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Come troppo spesso accade, la questione dell’esplosione dei prezzi dell’energia elettrica in Svizzera (ma anche in Europa) è stata spiegata con diversi argomenti, i quali solo in minima parte costituiscono una concausa di questo processo. La vera ragione di fondo, il fallimento della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, è solo raramente accennata e solo tra le righe. Una narrazione non anodina, ma funzionale all’offensiva padronale. Le imprese colpite da prezzi decuplicati dell’energia elettrica sarebbero le vittime innocenti di fattori unicamente congiunturali e delle misure di lotta contro la crisi climatica, in particolare quelle che cercano di mettere un limite (ahinoi troppo) progressivo all’uso di fonti energetiche come il carbone, il gas e l’energia nucleare. L’obiettivo è semplice. Usando anche il ricatto della salvaguardia dei posti di lavoro, le varie associazioni padronali e i loro partiti politici di riferimento reclamano ad alta voce il lancio di vari “salvagente” finanziari pubblici. In pratica si tratta, ancora una volta, di socializzare i costi di interessi squisitamente privati. E allo stesso tempo, si mira a delegittimare chiunque difenda l’abbandono dei vettori energetici che alimentano la crisi climatica, reclamando l’eliminazione di qualsiasi ostacolo al libero uso di petrolio, carbone ed energia nucleare, con il solo risultato di alimentare un circolo vizioso assolutamente distruttivo.

Alcune rapide considerazioni preliminari

Eppure, mai come davanti a questa crisi sarebbe necessario lavorare su alcune verità oggettive. E questo perché l’esplosione dei prezzi dell’energia elettrica ha un’origine indiscutibile: la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e la conseguente speculazione tipicamente capitalista della gestione del commercio di questo bene fondamentale. Per il momento è una crisi dei prezzi e non di approvvigionamento. Non affrontare questo aspetto determinante significa semplicemente preparare altre crisi di questo genere nel corto-medio termine. Non è infatti la guerra in Ucraina la causa scatenante dell’attuale crisi energetica, né il blocco delle esportazioni russe di gas. La crescita consistente dei prezzi è infatti iniziata a metà dell’anno 2021, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, come è dimostrato dai grafici 1 e 2.

grafico 1

grafico 2

E in Svizzera non è neppure il calo della produzione ad aver generato questa spirale dei prezzi per il semplice motivo che le medie annue degli anni 2021 e 2022 (fino a maggio) non sono fra le più elevate, ma sono risultati che si sono verificati anche negli anni passati, senza che per questo si scatenasse neanche lontanamente lo stesso brutale innalzamento dei prezzi (cfr. grafico 3).

grafico 3

E non è neppure la diminuzione del contenuto dei bacini di accumulazione in Svizzera dovuta ai primi mesi di siccità del 2022 ad aver provocato l’esplosione dei prezzi. Infatti, l’involata di questi ultimi è iniziata, come ormai assodato, a metà del 2021. A confermare questa situazione basta gettare uno sguardo al grafico della media mensile del contenuto in percentuale dei bacini di accumulazione in Svizzera durante il periodo gennaio-settembre. Ebbene, il grafico in questione (grafico 4) dimostra come negli anni dal 2008 al 2022 non ci siano stati scostamenti degni di rilievo.

grafico 4

Il movimento è stato sostanzialmente regolare e non si sono registrate diminuzione importanti delle riserve di acqua nei bacini di accumulazione, anche in questo 2022 molto arido. Ciò non significa che in futuro vicino non assisteremo una rottura di continuità su questo fronte, soprattutto dopo lo scioglimento dei ghiacci e se le precipitazioni nevose dovessero diminuire in maniera importante. Sarà il prezzo della crisi climatica che il padronato vuole continuare a ignorare. Ma è chiaro questo problema non può essere considerato una causa dell’esplosione attuale dei prezzi dell’energia elettrica in Svizzera.

