Il risultato è arrivato: 31’000 voti su un totale di 2,9 milioni hanno fatto pendere l’ago della bilancia, lo scorso 25 sdettembre, a favore dell’innalzamento dell’età di pensionamento donne. Un “risultato aleatorio“, secondo la Neue Zürcher Zeitung (NZZ, 26.9.2022), la testata giornalistica schierata con il fronte del Sì. Ciò significa, tenuto conto dell’attuale equilibrio sociale in Svizzera, che era possibile bloccare questo progetto. Alla fine non sono andate così, e ciò avrà sicuri effetti sulle donne colpite e costrette a lavorare più a lungo, nonché sulla percezione della propria forza da parte della destra e del padronato.
La questione delle pensioni rimarrà al centro dei conflitti sociali nei prossimi anni. È quindi utile cercare di capire perché il NO è arrivato così vicino alla vittoria, per poi subire una sconfitta.
Plasmare l’opinione pubblica: la missione dei media
Il 19 agosto la radiotelevisione svizzera ha diffuso in tre lingue la “buona novella” in tutto il paese: il 64% degli intervistati avrebbe detto (il 25 settembre) Sì all’innalzamento dell’età di pensionamento per le donne; solo il 33% avrebbe votato No. Una differenza del 30%! Anche le donne sarebbero per lo più favorevoli. Un messaggio chiaro: donne e uomini che volevate dire No, abbandonate ogni speranza! L’operazione di formazione dell’opinione pubblica era così giunta nella sua fase finale.
L’operazione è stata avviata anni prima, con Pascal Couchepin (ripescato prima del 25 settembre) al timone nei primi anni 2000. I datori di lavoro e la destra sono determinati ad aumentare l’età di pensionamento a tutti i costi. L’obiettivo è semplice: aumentare l’orario di lavoro dei dipendenti nel corso della loro vita, bloccare lo sviluppo dell’unica vera assicurazione sociale in Svizzera, l’AVS, e quindi aumentare la quota di ricchezza di cui si appropria la classe più ricca della popolazione.
Per far accettare questa misura impopolare, il think tank borghese ha costruito una narrativa: l’evoluzione demografica è come la forza gravità, non vi si può sfuggire. La forza di gravità significa che ogni corpo ha un peso. I cambiamenti demografici rendono inevitabile l’innalzamento dell’età di pensionamento. Il fatto che la storia stessa dell’AVS dimostri che ciò non è vero – l’invecchiamento della popolazione è stato per decenni compensato dall’aumento della produttività del lavoro – viene bellamente ignorato dal dibattito attraverso la ripetizione ossessiva di questa “prova”.
Poi le “prove” sono state trasformate in “verità” dai sommi sacerdoti dell'”informazione”, i media, che hanno ripreso la narrazione borghese con interminabili edizioni, con le cosiddette “spiegazioni” della posta in gioco nel voto e con editoriali che chiedevano alla popolazione di essere finalmente “ragionevole” e di sottomettersi a questa legge “naturale”, in quanto demografica.
Infine è arrivata la santificazione: i sondaggi – la cosiddetta “radiografia” dell'”opinione pubblica” – a conferma che la popolazione aveva “finalmente” capito. L’aumento dell’età di pensionamento era quindi giustificato, poiché la popolazione era favorevole. Il cerchio si è così potuto chiudere: la popolazione doveva solo votare secondo le indicazioni dei sondaggi.
L’operazione di formazione dell’opinione è stata un fattore decisivo il 25 settembre.
Berset congedato!
Un sabato mattina di inizio settembre durante una distribuzione di volantini a favore del No all’AVS21 un uomo di 80 anni si ferma e mi dice: “Non ci capisco più niente: Maillard [presidente USS NdT ]dice no, Berset dice sì. Eppure sono entrambi socialisti. In questi casi, di solito voto quello che dice il Consiglio federale.” È qui ben riassunto il ruolo che il consigliere federale Alain Berset ha scelto di svolgere, con zelo e senza alcun obbligo “collegiale” (il suo collega dell’UDC Ueli Maurer ne ha dato prova più di una volta): gettare tutto il peso della sua autorità, e della sua etichetta socialista, per convalidare la narrazione padronale e borghese. Con il tono “pacato” che si conviene per dare ancora più credito a una “osservazione oggettiva” e a “proposte ragionevoli“. Quando la sua posizione vacilla, perché le pseudo previsioni dell’UFAS (Ufficio Federale delle Assicurazioni Sociali) vengono denunciate per quello che sono, ovvero cifre pessimistiche buttate là per spaventare la popolazione, Berset chiede aiuto al suo assistente, Stéphane Rossini – consigliere nazionale del PS vallesano dal 1995 al novembre 2015, vicepresidente del PS dal 2007 al 2012 – che di recente (dicembre 2019) è stato promosso a capo dell’Ufficio Federale delle Assicurazioni Sociali (UFAS), (cosa che, tra l’altro, gli garantirà una confortevole pensione). Il suo compito è quello di utilizzare le sue credenziali di ex parlamentare socialista e di “specialista” delle assicurazioni sociali per disinnescare le critiche. Berset ha quindi svolto quindi un ruolo cruciale nel convincere parte della popolazione che era necessario e giusto costringere le donne a lavorare un anno in più.
