Dallo scorso 24 febbraio, data dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin, non passa giorno senza che il tema del commercio delle materie prime non appaia nei media. Questa guerra ha messo in luce un mercato vergognoso, privo di scrupoli, composto da personaggi che antepongono i propri profitti ai bisogni fondamentali dei popoli. Che si tratti di petrolio, gas, grano, oro, carbone, ferro, nickel o altro, nulla sembra poter fermare questi avidi speculatori.
La guerra in Ucraina sta dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che le leggi della speculazione, dell’innalzamento artificioso dei prezzi, della reale possibilità di tenere interi popoli ostaggio da parte di una piccola minoranza di potenti che gode di protezione e riesce a manovrare le scelte politiche degli Stati, non conoscono nessuna difficoltà.
Il tema del commercio di materie prime è particolarmente importante in Svizzera, in quanto storicamente proprio da noi questo mercato ha trovato un terreno fertile. La Svizzera ha sfruttato molto bene la sua storia, la sua geografia e la sua “neutralità” a geometria variabile, per favorire l’arrivo di una moltitudine di persone fisiche e giuridiche che hanno trovato quello che cercavano: facilità fiscali, permessi ottenibili senza troppe difficoltà, discrezione, un sistema bancario snello e tollerante.
In questi nove mesi di guerra, abbiamo denunciato in continuazione la palese contraddizione delle autorità svizzere che decidono di aderire alle sanzioni contro gli oligarchi vicini a Putin e poi, allo stesso, tempo non intervengono con fermezza laddove questi personaggi operano e lucrano con i loro affari.
Il Ticino occupa un posto particolare in quanto crocevia del commercio di materie prime. È sede della LCTA (Lugano Commodity Trading Association), associazione mantello che raggruppa i maggiori operatori del settore e ha come obiettivo di ottimizzare le condizioni quadro a favore delle aziende operanti nel commercio di materie prime (rafforzamento del settore, formazione mirata per le aziende, sviluppo di servizi come spedizioni, assicurazioni e finanziamento delle attività, naturalmente anche attività di lobbying).
L’MPS ha denunciato a più riprese queste attività come vergognose e inaccettabili in quanto speculano sulle tragedie umane, permettendo ad una ristretta cerchia di persone di continuare a fare affari. La denuncia ha coinvolto pure i rappresentanti della politica istituzionale, sempre presenti agli eventi ufficiali di questo settore, naturalmente in “rappresentanza” di tutto il Ticino.
Nemmeno la gravissima crisi climatica che stiamo vivendo pare in grado di arrestare questa dinamica. Notizia di questi giorni, ben riportata anche da La Regione, il commercio record di carbone che passa dalla Svizzera grazie alle 245 imprese che qui sono attive, di cui ben 55 in Ticino. Mai questo commercio ha raggiunto i livelli di estrazione e consumo come nel 2022 (dati ONG Public Eye). Altro che transizione ecologica, visto che è ormai accertato che il carbone è responsabile del 40% dell’aumento di CO2 a livello mondiale. La Russia di Putin ha esportato combustibili fossili per circa 100 miliardi di dollari nei primi 100 giorni dall’invasione dell’Ucraina. Stiamo parlando di un miliardo di dollari ogni giorno! Una parte importante di questo commercio avviene, naturalmente, attraverso le imprese del settore attive in Svizzera. Per quanto riguarda il solo carbone, si parla del 40% del commercio globale che passa dalla Svizzera.
Se questo mercato non conosce crisi alcuna è anche perché le banche continuano gli investimenti nel settore. Sempre i dati di Public Eye indicano che dal 2015 ad oggi, le banche svizzere hanno prestato denaro all’industria carbonifera per circa 3,15 miliardi di dollari. Credit Suisse la farebbe da padrone con circa la metà di questa cifra, unitamente a UBS e alcune banche cantonali. Grazie poi alle giuste strategie queste operazioni non risultano nei bilanci.
A questa logica non è estranea nemmeno la nostra Banca cantonale, BancaStato, che partecipa attivamente, da tempo, al finanziamento delle attività di tutta la filiera del commercio di materie prime, a cominciare dal carbone. Alla faccia della “sostenibilità” che il Parlamento cantonale, attraverso una sua commissione nella quale sono implicati diversi partiti di tutti gli schieramenti, certifica senza batter ciglio anno dopo anno.
Altri finanziamenti al settore carbonifero svizzero arrivano poi da banche estere per altri 73 miliardi di dollari. I benefici di questo settore raggiungono livelli incredibili. Glencore, la più grande compagnia al mondo per il commercio di materie prime (svizzera e con sede a Baar) ha già annunciato lo scorso mese di giugno che i propri benefici dovrebbero oltrepassare i 3,7 miliardi di dollari per il solo primo semestre 2022 (Public Eye, “La Suisse sur sa montagne de charbon”, benefici che permettono di ampliare il settore acquisendo quote di nuove miniere (quella di Cerrejòn in Colombia, la più grande miniera di carbone di tutta l’America del Sud). Guerra o crisi climatica: nulla sembra arrestare questo commercio che trova in Svizzera tutto quello che necessita per operare in gran tranquillità.
*articolo apparso su La Regione del 23 novembre 2022