E non è neppure possibile imputare l’aumento dei prezzi a un rincaro dei costi di produzione. Infatti, il settore dell’energia elettrica, sia per quanto concerne la produzione che la distribuzione, si compone essenzialmente di costi fissi di lungo termine, i quali rappresentano quasi la totalità per gli impianti che realizzano energia rinnovabile (idraulica, eolica e fotovoltaica). Si tratta di costi in massima parte dovuti alla costruzione delle opere infrastrutturali, la cui durata di vita è molto lunga (anche più di 60 anni). I costi fissi comprendono l’investimento iniziale, una parte delle spese d’esercizio legate alla manutenzione e la remunerazione del capitale investito e del rimborso degli interessi sul prestito. I costi fissi non variano con la quantità di energia prodotta, restano tali anche nel caso in cui la produzione di una società dovesse aumentare o diminuire. Il loro finanziamento dipende più dalla durata dei contratti di produzione e fornitura e dal versamento delle tariffe applicate. Anne Debregeas, ingegnere e portavoce del sindacato SUD-Energia, analizzando al caso francese (ma valido per tutti paesi europei) è giunta alla seguente constatazione: «anche in base alla media annuale, i prezzi di mercato hanno fluttuato venti volte di più dei costi di produzione nell’ultimo decennio, con una differenza del 239% tra il minimo e il massimo annuale (32 €/MWh nel 2020, 108 €/MWh nel 2021) rispetto a una differenza di solo il 16% per i costi di produzione» [1]. Quindi, neppure questa voce può essere annoverata fra le causa dell’esplosione dei prezzi dell’energia elettrica.

La spiegazione di questo fenomeno non deve dunque essere principalmente ricercata in fattori congiunturali, bensì nei cambiamenti di fondo che hanno sconvolto questo settore strategico, cristallizzati nel processo di liberalizzazione che si è abbattuto su un sistema che, per importanza e conformazione, andava assolutamente mantenuto sotto il mantello del monopolio pubblico.

I miraggi della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica in Europa

Nel 1996 è iniziato il processo di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica in seno all’Unione europea (UE), conclusosi nel 2007 con la possibilità data ai piccoli e ai grandi consumatori di scegliere il proprio fornitore di elettricità. Val la pena ricordare, per chi ha la memoria corta, che questi processi di liberalizzazione nel settore energetico – come in altri settori pubblici quali i trasporti e le comunicazioni – avvennero sotto l’egida di quella che venne denominata l’Europa rosa, cioè una Unione europea dominata da governi di sinistra o centro-sinistra.

La realizzazione della liberalizzazione del mercato dell’elettricità è avvenuta a due livelli, ossia creando un mercato all’ingrosso che organizza gli scambi di compra vendita di elettricità fra i cosiddetti professionisti del settore (produttori, fornitori e grandi clienti industriali) per mezzo di una borsa e un mercato al dettaglio, nel quale convergono i contratti fra fornitori e consumatori finali (economie domestiche, imprese, amministrazioni, ecc.). Per questo secondo mercato vigeva il principio della tariffa di vendita regolamentata, una sorta di servizio universale con prezzi fissati ogni anno dai vari operatori del settore. Le imprese confluite nel mercato al dettaglio potevano fuoriuscirne per raggiungere il mercato all’ingrosso. In questo caso, il ritorno nella “fascia regolamentata” del mercato al dettaglio non era più possibile.

Come sempre per i progetti di liberalizzazione dei monopoli pubblici, le grandi promesse ruotavano intorno a due obiettivi principali: una riduzione consistenti dei prezzi dell’elettricità e un’organizzazione più efficace sia dal punto di vista economico che produttivo del sistema energetico. Obbiettivi falliti clamorosamente. Infatti, dal 2007 al 2021, i prezzi dell’energia elettrica per i cosiddetti piccoli consumatori finali sono cresciuti del 27,38%[2]. Praticamente la stessa crescita (+27,83%) è stata contabilizzata a livello dei prezzi sul mercato all’ingrosso. I dati non comprendono ovviamente le tariffe del 2022 e, soprattutto, del 2023. Il bilancio sarebbe ancora più fallimentare. Valutando già nel 2014 la politica complessiva energetica dell’Unione europea, nella quale la liberalizzazione del mercato era un elemento centrale, Jean Pisani-Ferry, allora Commissario generale alla strategia e alla prospettiva del governo francese, scriveva che «l’Europa dell’energia è in crisi. A fine 2008, l’Unione europea si era data, con il pacchetto “clima-energia”, degli obiettivi per il 2020 suscettibili di colpire gli animi. (…) Nessuna delle proiezioni sulle quali si basava questa strategia sono state confermate. È evidente oggi che questo insieme non risponde più agli obiettivi iniziali: né la sicurezza a livello dell’approvvigionamento, né la salvaguardia della competitività europea, né infine la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra grazie all’efficacia energetica e il ricorso alle energie rinnovabili sono state assicurate» [3]. La situazione non ha fatto altro che peggiorare, fino ad arrivare al caos di questi mesi.

