Nell’anno del rinnovo del Contratto Nazionale Mantello per l’edilizia principale in Svizzera (CNM) e della sua appendice ticinese, il Contratto collettivo di lavoro per l’edilizia principale del Cantone Ticino (CCL-TI), gli impresari costruttori hanno assunto una linea politica intransigente, più marcata rispetto agli ultimi rinnovi. Finalmente, le loro rivendicazioni hanno preso forma e si sono materializzate in tutta la loro brutalità. Ma oltre 2’500 operai edili hanno rispedito al mittente le inaccettabili pretese di un padronato assetato di profitti e convinto di ottenerli spremendo oltre ogni limite la forza lavoro.
Avanti tutta sulla strada della flessibilità totale
Sostanzialmente due sono le rivendicazioni principali avanzate dai padroni. In primo luogo vogliono maggiore flessibilità, eliminando il calendario annuale (tranne per le festività e le vacanze) che fissa preliminarmente le ore di lavoro per ogni mese. L’intenzione è quella di mantenere il monte ore annuale totale (2112 ore a livello svizzero, 2144 a livello ticinese) spalmando però queste ore in funzione dei volumi di lavoro e delle condizioni meteorologiche. Non soddisfatti, vogliono poter avere settimane – ma anche mesi all’occorrenza – a zero ore, recuperandole nei mesi più propizi, quelli con più luce e meno pioggia. Addirittura il capo-cantiere – naturalmente su ordine secco del padrone – potrà decidere con un breve preavviso (semplicemente qualche giorno prima) se far lavorare gli operai e gli orari che questi dovranno subire. Se la rivendicazione padronale dovesse concretizzarsi, la giornata di lavoro potrebbe raggiungere le 12 ore, naturalmente senza neppure una compensazione salariale supplementare per queste ore straordinarie. Calcolando il tempo viaggio (trasferte), la durata settimanale di lavoro potrebbe raggiungere la cifra record di 58 ore. E non è finita. Per i muratori attivi in Ticino, la pillola potrebbe essere molto più amara. Infatti, il CCL-TI decreta che al sabato non si lavora. In casi motivati, inoltrando una notifica alla Commissione Paritetica Cantonale è possibile lavorare fino a un massimo di 5 sabati nell’anno civile per operaio. Naturalmente, una ditta può fare lavorare più operai al sabato sullo stesso cantiere. Comunque, si tratta di una limitazione importante. Anche il CNM prevede la stessa procedura, con una differenza di rilievo: non ci sono limiti ai sabati durante i quali gli operai edili possono essere chiamati a lavorare con una semplice notifica. Con alcune banali motivazioni, gli operai edili fuori dal Ticino possono in sostanza lavorare tutti i sabati. Questo è uno dei motivi principali che spinge gli impresari ticinesi a rinunciare al CCL-TI. Mentre a livello nazionale, i loro omologhi spingono per togliere i supplementi salariali pagati al sabato.
Anche considerando queste rivendicazioni dal punto di vista della tattica del “chiedo 100 per ottenere 50”, qualsiasi ulteriore concessione in materia di flessibilità è inaccettabile per dei lavoratori edili che già oggi possono lavorare 9,5 ore in cantiere, senza calcolare il tempo di trasferta. Andare oltre questo limite già insopportabile significherebbe semplicemente permettere un tasso di sfruttamento assoluto che supererebbe il limite psico-fisico di sopportazione da parte della forza lavoro.
Nei desideri dei padroni anche l’istituzionalizzazione del dumping salariale
Naturalmente i padroni hanno anche una rivendicazione che permette loro di aumentare i profitti riducendo i salari. Facciamo riferimento all’abrogazione dell’obbligo di mantenimento della classe salariale in caso di cambiamento d’impresa. I salari dei muratori sono suddivisi secondo 5 classi salariali: la C è la più bassa (manovale) mentre la V (capo-cantiere) è la più elevata. Le classi A, Q e V possono essere ottenute attraverso una formazione e l’ottenimento di un diploma (AFC per le classi Q e V). Oppure il datore di lavoro le può assegnare per i meriti raggiunti sul campo. In quest’ultimo caso, se un edile ha ottenuto dal datore di lavoro la classe V e viene licenziato, la nuova impresa potrebbe abbassargli la qualifica alla classe A (oppure andare ancora più in basso). Una vera manna per i padroni, in particolare per quanto riguarderebbe i lavoratori anziani: licenzio un capo-cantiere a 55 anni, questi, pur di trovare un nuovo lavoro che gli consenta di arrivare all’agognato prepensionamento, sarebbe costretto ad accettare una decurtazione salariale di 500 chf al mese sui minimi salariali (in realtà la decurtazione è maggiore perché i salari dei capi-cantieri superano spesso i 6’000 chf lordi mensili). Il fenomeno descritto riguarderebbe ovviamente qualsiasi fascia d’età e aumenterebbe quello che di fatto diventerebbe un dumping salariale legalizzato. Già oggi il 49,14% dei muratori ticinesi è sulla carta[1] un manovale (classe C) oppure un semi-manovale (classe B). Con questa rivendicazione si assisterebbe a un aumento importante, probabilmente tra il 55 e il 60% del totale, dei lavoratori remunerati con i salari più bassi previsti dai vari disposti contrattuali, un risparmio che andrebbe esclusivamente ad alimentare i margini di profitto degli imprenditori.
