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Pubblichiamo questo interessante testo di Marc Perelman che invita ad andare al di là degli appelli fatti finora sul mondiale di calcio in Qatar e organizzare un vero e proprio boicottaggio della manifestazione. Un appello che, naturalmente, interpella anche noi che, finora, ci siamo mossi solo nell’ottica di chiedere alle autorità pubbliche di non mettere a disposizione spazi e strutture per i maxischermi. L’appello di Perelman deve essere preso sul serio e invitarci ad approfondire, nei limiti del possibile, la nostra azione. (Red)

Innanzitutto, una breve rassegna storica. Il termine boicottaggio è associato al nome di una persona, in questo caso Charles Cunningham Boycott. A metà del XIX° secolo, Charles Cunningham, al servizio di un conte di cui amministrava le terre, fu bloccato dai contadini insoddisfatti del suo rifiuto di ridurre gli affitti a causa dei cattivi raccolti. L’azione degli agricoltori era il “boicottaggio”. Questo evento fu riportato nel Figaro del 17 novembre 1880. Il termine è stato successivamente utilizzato per indicare una quarantena.

Nel campo dello sport, ci sono stati molti appelli al boicottaggio o veri e propri boicottaggi a partire dalle Olimpiadi naziste di Berlino del 1936. Due anni prima delle Olimpiadi, negli Stati Uniti fu lanciata una campagna internazionale per boicottare la competizione nazista. Quel tentativo fallì soprattutto grazie agli sforzi di un filonazista e antisemita come Avery Brundage [1887-1975-USA], diventato poi presidente del Comitato Olimpico Internazionale [CIO – con sede a Losanna, ufficialmente nota come “città olimpica”] dal 1952 al 1972. Brundage scrisse nel 1935 allo svedese Sigfrid Edström, allora membro del Consiglio esecutivo e futuro presidente del CIO (1942-1952): “Il boicottaggio è stato istigato dagli ebrei, il che ha portato a rappresaglie da parte di cittadini di origine tedesca. Gli ebrei di origine comunista e socialista sono stati particolarmente attivi. Il risultato è che lo stesso tipo di odio di classe che esiste in Germania, e che ogni uomo di buon senso deplora, è attivo oggi negli Stati Uniti”. Lo stesso Brundage affermò, nell’ottobre 1936 al Madison Square Garden di New York, che “cinque anni fa [i tedeschi] erano scoraggiati e demoralizzati. Oggi sono uniti. Sessanta milioni di persone che credono in se stesse e nel loro Paese…”.

Dal 1956 (Melbourne) al 1988 (Seul), molti Giochi Olimpici (GO) sono stati boicottati per motivi spesso molto diversi e da Paesi con regimi politici opposti (democratici, autoritari, dittatoriali).

Si è sempre trattato in questi casi di un boicottaggio effettivo. Agli atleti è stato vietato di recarsi nella città ospitante. Questo divieto è stato organizzato dagli Stati stessi, dai loro ministeri o dai loro leader. Alcuni atleti hanno rifiutato il boicottaggio sostenendo che lo sport è apolitico. Tuttavia, dal 2009 il CIO ha ottenuto lo status di osservatore presso le Nazioni Unite e nel 2015 ha riconosciuto il contributo dello sport alla costruzione di un mondo pacifico e migliore, educando i giovani senza discriminazioni. Ha inoltre chiesto il rispetto dell’autonomia dello sport. Thomas Bach, presidente del CIO dal settembre 2013, ha recentemente ribadito il leitmotiv della “neutralità politica” dell’olimpismo: “Non stiamo dicendo che siamo apolitici o non politici. Siamo politicamente neutrali […]” (lesoir.be, 21 gennaio 2022).