La liberalizzazione in Svizzera presenta esattamente lo stesso bilancio fallimentare…

In Svizzera il processo di liberalizzazione è stato solo marginalmente differente. In primo luogo, è avvenuto con un certo ritardo temporale rispetto a quello europeo, anche per effetto dell’opposizione che si era chiaramente manifestata nella fase iniziale. In secondo luogo, la liberalizzazione totale non ha ancora avuto luogo. Infatti, il mercato elvetico dell’energia elettrica è ancora suddiviso fra “consumatori fissi finali”, ossia le economie domestiche e gli altri consumatori finali con un consumo annuo inferiore a 100 MWh (piccole e medie imprese, amministrazioni pubbliche, ecc.) per centro di consumo e i “grandi consumatori” il cui fabbisogno supera i 100 MWh all’anno. Il primo gruppo è ancora vincolato al servizio universale: non può scegliere il proprio fornitore d’energia ma è legato ai gestori delle reti di distribuzione locali ed è sottoposto a un tariffario fisso unitario per almeno un anno (tariffa di base). Gli appartenenti al secondo gruppo possono invece scegliere il loro fornitore di elettricità sul mercato. Se decidono di uscire dal servizio universale (ossia dal tariffario fisso unitario) non vi possono più fare ritorno. Oggi, circa il 99% dei consumatori elvetici è costituito da clienti vincolati al gestore della rete di distribuzione locale, sottoposto quindi al regime del servizio universale con tariffe “fisse” di base. Sui tavoli della politica giace il progetto di liberalizzare completamente l’accesso al mercato, permettendo ai piccoli consumatori finali di decidere se restare ancora sotto il regime universale oppure approvvigionarsi sul mercato a prezzi variabili, secondo il principio della “libera scelta” …

Queste differenze fra la liberalizzazione targata UE e quella targata CH portano però allo stesso risultato finale. Approvata definitivamente nel 2007 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2008, la liberalizzazione del mercato svizzero dell’energia elettrica ha infatti comportato un aumento dei prezzi per i piccoli consumatori, ossia il 99% del totale. Dal 2009 al 2020, l’aumento del prezzo medio pagato dal consumatore finale è cresciuto del 9,06% [4] (cfr. grafico 5).

grafico 5

Come sempre, i dati statistici in Svizzera sono forniti con una lentezza esasperante quanto calcolata, ragione per la quale non esistono ancora i dati nazionali per il 2022 e il 2023, i quali imprimeranno una vera e propria sterzata verso l’alto ai prezzi medi. Movimento già evidente a livello dei risultati cantonali, come riportato dal grafico qui a lato, i quali comprendendo anche le tariffe del 2022 e del 2023. In 20 cantoni (cfr. grafico 6), gli aumenti sul periodo preso in considerazione hanno conosciuto una crescita superiore al 20%. In due soli cantoni è stata contabilizzata una diminuzione dei prezzi.

grafico 6

Ma i dati per cantoni sono disponibili solo per il breve periodo 2018-2023. Con tutta probabilità, gli aumenti dei prezzi sono ancora più consistenti partendo dal 2009.  In Ticino (cfr. grafico 7), per esempio, la crescita dei prezzi per le economie domestiche sul periodo 2009-2023 è stata del 51,38% secondo i dati forniti dell’Elcom.

grafico 7

La situazione si presenta variegata anche all’interno di ogni cantone, con prezzi differenziati rispetto ad ogni distributore. In Ticino, delle 11 società di distribuzione (alcune di loro sono anche produttrici), ben 4 hanno registrato degli aumenti dei prezzi superiori al 45% durante il periodo 2009-2023. In conclusione, sia a livello svizzero che nella maggior parte dei cantoni, la liberalizzazione si è un risolta in un aumento dei prezzi per la quasi totalità dei cittadini. Non ci resta che tentare di capire come si è pervenuti a questo risultato.