Tre giorni dopo il voto, la NZZ (28.9.2022) lo ha ringraziato per i suoi buoni e leali servigi … e lo ha invitato a farsi da parte per far posto a qualcuno ancor più efficiente che faccia lo stesso lavoro di smantellamento sociale nella politica sanitaria.
Un No socialmente radicato
Di fronte a tutto questo abbiamo scoperto un NO all’innalzamento dell’età di pensionamento socialmente radicato. Due terzi delle donne non lo vogliono. Anche la maggioranza delle persone con i redditi più bassi (meno di 7000 franchi per nucleo familiare) vi si oppone. In parole povere: le donne, e molti degli uomini che vivono quotidianamente la realtà di un lavoro duro, fisicamente estenuante, psicologicamente drenante e mal pagato, non vogliono lavorare più a lungo. Sanno che quest’anno in più di lavoro verrà pagato con un tributo a livello della loro salute. Sanno che non avranno scelta: con la loro pensione, il pensionamento anticipato non conviene. Ma è a queste donne che viene imposto il passaggio a 65 anni: le altre continueranno a fare quello che vogliono, come prima. Una vera e propria dimostrazione di dominazione.
Il fatto che le donne direttamente interessate siano massicciamente contrarie all’aumento dell’età di pensionamento evidenzia uno degli scandali di questa votazione: più di un quarto delle persone che vivono in Svizzera, che vi lavorano, che pagano le tasse, che finanziano l’AVS con i loro contributi e che sono interessate al dibattito sull’età di pensionamento, sono state private della possibilità di esprimere il loro parere, perché sono “cittadini stranieri”. Si tratta di 710’000 uomini e 520’000 donne messi a tacere, utili solo a contribuire (quante volte abbiamo sentito dire che l’immigrazione gioca un ruolo “cruciale” nel finanziamento dell’AVS)! Tra le lavoratrici, quelle così private del diritto di voto rappresentano, ad esempio, il 57% dei posti di lavoro nelle occupazioni più elementari, il 44% delle operatrici di macchine o il 28% del personale al servizio diretto allepersone e delle commesse, tutte occupazioni tra le peggio retribuite e con le condizioni di lavoro più difficili. Gli uomini di “nazionalità straniera” sono sovrarappresentati anche nelle professioni più dure. Se fosse stato rispettato il principio democratico di base – secondo cui gli uomini e le donne interessati da un’istituzione, poiché la finanziano e sono soggetti alle sue regole, partecipano alle decisioni che ne determinano lo sviluppo – il No avrebbe vinto a mani basse. Per questo motivo la destra si rifiuta ostinatamente di riconoscere il diritto di voto a tutte le persone che risiedono stabilmente in Svizzera, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Abbandono fatale
Il “Röstigraben” è tornato in auge il 25 settembre quale “spiegazione” del risultato del voto. Ha il grande vantaggio di spiegarsi da solo: “Il risultato mostra un Röstigraben, … perché c’è un Röstigraben tra la Svizzera tedesca e la Svizzera francese e latina“. E permette di nascondere sotto il tappeto i conflitti sociali in atto.
I risultati dettagliati mostrano un quadro ben diverso: non esiste una Svizzera tedesca omogenea. Il No ha vinto in tre cantoni di lingua tedesca (Basilea Città, Sciaffusa e Soletta). Ha dominato nelle grandi città (Basilea, Zurigo, Bienne). Ma anche in diversi comuni dell’Oberland bernese, una regione in cui l’UDC domina; o, ancora, in piccole città con una tradizione industriale, come Gerlafingen (fonderie Von Roll) o Biberist (cartiere) nel Canton Soletta. Al contrario, le coste dorate di Ginevra (Cologny, Collonges-Bellerive), Vaud (Saint-Sulpice), Zurigo (Zollikon, Herrliberg, ecc.) o Lugano (Collina d’Oro, ecc.) hanno votato massicciamente SI all’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne.