Il boicottaggio del Mundial argentino del 1978

Avendo partecipato nel 1978 alla campagna a sostegno dell'”Appello per il boicottaggio dell’organizzazione dei Mondiali di calcio da parte dell’Argentina” (Le Monde, 19-20 febbraio 1978) organizzata insieme, tra gli altri, a François Gèze, Daniel Denis e Jean-Marie Brohm, posso confermare che l’unico boicottaggio al quale la petizione faceva riferimento era quello rivolto alla squadra di calcio francese. Abbiamo chiesto loro di non andare in Argentina, di boicottare il Mundial di Jorge Rafael Videla (il dittatore al potere all’epoca, dal marzo 1976 al marzo 1981). Quell’”appello” fu firmato da scrittori (Louis Aragon, membro del Partito Comunista Francese, schierato contro il boicottaggio, allora come oggi), Roland Barthes, filosofi (Vladimir Jankélévitch), editori (Christian Bourgois), giornalisti (Dominique Duvauchelle), medici (Alexandre Minkowski), attori (Simone Signoret) e accademici (Alain Touraine). La petizione raccolse più di 150’000 firme; duecento comitati locali avevano contribuito a diffondere l’appello. In Europa la mobilitazione, soprattutto tra i giovani, fu significativa. Diversi calciatori, tra cui Dominique Rocheteau (“l’angelo verde”), sensibile a priori alla repressione subita da gran parte della popolazione argentina – si dichiarava allora vicino alla Lega Comunista Rivoluzionaria – avevano promesso di indossare una fascia nera al braccio in segno di protesta. Alla fine, non c’è stato un solo atto, nemmeno simbolico, da parte sua o di chiunque altro per denunciare i crimini del regime argentino.

E la finale vinta dalla squadra argentina in un indescrivibile tripudio popolare permise al regime dittatoriale di mantenersi per diversi anni accentuando la repressione (migliaia di “scomparsi“, torturati, ecc.). Quell’appello al boicottaggio, molto politico, era piaciuto ai calciatori che, come ha giustamente ricordato un calciatore del Saint-Étienne, non sono “stupidi”. È ridicolo voler dissociare il calcio dalla politica, come sostiene il Ministro dello Sport e dei Giochi Olimpici e Paralimpici [Amélie Oudéa-Castéra]. Eppure, spinta dalla posta in gioco e dalle pressioni di un entourage indifferente ai crimini perpetrati in Argentina, la squadra di calcio francese giocò proprio nell’Estadio Monumental situato a ottocento metri dalla Scuola Meccanica Navale, noto centro di tortura. Una vergogna!

Quale boicottaggio?

Ma, a proposito, di quale boicottaggio stiamo parlando quando parliamo della Coppa del Mondo in Qatar? Un attore cinematografico (Vincent Lindon), un calciatore in pensione (Eric Cantona), sindaci di città (Parigi, Lione, Marsiglia…), proprietari di bar (Lorient), un gruppo parlamentare (LFI) si indignano e chiedono un boicottaggio diplomatico o politico, a volte con petizioni, e oggi un boicottaggio degli schermi. Per tutti loro, boicottare significa comunicare pubblicamente che non guarderanno le trasmissioni televisive delle varie partite o che faranno in modo che le partite non possano essere guardate dai loro concittadini sugli schermi giganti solitamente installati nelle piazze delle loro città e villaggi.

Il boicottaggio è quindi per loro soprattutto un atto individuale. Il boicottaggio degli schermi diventa di fatto una questione personale: ognuno può decidere da solo se guardare o meno la competizione. Tuttavia, il boicottaggio degli schermi è depoliticizzante e depoliticizzato, poiché diventa una questione privata e non è una risposta collettiva. La competizione si svolgerà in Qatar nelle condizioni originali. Avrà luogo, indipendentemente dalle migliaia o addirittura dai milioni di persone che decideranno di non guardare le partite. Non si tratta quindi di un boicottaggio della Coppa del Mondo del Qatar, ma di un boicottaggio delle trasmissioni televisive. La situazione è ovviamente molto diversa, soprattutto in termini di conseguenze politiche. Con questo boicottaggio degli schermi, la legittimità della competizione non viene messa in discussione; al contrario, vengono accettati i presunti valori del calcio (il calcio come legame sociale, festa, simbolo della nazione francese, lotta al razzismo, ecc). Accettiamo che i cosiddetti rappresentanti della Francia, i “mercenari” del calcio (i giocatori della nazionale giocano quasi tutti per club stranieri), si divertano in cimiteri climatizzati e su prati frettolosamente liberati da migliaia di morti nepalesi, indiani, pakistani, filippini…[1].