Il prezzo da pagare con il passaggio da un servizio pubblico (imperfetto) a un servizio mercantile…

Con la liberalizzazione del settore dell’energia elettrica si è creato un mercato dominato dalla ricerca del massimo profitto. L’energia elettrica è un bene particolare in quanto è ormai diventato fondamentale per il funzionamento delle società occidentali. Da bene sociale è diventato un bene dal quale estrarre un elevato tasso di profitto. E l’energia elettrica da questo punto di vista rappresenta una merce vantaggiosa: la sua domanda è poco elastica. Se in uno scenario in cui c’è sovrabbondanza di produzione elettrica è difficile modificare la domanda – cioè il consumo – globale di energia elettrica, è altrettanto vero che quando la sua produzione – per vari motivi – è in forte calo, la domanda rimane comunque sempre elevata. Anzi, nonostante l’aumento vertiginoso dei prezzi, i consumi rischiano di rimanere molto stabili. Ciò che ovviamente garantisce una fonte stabile di profitti (e spesso di sovraprofitti). Tanto più che la produzione di energia elettrica è “facilmente” manovrabile, nel senso che principali attori – i grossi produttori e i grandi fornitori commerciali – possono “facilmente” e “artificialmente” organizzare una certa “penuria” per far lievitare i prezzi; in ogni caso, anche un’offerta a prezzi esplosivi troverà una domanda obbligata ad accettarla. Alcuni esperti del mercato, come il broker in energia elettrica Marco Renggli, confermano questo scenario: «Non c’è più una procedura di gara d’appalto. Il problema non è più il prezzo, ma chi fa le offerte per l’elettricità. Ho l’impressione che non ci sia carenza di elettricità, ma che alcuni produttori, semplicemente, non facciano più offerte per aumentare il prezzo» [5].

Parallelamente alle manovre di manipolazione della produzione per innalzare i prezzi, ad essere sul banco d’accusa è l’intera impalcatura del mercato, letteralmente costruita sulla speculazione dei prezzi. In primo luogo, invece di mettere ordine nel settore, la liberalizzazione ha agito in senso contrario. Con la sua progressiva affermazione sono nati nuovi soggetti determinanti a livello della gestione dell’energia elettrica. Si tratta delle società di commercio, di trading, che non producono, non trasportano e non distribuiscono neppure un chilowattora, ma realizzano grandi profitti intervenendo nelle borse dell’energia elettrica costituitesi in Europa. Sono società che comprano e rivendono grandi quantitativi di energia elettrica. Lo potrebbero fare anche da uno scantinato, a condizione di avere una buona rete internet. Per garantirsi profitti elevati, questi nuovi soggetti hanno elaborato un meccanismo di fissazione dei prezzi che non ha più nessuna correlazione reale con il prezzo di costo, con il valore potremmo dire, dell’elettricità effettivamente prodotta e consegnata.

Si tratta del meccanismo designato con l’espressione di prezzo marginale. Giornalmente, le varie borse raccolgono le offerte di produzione, classificandole dal costo marginale più basso a quello più alto. L’operatore di mercato sceglie l’unità di produzione più costosa, normalmente sono le centrali a gas ad aver i costi operativi più elevati, che diventa l’unità marginale di riferimento, ossia quella che determina il prezzo di mercato per tutti i partecipanti al commercio dell’energia elettrica in quel dato momento. Il sistema è complesso. In definitiva il prezzo delle fatture elettriche pagate dai consumatori è indicizzato al corso del gas, anche se si fornisce energia di matrice idraulica. Per semplificare «immaginiamo di avere tre centrali elettriche, i cui costi operativi sono rispettivamente di 10, 20 e 50 euro per MWh. Se ho bisogno di chiamarle tutte e tre in un determinato momento, il prezzo finale sarà allineato a 50 euro. In altre parole, i primi due impianti avranno una grande rendita marginale, cioè un “profitto” importante, e il prezzo di mercato sarà elevato» [6]. Questo sistema di calcolo dei prezzi è dunque puramente artificiale, speculativo, dal momento in cui non ha praticamente nessuna correlazione con i costi di produzione reali delle varie fonti di energia elettrica, in particolare quelle rinnovabili. Ciò che porta la ricercatrice francese Anne Debregeas ad affermare che «senza i mercati, il prezzo dell’elettricità non sarebbe cambiato in modo significativo» [7]. Un sistema di questo genere è capace di sfruttare qualsiasi variabile congiunturale (cambiamento di legislazione, guerre, siccità, crisi economica, sospensione di centrali atomiche dovute a operazioni di manutenzione o controllo) per aumentare i prezzi. Una situazione che ha portato il non bolscevico direttore generale dei Services industriels de Genève (SIG) a esclamare che «prima [della liberalizzazione] la rete elettrica europea era gestita da ingegneri che pensavano solo all’approvvigionamento. Oggi è gestita da trader che pensano solo a fare soldi! Questo è il problema! L’energia è un prodotto vitale, abbiamo lo stesso problema dell’industria alimentare e il nostro modello di società è insostenibile»[8].