I padroni hanno fatto chiaramente capire che se le loro rivendicazioni non saranno accolte, sono disposti ad andare verso una fase di vuoto contrattuale, dunque verso una realtà produttiva senza più regole, se non quelle miserrime del codice delle obbligazioni e della legge sul lavoro. Per fare passare questo aumento brutale del tasso di sfruttamento della forza lavoro quale condizione per rilanciare il tasso di profitto, gli impresari hanno organizzato una campagna determinata di disinformazione, condita da elevati dosi di paternalismo, nell’obiettivo di dividere i lavoratori e minare la loro disponibilità alla lotta.
I lavoratori edili ticinesi hanno chiaramente rifiutato un futuro fatto di sfruttamento senza limiti
Per fare ciò, gli imprenditori hanno pubblicato un bollettino dal titolo Edilnews indirizzato ai muratori. Nell’ultimo numero si contenuti contributi del tipo «Negoziamo anche per voi… per i vostri posti di lavoro, per la vostra crescita professionale e per un’edilizia forte e un contratto nazionale mantello orientato al futuro. (…) Con un CNM più flessibile, il lavoro potrebbe essere pianificato meglio. Interessi privati e lavoro sarebbero più facili da conciliare». Una propaganda condotta a tappeto e in modo martellante ma che in Ticino, almeno, non sembra aver fatto breccia. La partecipazione di oltre 2’500 muratori alla giornata di mobilitazione dei lunedì 17 ottobre sembra essere una risposta inequivocabile. Ciò significa che il 40% della forza lavoro edile ha manifestato nelle strade di Bellinzona, una cifra ragguardevole[2]. Questa importante manifestazione ha due chiari significati. I lavoratori rifiutano la propaganda padronale e hanno chiaramente abbracciato le ragioni espresse dai sindacati sui cantieri. Secondariamente, la loro mobilitazione è anche un sostegno diretto alle rivendicazioni sindacali da loro discusse e approvate, rivendicazioni che si collocano all’apposto di quelle padronali. Infatti ad aver ottenuto il maggior sostegno è stata la riduzione delle ore di lavoro giornaliere, ossia passare a 8 ore al giorno in media annuale (minimo di 7,5 ore e massimo di 8,5 ore). Seguono il pagamento integrale delle ore di viaggio, una migliore protezione contro le intemperie (pioggia e canicola) e la protezione dei lavoratori anziani contro i licenziamenti di lavoratori anziani e un aumento dei salari reali e il recupero del potere d’acquisto eroso dall’inflazione, il tutto quantificato in 260 franchi di carovita e un aumento salariale dell’1%.
La risposta dei lavoratori dal Ticino è stata chiara. Ma il nostro cantone è quello dove esiste ancora una presenza sindacale sui cantieri e dei legami di fiducia fra lavoratori e sindacato. Ora la mobilitazione si sposta nelle altre regioni del paese. La partita si giocherà nei principali cantoni svizzero tedeschi, ovvero laddove negli anni si è registrato un calo verticale della capacità sindacale di organizzare e mobilitare i lavoratori edili. Il rischio è dunque che il rapporto di forza peserà ancora su alcuni cantoni romandi e il Ticino. Sarà sufficiente a rompere la determinazione padronale, mai così forte, oppure le direzioni sindacali cederanno ancora terreno, continuando a nascondersi dietro il paravento, ormai consumato, della “politica del meno peggio”? E le regioni con una maggiore attività sindacale sapranno, se necessario, aumentare il grado di conflittualità per respingere l’offensiva padronale, sia nazionale che locale?[3] Le prossime settimane saranno decisive per quello che sembra essere un momento centrale nella storia del più importante contratto collettivo di lavoro esistente in Svizzera.
[1] Sulla carta perché gli impresari ticinesi da ormai molti anni assumono lavoratori italiani con grande esperienza nel mestiere assegnandoli la classe di manovale o di semi-manovale, in quanto l’esperienza accumulato nel paese di residenza non è riconosciuta in Ticino.
[2] In realtà la mobilitazione ha toccato un numero maggiore di lavoratori. Sfortunatamente una parte di essi non ha seguito i colleghi nel ritrovo a Bellinzona, limitando la loro partecipazione alla “sola” astensione dal lavoro, preferendo stare a casa o a raggiungerla una volta abbandonato il cantiere.
[3] In Ticino c’è anche un’altra lotta in corso, ossia quella per la difesa del CCL-TI, migliorativo rispetto a quello nazionale, che una parte importante degli impresari edili indigeni vorrebbe eliminare a favore di un CNM fortemente indebolito.