Una frattura sociale struttura quindi il risultato del voto in tutto il Paese, ma non allo stesso livello. Nella parte francofona (e italofona) del Paese, l’opposizione all’aumento dell’età di pensionamento è stata sostenuta e animata dai movimenti femministi e dalla maggior parte delle organizzazioni sindacali, e non ha cessato di affermarsi da anni. Nel 2017 ha guidato il referendum contro PV2020, il primo progetto architettato da Berset e dal Parlamento per aumentare l’età pensionabile delle donne. Sono stati smontati senza sosta gli argomenti che presentavano l’aumento dell’età di pensionamento come inevitabile e l’AVS come finanziariamente minacciata. Questo ha rafforzato la legittimità del NO all’aumento dell’età di pensionamento, che ha continuato a rafforzarsi e a risuonare con le esperienze delle donne e di molti uomini.
In Svizzera tedesca, tuttavia, questi argomenti – che sono tradizionali nella “sinistra” – sono stati improvvisamente abbandonati dalle leadership nazionali dei sindacati e del Partito Socialista Svizzero (PSS) nel 2017: per giustificare il loro sostegno alla PV2020, che è stata presentata come un “buon compromesso”, hanno improvvisamente ripreso l’argomento borghese secondo cui l’innalzamento dell’età di pensionamento è la conseguenza inevitabile del cambiamento demografico. Gli argini che hanno contribuito a resistere alla volontà borghese di estendere l’orario di lavoro sono stati così minati. E da allora non sono più stati ricostruiti.
Certo, nel periodo precedente al voto del 25 settembre, l’Unione Sindacale Svizzera (USS) ha condotto una campagna chiara e determinata contro AVS21, contestando il principio stesso dell’innalzamento dell’età di pensionamento. Ma al di fuori della centrale sindacale, l’impegno è stato molto più timido in molte parti della Svizzera tedesca. Purtroppo, questo non è stato controbilanciato da un maggiore coinvolgimento delle forze cosiddette “di sinistra”, che hanno osservato la campagna con un’inspiegabile distanza. Il rifiuto di AVS21 ha spesso assunto la forma di un “non in questo modo”, e non di un rifiuto di principio dell’innalzamento dell’età di pensionamento. Se si considera il 51% di NO in una città “di sinistra” come Zurigo e il 58% di NO nella sua roccaforte “rossa” del “Kreis 4-5”, si ha l’impressione di una convergenza tra questa posizione e quella di un ambiente sociale che vota a sinistra, agiato e poco consapevole della realtà delle condizioni di lavoro e di vita della maggioranza delle donne e degli uomini salariati.
Inoltre, appena terminato il voto, questa tendenza è stata fortemente riaffermata. Il 27 settembre, alcuni parlamentari del PS hanno coraggiosamente detto al Blick, in forma anonima, tutto il male che pensano della consigliera nazionale Tamara Funiciello, presidente della Gioventù socialista nel 2017, che considerano responsabile del fallimento del “buon” progetto PV2020, che avrebbe aperto la strada ad AVS21.
Il 30 settembre è stata la stessa co-presidente del PS, Mattea Meyer (in carica dal novembre 2015), a vantarsi sul quotidiano 24 heures di aver sostenuto la prima versione dell’aumento dell’età di pensionamento per le donne, PV2020…
La battaglia per l’uguaglianza
Non appena sono stati resi noti i risultati finali, domenica 25 settembre, una delle prime figure politiche ad andare in onda sulla televisione di lingua tedesca per congratularsi per il SI è stata la consigliera nazionale del Centro Ruth Humbel, uno dei volti che pretendono di rappresentare il SI delle donne all’AVS21. Ruth Humbel è stata per anni uno dei politici più impegnati a chiedere una maggiore pressione finanziaria sul sistema sanitario, in particolare sugli ospedali, in nome della “lotta all’aumento dei costi sanitari”. Concretamente, ciò significa rendere impossibile l’attuazione dell’iniziativa per le cure infermieristiche, accettata dalla popolazione alla fine del 2021, che richiede una riqualificazione della professione infermieristica e un aumento del personale al fine di garantire un’assistenza di qualità e condizioni di lavoro sostenibili. Ricordiamo che oltre il 70% degli operatori sanitari è costituito da donne.
Questo esempio illustra l’operazione portata avanti da una corrente di donne di destra e dal Partito dei Verdi Liberali (il moderno partito radicale del XXI secolo), che è stata benevolmente amplificata dai media: cogliere lo spazio aperto dallo sciopero femminista del 14 giugno 2019 per tentare di impadronirsi del tema dell’uguaglianza e svuotarlo del suo contenuto sociale. Sostituire “Più salario per le donne!” con “Più donne in parlamento e nei consigli di amministrazione!” Imporre “65 anni per tutti!” invece di “pensioni sufficienti per tutti”! Per quanto riguarda i bassi salari, i lavori precari e i lavori pesanti, si tratterebbe di “un’altra questione“, che non ha “nulla a che vedere“, sarebbe una questione che riguarda “l’economia“…
Questo discorso non è privo di basi sociali: le disuguaglianze tra uomini e donne sono evidenziate come prioritarie in questo dibattito, e giustamente. Ma le disuguaglianze sociali tra le donne non sono piccole: il 10% delle donne con il salario più alto (almeno 7’470 franchi netti al mese) guadagna almeno 2,7 volte di più del 30% delle donne con i salari più bassi, inferiori a 2’730 franchi netti al mese. Questo divario è maggiore rispetto agli uomini (2,2 volte). Per queste donne “agiate“, i bassi salari sono davvero “un’altra cosa“… che lasciano alla loro donna delle pulizie.