È evidente che fino a quando la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia elettrica rimarranno sotto l’egida del mercato privato i prezzi non solo rimarranno elevati, ma le crisi speculative si ripresenteranno regolarmente e, probabilmente, con effetti sempre più devastanti per l’insieme dell’economia e della società, accentuati, a questo punto, anche dai fattori congiunturali (guerre) o strutturali (crisi climatica) citati all’inizio.

I grandi sostenitori della liberalizzazione si stanno bruciando pesantemente non solo le dita…

Come dicevamo all’inizio, il padronato elvetico sta reagendo all’esplosione dei prezzi dell’energia elettrica. Questo perché, evidentemente, la decuplicazione del suo costo sta seriamente minacciando l’attività, quindi i profitti, di una fetta cospicua di aziende. Eppure, il padronato svizzero è stato fra i principali entusiastici sostenitori della liberalizzazione del mercato. Cosa è successo? Semplicemente è stato vittima della sua infinita ingordigia di profitti. La liberalizzazione ha permesso alle imprese che consumano più di 100 MWh all’anno di scegliere “liberamente” il proprio fornitore di energia elettrica, mentre le economie domestiche e le piccole imprese sono rimaste vincolate alle tariffe di base (regolamentate) del servizio universale. I grandi consumatori privati si sono dunque sganciati dal servizio universale approvvigionandosi direttamente sulle varie borse elettriche oppure attraverso le piattaforme commerciali di intermediazione. Attraverso questi canali si possono acquistare “pacchetti elettrici” a brevissimo termine (spot): acquisto al prezzo di oggi e ricevo la fornitura domani, fra due settimane o fra un mese. Oppure c’è l’offerta a più lungo termine, ossia a un prezzo di oggi per una fornitura più lontana, generalmente da un mese a tre anni dopo l’acquisto. Il contratto a medio termine ha un costo più elevato ma assicura una relativa minore volatilità dei prezzi. All’opposto, il contratto a breve termine, nei periodi in cui i prezzi si riducono, permette grossi risparmi, scegliendo anche giornalmente le offerte migliori delle diverse borse elettriche. Ovviamente se i prezzi s’impennano fortemente e rapidamente, l’impresa che ha scelto questa opzione rischia di vedere la propria situazione finanziaria fortemente destabilizzata, se non in serio pericolo. È facile capire perché le associazioni padronali siano sprofondate in una vera e propria situazione di panico, tanto più se si tiene in considerazione il fatto che ben il 90% delle imprese svizzere, che avevano la facoltà di scegliere, sono uscite dal servizio universale per abbracciare il mercato elettrico speculativo. La Regione del 15 settembre riportava il caso emblematico di un’impresa ticinese che conferma quanto stiamo qui dicendo: «Abbiamo avuto la sfortuna [sic!] di avere un contratto pluriennale di fornitura dell’energia in scadenza proprio alla fine dell’anno scorso». La soluzione di questa impresa è stata di passare dalla padella alla brace: «A quel punto ci siamo rivolti agli acquisti “spot”, di fatto seguendo i prezzi di mercato nell’attesa di trovare soluzioni più sostenibili». E il risultato di fare affidamento al caro libero mercato è stato questo: «spendevamo 20-25mila franchi al mese per l’energia, ora siamo a 70mila e non sappiamo cosa ci aspetta il mese prossimo. Diventa troppo arduo perfino fare un budget e intanto la liquidità se ne va tutta nelle bollette, rendendo impossibile ricostituire riserve o fare investimenti».

