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Le proteste contro il regime islamico sono entrate nella sesta settimana. Ad animarle sono principalmente donne, studenti, liceali, insegnanti, disoccupati e precari. Nell’industria si sono verificati occasionalmente scioperi politici. Ma non si sono trasformati in scioperi a oltranza, contrariamente a quelli degli insegnanti e degli studenti.
Il primo grande sciopero politico dei lavoratori ha avuto luogo in tre raffinerie nel sud del Paese. È poi seguito lo sciopero dello zuccherificio Haft-Tapeh, nonostante sia stato concesso, a sorpresa e versato proprio il giorno precedente, un bonus salariale equivalente a quasi due mesi di salario.
In seguito, sono stati i lavoratori dell’acciaieria nazionale di Khuzestan che hanno minacciato di entrare in sciopero se la repressione dei manifestanti continuerà. Ma non abbiamo ancora notizie precise in merito, poiché Internet è interrotto o disturbato, soprattutto in queste regioni.
Mercoledì 25 ottobre, presso la raffineria di Teheran, una delle più grandi dell’Iran, i lavoratori sono usciti dai loro reparti e hanno organizzato una manifestazione sul posto di lavoro, come si è potuto vedere in un video fatto circolare. Le autorità si sono affrettate a “negare” che si trattasse di uno sciopero. Hanno spiegato che “lo scopo della manifestazione era quello di discutere le difficoltà esistenti con la direzione della fabbrica“!

Tutto ciò dimostra, ancora una volta, che i leader del regime osservano le azioni della classe lavoratrice come un punto di riferimento fondamentale, e con ragione; ricordano, infatti, il ruolo avuto dai lavoratori di questo settore nella rivoluzione del 1979, in particolare lo sciopero generale che fece cadere il regime monarchico, dopo 18 mesi di mobilitazioni nelle strade e nelle università.

Una convergenza mai raggiunta in passato

In Iran c’è sempre stato un divario tra il ritmo del movimento operaio e quello dei movimenti di protesta più in generale.
Durante la rivoluzione antimonarchica del 1979, i lavoratori industriali hanno cominciato a mobilitarsi e sono scesi in campo dopo 14 mesi dopo l’inizio delle mobilitazioni contro il regime dello scià. Ciò non significa che molti di loro non abbiano partecipato fin dall’inizio a titolo individuale, proprio come oggi fanno i giovani disoccupati o precari, gli insegnanti o i dipendenti statali. Ma non hanno partecipato come lavoratori, come classe. Solo molto più tardi hanno fatto ricorso all’arma dello sciopero e gli scioperi si sono trasformati in sciopero generale. Nel 1979, all’inizio le parole d’ordine non chiedevano il rovesciamento del regime, ma si limitavano alla richiesta di liberare i prigionieri politici.
Sotto la presidenza di Seyyed Mohammad Khatami (1997-2005), i lavoratori non si sono mossi.
Nel 2009, scioperi e altre azioni di protesta di massa hanno avuto luogo in concomitanza con le manifestazioni delle “classi medie” contro i brogli elettorali del presidente in carica Mahmoud Ahmadinejad (2003-2015). Due milioni di manifestanti sono scesi in piazza a Teheran. Ma questi due movimenti non si sono mai incrociati.
Infatti, uno era apertamente politico e interamente controllato dell’ala riformista del regime, con slogan politici contro Ahmadinejad e limitati a una riforma del regime islamico; l’altro era invece un forte movimento di protesta. Il ruolo dei leader del movimento riformista, come Mir Hossein Moussav e Mehdi Karoubi, fu decisivo nella separazione dei due movimenti. Non volevano assolutamente che si verificasse una convergenza.

La speranza che viene dalle recenti esperienze

Negli ultimi anni si sono verificate convergenze occasionali o durature tra gli scioperi dei lavoratori e il mondo studentesco, soprattutto per iniziativa di studenti di sinistra. Il loro slogan “siamo i figli dei lavoratori e stiamo al loro fianco” è risuonato spesso negli scioperi e nelle manifestazioni di piazza dei lavoratori dell’industria, ad esempio quella dello zuccherificio Haft-Tapeh, delle Acciaierie Nazionali, della Hepco (un importante produttore di attrezzature per l’edilizia), ecc. Tutto ciò dimostra il livello di consapevolezza politica degli studenti e il loro forte orientamento a sinistra.
Nel maggio 2021, i lavoratori del complesso Haft Tapeh hanno imposto la rinazionalizzazione della loro fabbrica, dopo due lunghi anni di lotta e decine di arresti e licenziamenti.
Nell’estate del 2021, alcuni settori dell’industria petrolifera hanno organizzato il più grande sciopero nella storia della Repubblica islamica, con oltre 100’000 scioperanti distribuiti tra 15 province dell’Iran meridionale. Nel giro di poche settimane, la vertenza si è trasformata in uno sciopero politico.
Sono due esempi che dimostrano la rapidità con la quale possono svilupparsi le lotte condotte da lavoratori decisi che hanno battagliato a lungo negli ultimi anni.
Questa volta, la possibilità di una rapida convergenza delle lotte appare assai plausibile.

*Articolo apparso il 29 ottobre 2022 sul sito  Solidarité Socialiste avec les Travailleurs en Iran. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.