% nel 1992, 82% nel 2021)!

Le energie rinnovabili non sostituiscono i combustibili fossili, ma si aggiungono ad essi. Perché questo avviene? Perché il settore energetico è nelle mani di enormi e potenti multinazionali i cui giganteschi investimenti sono finanziati dalle banche, e tutti costoro si rifiutano di rinunciare alla gallina dalle uova d’oro dei combustibili fossili con il sostegno dei governi al loro servizio.

I governi incentivano i combustibili fossili

In un momento in cui la siccità sta provocando delle stragi, occorre intensificare gli sforzi, centuplicare le timide misure climatiche già adottate e dare loro un contenuto sociale e solidale, in modo che la maggioranza della popolazione le sostenga. I governi stanno facendo il contrario: rilancino l’uso dei combustibili fossili!

Con il suo “Green Deal”, l’Unione Europea si vanta di perseguire la giusta politica climatica. Non è vero: l’impegno dell’UE a ridurre le proprie emissioni del 55% entro il 2030 è inferiore allo sforzo del 65% dettato dalla sua responsabilità storica nel riscaldamento globale [3]. Inoltre, questo “bravo allievo” sta facendo facendo la stessa cosa che fanno Cina, Russia e Stati Uniti: sta incrementando l’utilizzaizone di combustibili fossili.

Recentemente, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Italia e Austria hanno deciso di aumentare la quota di carbone nella produzione di elettricità. La Germania sta aumentando la produzione di lignite. La Francia sta valutando la possibilità di riaprire l’ultima centrale a carbone (chiusa lo scorso marzo).

La Commissione lancia minacce: coloro che, nell’ambito del Green Deal, hanno ricevuto aiuti dal Fondo per una transizione giusta al fine di organizzare la riqualificazione dei lavoratori attivi in settori “sporchi” dovranno restituire i soldi. Vedremo cosa succederà, visto che i soldi sono stati distribuiti…

Non si tratta solo del rilancio dei combustibili fossili: mentre la siccità minaccia il raffreddamento delle centrali (e la guerra in Ucraina illustra il pericolo del nucleare!), Macron decide di costruire fino a 14 nuovi reattori EPR (ignorando le alternative dell’ADEME), il Belgio rinuncia a chiudere due dei suoi reattori e la Germania rinvia la propria denuclearizzazione…

La guerra non spiega tutto

Le tensioni legate alla guerra di aggressione dell’imperialismo russo non bastano a spiegare questo cambiamento di rotta. Un indizio tra i tanti: la cosiddetta “tassonomia europea” – la grottesca decisione di definire gas e  nucleare come energia “verde” – è stata concepita nel 2021, ben prima dell’invasione dell’Ucraina.

Il cambiamento delle politiche energetiche è iniziato prima. Nel 2019, le importazioni europee di gas di scisto statunitense (via nave cisterna, quindi con emissioni più elevate rispetto ai gasdotti) erano triplicate rispetto all’anno precedente.

Alla fine (?) della pandemia, la concorrenza era aumentata e le catene di approvvigionamento erano state interrotte e il Green Deal è diventato sempre meno verde. Nel quarto trimestre del 2021, le emissioni dell’UE sono state superiori dell’8% rispetto al quarto trimestre del 2019 (prima della pandemia). I principali responsabili sono i trasporti, l’industria mineraria e i produttori di energia elettrica. Sono finite le promesse di una “ripresa verde”!

Ora la guerra cade a fagiolo per frenare le politiche verdi che infastidiscono i capitalisti. Due esempi: 1°) non è per risparmiare energia che il Parlamento europeo, nel giugno 2022, ha esentato i produttori di auto di lusso dall’obbligo di bandire il motore a combustione dopo il 2035; 2°) nell’ambito della nuova PAC (Politica Agricola Comunitaria), il 3% dei terreni agricoli doveva essere dedicato alla rete ecologica (obiettivo: 10% nel 2030). Le lobby sostengono che questo obiettivo comprometterebbe la “sicurezza alimentare”, a causa della pressione sulle esportazioni di cereali ucraini. Ma questo argomento non regge: il 32% del grano prodotto nell’UE è utilizzato per produrre agrocarburanti (e il 46% per nutrire il bestiame)… Potremmo mangiare a sazietà senza aumentare i prezzi e senza abbandonare le sanzioni contro la Russia.

Nessuna salvezza senza una prospettiva ecosocialista

Ma torniamo ai rallentamenti subiti dal Green Deal. Secondo la Commissione, sono temporanei e dovranno essere compensati in seguito. Ma come? La CO2 emessa in eccesso rispetto alle proiezioni rimarrà nell’atmosfera, minacciando di spingere l’UE – e il mondo – ancora più lontano dalla soglia massima di 1,5°C. Non importa: i fanatici dell’accumulazione a tutti i costi, che hanno una risposta per tutto, chiederanno che questa CO2 venga nascosta sotto il tappeto attraverso la “compensazione del carbonio” e con tecnologie da apprendisti stregoni, come la bioenergia con cattura e sequestro del carbonio [4].

Come possiamo reagire? Gli esempi delle auto di lusso e delle reti ecologiche evidenziano la radice del problema: la competizione per il profitto porta alla tendenza a produrre sempre di più, ed è questa logica infernale del capitalismo che impedisce di affrontare la crisi climatica nell’interesse delle persone e della natura. Oltre a una politica che espropri l’energia, la finanza e l’agroalimentare per costruire una società del tempo liberato, una società che si prenda cura, che produca meno, che lavori meno, che condivida le risorse, che produca per i reali bisogni umani determinati democraticamente, non c’è salvezza.

*Articolo scritto per Mouvements, la rivista del Mouvement Ouvrier Chrétien di Bruxelles, Belgio. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.

[1] L’assorbimento naturale del carbonio può essere aumentato attraverso una migliore gestione del suolo, l’espansione delle foreste o altri mezzi.
[2] L’urgenza e il buon senso imporrebbero anche un passaggio dall’agrobusiness all’agroecologia e un piano pubblico per adattarsi alla parte inevitabile del riscaldamento globale, ma questo articolo si concentra sulla politica energetica.
[3] Inoltre, è accompagnata da una tassa sulle importazioni che impone ai Paesi del Sud di pagare il prezzo del carbonio corrispondente non alla loro responsabilità storica nel riscaldamento (se ne hanno una) ma a quella dell’UE.
[4] La compensazione delle emissioni di carbonio consiste in vari dispositivi, come la piantumazione di alberi per compensare le emissioni. La bioenergia con cattura e sequestro sostituisce i fossili con la biomassa, cattura la CO2 emessa e la immagazzina nel sottosuolo. Richiede di destinare enormi superfici alle colture energetiche, a scapito di cibo, acqua e biodiversità.