Ma questa impresa non è la sola a trovarsi in una situazione del genere. Il grande imprenditore e uomo politico Fabio Regazzi, presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM) e consigliere nazionale de Il Centro è una vittima eccellente dei miraggi della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica. Infatti, dai 60’000 franchi pagati nel 2022, la sua bolletta per il 2023 conoscerà un aumento del 1’600%, avvicinandosi al milione di franchi. L’imprenditore e rappresentante padronale ammette che «l’offerta del cosiddetto mercato libero era allettante e abbiamo colto l’occasione al volo.  (…) Quando il contratto è scaduto, ho chiesto un’offerta”, spiega il ticinese. Aveva già presentato una domanda a marzo, “il prezzo era già cinque volte superiore a quello dell’anno precedente”. Così ho deciso di aspettare, pensando che si sarebbe abbassato» [9]. Verrebbe da dire al presidente dell’USAM: è il mercato, bellezza!

Dopo aver speculato per anni sull’energia, guadagnandoci, Regazzi adesso veste i panni della vittima innocente, dell’imprenditore in pericolo; non lo sfiora nemmeno l’idea di confessare che questa situazione è il risultato della volontà ferrea del padronato di liberalizzare il mercato dell’energia. Cerca invece di attribuire la colpa ad altri: «la situazione attuale è in gran parte dovuta a un fallimento dello Stato”, ha detto Regazzi. Secondo lui, “sono le decisioni politiche che hanno portato alla diminuzione della capacità elettrica, impedendone lo sviluppo” [10]. In altre parole, si tratta di un vero e proprio attacco alle politiche di riduzione delle energie inquinanti (in realtà assai timide) che sarebbero la causa fondamentale dell’esplosione dei prezzi. Regazzi rappresenta perfettamente la corrente dominante a livello del padronato elvetico, incapace, anche ormai davanti all’evidenza più elementare, di abbandonare la difesa a oltranza delle politiche di liberalizzazione dei monopoli pubblici. E questo neppure quando le loro “rivendicazioni” per arginare l’esplosione dei prezzi contengono, implicitamente, l’ammissione del fallimento della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e che l’incondizionato sostegno a queste politiche costituisce una seria e continua minaccia nei confronti del tasso di profitto a medio termine.

L’Usam, infatti, fra le varie misure rivendicate, chiede di «consentire alle aziende che operano nel cosiddetto mercato libero dell’energia elettrica di tornare alla fornitura di base» [11]. Detto altrimenti, le aziende che hanno speculato sui prezzi variabili a cortissimo termine sulle borse dell’elettricità adesso vorrebbero ritornare sotto il servizio universale, dove i prezzi sono fissi per almeno un anno e dove gli aumenti, per le imprese, non sono neppure paragonabili a quelli registrati sul libero mercato. Una rivendicazione, questa, che scandalizza anche uomini del settore come Christian Petit, direttore di Romande Energie SA, il quale ha affermato che «nel 2008 il mercato è stato liberalizzato per le aziende e il 90% di esse ha scelto di far giocare la concorrenza. Hanno beneficiato dei bassi prezzi del mercato spot per il decennio successivo, cosa che non è avvenuta per le famiglie. Troverei pretestuoso voler approfittare del libero mercato quando i prezzi sono bassi, mentre si beneficia delle tariffe regolamentate quando aumentano» [12].

Le contraddizioni della liberalizzazione mordono la nuca ai padroni…

La soluzione dell’Usam citata più sopra è la dimostrazione palese del fallimento della liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, anche dal punto di vista degli interessi di classe del padronato.

In primo luogo, è la conferma di come un bene primario non possa dipendere dalla logica del mercato, in quanto questa è orientata al profitto, del quale la dimensione speculativa non ne è altro che una componente connaturata. La situazione attuale dimostra queste contraddizioni: una parte minoritaria del capitale trae immani profitti dall’esplosione dei prezzi, mentre un’altra parte, più consistente e soprattutto legata alle attività industriali, è in grave sofferenza, con i margini di profitto che si contraggono pesantemente e, in alcuni casi, addirittura con il rischio di dovere cessare alcune attività, nonostante portafogli di ordini ancora ben forniti. Permettere alle imprese di abbandonare il mercato per rientrare nel servizio universale è una proposta che deve essere rifiutata perché costituisce unicamente una misura puntuale, il tipico cerotto, che non rimette in discussione le cause di questa grave malattia, la liberalizzazione del mercato.

Inoltre, non è attuabile sul piano pratico, proprio a causa della stessa liberalizzazione. Se il desiderio dell’Usam di far rientrare le imprese sotto l’egida del servizio universale ai prezzi fissi dell’approvvigionamento di base diventasse realtà, ciò farebbe probabilmente implodere l’intero sistema dell’energia elettrica in Svizzera. Oggi le società di produzione e quelle miste di produzione/distribuzione non sembrano essere in grado di rifornire con i prezzi fissi del servizio universale il 90% delle imprese che ha scelto il “libero mercato”. E questo per diversi e decisivi motivi. La fuga dal mercato verso il servizio universale non sarebbe sostenibile in termini di aumento della fornitura per le società di approvvigionamento elvetiche che devono garantire elettricità a prezzi fissi alle economie domestiche e alle imprese di questa fascia. Pensiamo a una società come la Stahl Gerlafingen che consuma in un anno circa 360 gigawattora di elettricità pari al consumo annuale di circa 70’000 famiglie. Ciò significherebbe un aumento globale del consumo di energia, indotto da una sola industria (!), della fascia del servizio universale del 25,5% per il canton Soletta. Per rispondere a una tale impennata della domanda, sempre teoricamente, sarebbe necessario uno scioglimento drastico delle riserve dei bacini di accumulazione, tale da mettere in pericolo l’approvvigionamento corrente in tempi molto rapidi, tanto più se dovessero persistere le condizioni climatiche avverse alla produzione di energia elettrica. E a condizione che, per rimanere nel nostro esempio, il canton Soletta disponga di tali riserve. Le società di approvvigionamento dovrebbero rivolgersi alle borse elettriche europee per compensare l’aumento di consumo, scontrandosi così con prezzi impossibili, gli stessi che stanno mettendo in ginocchio una buona parte del 90% delle imprese svizzere che hanno optato per i prezzi del “mercato libero”.

Infine, molte delle società di approvvigionamento elvetiche, in larga maggioranza a capitale pubblico, sono pure fortemente invischiate nel commercio liberalizzato di energia elettrica, vendendo e acquistando elettricità sul mercato europeo sulla base anche di contratti a brevissimo e a medio termine; ciò impedisce loro di “liberare” quote di elettricità da destinare a nuovi potenziali clienti interni qualora venissero collocati di forza nella fascia dei prezzi fissi. Al di là dei vincoli contrattuali, queste società cantonali e locali non avrebbero neppure l’intenzione di vendere ulteriori quote di energia elettrica a prezzi inferiori a quelli del mercato, poiché il loro scopo è ormai la ricerca del massimo profitto. E questo lo si raggiunge, soprattutto oggi, vendendo sulle borse europee dell’energia elettrica, al momento in cui l’impennata della domanda rappresenta un’occasione redditizia. E in questo sono spinte anche dei governi cantonali, come ha lasciato trapelare Christian Brunier direttore generale dei Services industriels de Genève: «molti cantoni usano le imprese energetiche per far soldi, evitando così di aumentare le imposte» [13] o compensando gli sgravi fiscali concessi alle imprese e ai loro ricchi proprietari. Basta dare un’occhiata ai principali dati statistici sulla produzione e il consumo di energia elettrica in Svizzera. A inizio gennaio 2022, la Svizzera produceva 165,4 GWh netti a fronte di un consumo di 195,2 GWh, ciò che dà un saldo negativo di 29,8 GWh. Allo stesso tempo, il sistema elvetico ha esportato 78,3 GWh e importato ben 108,1 GWh. Perché a fronte di un deficit energetico, la Svizzera non si limita a importare quanto necessario, invece di esportare una parte della propria produzione? La risposta è relativamente semplice. Nelle fasi dove si verificano i picchi di domanda (mattina presto, verso mezzogiorno e alla sera), l’energia è venduta a un prezzo più elevato sul mercato. Questa energia di punta è prodotta da centrali, in massima parte idroelettriche (mediante pompaggio) che possono essere attivate in brevissimo tempo (pochi minuti) per coprire appunto i momenti di massima richiesta. Considerato il fatto che la maggior parte della produzione elettrica svizzera è di matrice idroelettrica, le società di produzione elvetiche guadagno enormemente di più vendendo la propria energia nelle fasi di massima richiesta, assicurando la copertura della fascia di consumo interno “di banda” (quella più stabile e venduta a prezzi inferiori) grazie alle importazioni di elettricità prodotta dalle centrali atomiche e a carbone sulla base di contratti a lungo termine. Ecco perché pur avendo un deficit elettrico le società svizzere di produzione e distribuzione di energia elettrica, comprese quelle pubbliche, realizzano profitti importanti, enormi in una fase di acuta speculazione come quella attuale.

Alcuni spunti di riflessione conclusivi

La situazione attuale dei prezzi dell’energia elettrica è il risultato diretto della liberalizzazione del mercato. Ogni tentativo di risolverla restando all’interno questo sistema è votato al fallimento. I fatti sono evidenti. Il padronato e i partiti borghesi, di tutte le colorazioni (compreso il rosso sempre più pallido), non hanno naturalmente nessuna intenzione di smantellare questo sistema per loro altamente redditizio. E non sono intenzionati a farlo neppure davanti alla crisi climatica che potrebbe accelerare una prossima crisi profonda a livello dell’approvvigionamento di questo bene sociale fondamentale. La scomparsa dei ghiacciai e la diminuzione delle precipitazioni, in particolari nevose, costituiscono una seria e immediata minaccia per la produzione di energia idroelettrica. La costruzione di nuove centrali atomiche e a carbone/gas non può rappresentare una risposta adeguata, neppure dal punto di vista degli interessi del padronato. Infatti, questa strada non scongiurerebbe il ripetersi di fenomeni di speculazione sui prezzi, accentuando invece la crisi climatica. Per arginare la problematica dei prezzi dell’energia è necessario che la produzione e la distribuzione di energia elettrica ritornino ad essere un monopolio pubblico, il più possibile centralizzato, con un controllo decisionale democratico esercitato dagli utenti. Questo perché l’energia elettrica è un bene comune fondamentale che rischia oltretutto di rarificarsi a causa della crisi climatica generale. Ecco perché bisogna strapparla al dominio dello sfruttamento mercantile capitalista. Questa è la strada da seguire, attraverso un dibattito ampio e approfondito ma urgente. Le altre opzioni sono solo dei sentieri che conducono verso il precipizio.

[1] https://lvsl.fr/electricite-cest-le-marche-qui-a-fait-exploser-les-prix-entretien-avec-anne-debregeas

[2] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/product/page/NRG_PC_204_custom_3389393

[3] Commisariat général à la stratégie et à la prospective, La crise du système électrique européen. Diagnostic et solutions, Parigi, gennaio 2014, pp. 3-4.

[4] Ufficio federale dell’energia OFEN, Statistica svizzera dell’elettricità 2021.

[5] https://www.24heures.ch/les-prix-a-la-bourse-ont-perdu-tout-lien-avec-la-realite-829329048262?idp=OneLog&new_user=yes

[6] https://www.francetransactions.com/actus/actualites-socio-economiques/prix-de-l-energie-la-fin-de-la-speculation-financiere-est-pour-bientot-l-union.html

[7] https://lvsl.fr/electricite-cest-le-marche-qui-a-fait-exploser-les-prix-entretien-avec-anne-debregeas/

[8] https://www.lemanbleu.ch/fr/Actualites/Geneve/2022060997147-Christian-Brunier-Il-faut-arreter-de-speculer-sur-l-energie.html

[9] https://www.blick.ch/fr/news/suisse/faillite-en-vue-a-cause-de-lexplosion-du-prix-de-lelectricite-une-societe-tessinoise-se-ruine-id17866452.html

[10] Usam, comunicato stampa del 12.09.2022, Mesure pour faire face à la crise de l’électricité : il faut agir vite.

[11] Idem.

[12] https://www.24heures.ch/le-mecanisme-de-prix-pour-lelectricite-de-gros-est-absurde-748907389429

[13] https://www.lemanbleu.ch/fr/Actualites/Geneve/2022060997147-Christian-Brunier-Il-faut-arreter-de-speculer-sur-l-energie.html

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