In realtà, il boicottaggio degli schermi non mette in discussione la natura mascheratamente sinistra di questa disgustosa Coppa, che si svolge in una dittatura wahhabita (sottomissione delle donne, gesti d’amore vietati in pubblico, omosessualità criminalizzata, impiccagione per blasfemia, morte per decapitazione con sciabola…). Perché, come sappiamo, in Qatar la vita dei poveri non vale nulla: quasi 7’000 morti per costruire in un deserto: sette stadi climatizzati, un aeroporto, autostrade, metropolitane e persino una città… Un mercato miracoloso su cui si sono avventati i più grandi gruppi edilizi del mondo, tra cui i francesi Bouygues e Vinci [la società di cemento svizzera Holcim ha acquistato Lafarge in Qatar]. Vinci si trovava in una posizione migliore perché la famiglia reale del Qatar è uno dei suoi principali azionisti.

Va notato anche che la maggior parte degli appelli al boicottaggio (diplomatico, televisivo) sono fatti in nome del calcio: “Amiamo i giocatori”, “Amiamo il calcio”, si sente dire da tutte le parti. Fortunatamente, non tutti sono così dipendenti dal calcio. Molti di noi dubitano e mettono in dubbio la “bellezza” del calcio e i suoi “valori” non ci fanno sognare molto. In effetti, l’appello al boicottaggio sportivo della competizione ci permette di comprendere meglio la realtà mercantile del calcio e la sua deleteria ideologia (nazionalismo, razzismo, culto del campione-eroe…).

Non è un caso che questa Coppa si tenga in Qatar (la decisione è stata presa nel 2010). Era il desiderio della FIFA (Fédération Internationale de Football Association con sede a Zurigo). Jérôme Valcke, suo segretario generale dal 2007 al 2015, è riuscita ad affermare: “Dirò una cosa assurda, ma un livello di democrazia più basso a volte è preferibile per organizzare una Coppa del Mondo. Quando a capo di uno Stato c’è un uomo forte che può decidere, come potrebbe fare Putin nel 2018, per noi organizzatori è più facile che con un Paese come la Germania, dove bisogna negoziare su più livelli”. Con il Qatar è stato sicuramente più “facile”. …. Inoltre, il Qatar imporrà la sua visione del mondo attraverso l’organizzazione della Coppa, che servirà da supporto e promozione. Accetteremo quindi condizioni inaccettabili.

Come tutte le dittature, il Qatar del 2022, come l’Argentina del 1978, no si preoccupa per nulla che vengano boicottati i maxi-schermi. L’importante è che la competizione abbia luogo. Che le squadre ci siano. Il resto è irrilevante: meno spettatori, meno telespettatori non impediranno lo svolgimento dei giochi. Per tutti questi motivi, i calciatori delle varie nazionali non dovrebbero andare in Qatar.

* Marc Perelman, professore universitario emerito. Il suo ultimo libro (Football, la défaite des intellectuels. Qatar, la Coupe immonde, Ed. Le Bord de l’eau, 2022) è stato pubblicato lo scorso 7 ottobre.

[1] Su questo aspetto, spesso dibattuto con una certa morbidezza dai media, si veda la dettagliata indagine sul campo di Sébastian Castelier e Quentin Müller – in Qatar, nella regione e nei Paesi da cui provengono i “lavoratori schiavi” – Les Esclaves de l’Homme-Pétrole. Coppa del Mondo 2022 in Qatar: il volto nascosto della schiavitù contemporanea, Ed. Marchialy, 2022. Ecco la presentazione del libro da parte dell’editore: “Come ha fatto il Qatar a diventare una grande potenza al punto da ospitare uno degli eventi sportivi più importanti del mondo? Grazie all’oro nero e al gas naturale, ma anche sfruttando la manodopera di milioni di immigrati, spesso provenienti da Asia e Africa. Una forza lavoro invischiata in reti migratorie che sostengono un vasto sistema di schiavitù contemporanea. La costruzione degli stadi della Coppa del Mondo è solo la punta dell’iceberg dell’economia dei Paesi della Penisola Arabica, che si basa sul lavoro di questa massa silenziosa e anonima.
Sebastian Castelier e Quentin Müller hanno viaggiato attraverso i Paesi del Golfo e i Paesi di partenza dei migranti per raccogliere le parole dei lavoratori e delle loro famiglie, ma anche quelle di diplomatici, uomini d’affari, politici e medici. Lasciano molto spazio alle testimonianze per capire meglio un sistema, alla maniera di Svetlana Alexievitch.

(Questa nota, come quelle tra parentesi quadrate nel testo sono della redazione del sito www.alencontre.org sul quale è apparsa la versione francese di questo articolo. La traduzione in italiano è stata curata dalla segreteria MPS).

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