Ma non è assolutamente un “altro problema” per la maggior parte delle donne. Quelle che sperimentano quotidianamente ciò che l’Ufficio federale di statistica (UST) ha riassunto in tre cifre, raccolte in un rapportoapprovato dal Consiglio federale il 7 settembre: 1° le donne guadagnano complessivamente il 43% in meno degli uomini, 2° le loro pensioni sono in media del 35% inferiori a quelle degli uomini e 3° dedicano in media 1,6 volte più tempo degli uomini al lavoro domestico e familiare non retribuito (30 ore settimanali contro 19). Sono praticamente consapevoli che i loro bassi salari sono la “stessa questione” del loro obbligo de facto di svolgere la maggior parte del lavoro domestico e di cura dei figli. E che le basse pensioni che le attendono sono “lo stesso problema” dei loro bassi salari. Il 25 settembre, questa esperienza è stata un fattore determinante nel rifiuto della maggioranza delle donne di lavorare per un altro anno, come nel 2019, insieme ad altre questioni come la violenza contro le donne, uno dei motivi della massiccia partecipazione allo sciopero femminista del 14 giugno.
Nuove battaglie
La battaglia per le pensioni continuerà. Ecco tre elementi di riflessione in questa prospettiva:
– È essenziale contestare costantemente, in modo argomentato, la narrazione dominante che fa dell'”evoluzione demografica” una legge implacabile, rendendo inevitabile l’aumento dell’età di pensionamento e/o la riduzione delle pensioni. Questo lavoro argomentativo è stato uno dei pilastri della forza del NO nella Svizzera romanda, dove è stato a lungo utilizzato. È ciò che ha reso incisiva la campagna dell’USS nelle ultime settimane. È stata la sua assenza a indebolire fatalmente il rifiuto dell’innalzamento dell’età di pensionamento delle donne in varie parti della Svizzera tedesca.
– La battaglia per le pensioni è inseparabile dalla lotta per la ripartizione della ricchezza prodotta dal lavoro. Per ottenere pensioni sufficienti, per difendere un’età di pensionamento che permetta alle persone di smettere di lavorare prima di essere logorate dal lavoro, dobbiamo combattere la pretesa dei datori di lavoro di ottenere una quota crescente della ricchezza. La battaglia per le pensioni va quindi di pari passo con quella per i salari e l’orario di lavoro.
Fermare l’erosione dei salari a causa dell’inflazione, eliminare i bassi salari e mobilitarsi per la rivalutazione di intere professioni sono battaglie essenziali, una delle quali riguarda anche l’orario di lavoro. Un esempio: nel settore delle cure, il lavoro a tempo pieno è sempre più difficile da sostenere, dato che il carico di lavoro è aumentato in modo molto importante; l’80% è il nuovo “tempo pieno“! Riconoscere il lavoro di cura significa trarre le conseguenze di questa realtà: 80% di lavoro = 100% di retribuzione. E questo non è l’unico settore in cui l’uso sistematico e imposto del part-time, soprattutto per le donne, è stato utilizzato per intensificare al massimo il lavoro.
– Il “secondo pilastro” è una macchina per riprodurre le disuguaglianze salariali in pensione. Ognuno contribuisce per sé, qualsiasi meccanismo di ridistribuzione è vietato. Questo è ciò che lo rende “esemplare” agli occhi della destra e dei datori di lavoro – con in più i buoni affari che la sua gestione offre a banche e compagnie assicurative! È quindi lo strumento più inefficace per combattere le pensioni basse, di cui le donne sono le principali vittime. Nel secondo pilastro sono confrontate con un dilemma impossibile: per aumentare marginalmente le loro future pensioni, devono contribuire molto di più e ridurre in modo insostenibile il loro attuale reddito già insufficiente. Lasciarsi trascinare in questa situazione in nome della “parità” è una trappola. È il rafforzamento del primo pilastro e del meccanismo redistributivo alla base dell’AVS che può migliorare in modo significativo le pensioni delle persone a basso reddito, soprattutto delle donne.
*articolo apparso il 2 ottobre 2022 sul sito www.alencontre.org. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS