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Mercoledì 23 novembre il Consiglio di Stato ha presentato un cosiddetto aggiornamento del Piano d’azione cantonale contro la violenza domestica. Pubblichiamo qui di seguito la presa di posizione, estremamente critica, del Collettivo Io l’8 ogni giorno. (Red)


A un anno dalla presentazione del Piano d’azione cantonale contro la violenza domestica ci vediamo costrette ad esprimere nuovamente la nostra delusione e la nostra rabbia per l’incapacità – anzi la mancanza di volontà – del Cantone a mettere in campo risorse, strumenti e misure realmente efficaci e in grado di prevenire e combattere la violenza domestica nelle sue varie forme ed offrire alle vittime la protezione, l’accompagnamento e la giustizia cui hanno diritto.
Ancora una volta protagonisti unici della conferenza stampa tre uomini, tre consiglieri di stato, gli stessi che già un anno fa avevano presentato un piano d’azione che altro non era che una fotografia, anche piuttosto edulcorata, di quanto già esiste.

A un anno di distanza cosa è stato fatto? Purtroppo ben poco. Certamente la partenza di Chiara Orelli e il vuoto venutosi a creare fino all’entrata in servizio solo di recente della nuova delegata, la signora Myriam Proce, non hanno facilitato l’avanzare delle riflessioni e dei lavori. E viene dunque da chiedersi quanto poco prioritaria sia ritenuta la lotta alla violenza domestica dal Canton Ticino, se non si è stati in grado di provvedere in tempi più rapidi a questo avvicendamento.

Che bilancio trarre da quanto presentato oggi?

La maggior parte di quanto presentato oggi riguarda misure non ancora attuate o si tratta dell’esposizione di servizi, progetti e iniziative che già esistono da alcuni anni sul nostro territorio grazie all’impegno di associazioni o enti attivi in questo ambito.

  • Non c’è ancora nessun numero unico anti-violenza a livello cantonale: in attesa del numero unico federale, che dovremo aspettare ancora almeno altri due anni, il Ticino non ha colto – come fatto da altri cantoni – l’invito della confederazione ad avviare sperimentazioni cantonali in questo senso. 
  •  I posti letto nelle case delle donne restano ancora insufficienti e nettamente al di sotto delle raccomandazioni della Convenzione di Istanbul, che richiedono 1 posto ogni 10’000 abitanti, inteso come una camera e non come un posto letto (come detto nel PAC per celarne la carenza…).
  •  Non vi è stato nessun reale rafforzamento dei servizi di accompagnamento e di consulenza. In Ticino servono veri e propri Centri antiviolenza, sull’esempio di quanto esiste in altri cantoni.
  •  È ancora una volta rimasta inascoltata la nostra proposta di creare un reddito transitorio di emergenza per facilitare i percorsi di uscita da situazioni di violenza domestica.
  •  I braccialetti elettronici sono solo a sorveglianza passiva: la loro inutilità è ben dimostrata dal fatto che ad oggi nessuno di questi dispositivi è stato utilizzato in Ticino… Vogliamo braccialetti a sorveglianza attiva, collegati a dispositivi salvavita per le donne, secondo il modello applicato con buoni risultati in Spagna
  •  Singole serate di promozione o singoli momenti formativi per addetti ai lavori sono un segnale certamente positivo, ma non bastano: occorrono campagne di prevenzione e informazione capillari e martellanti, serve integrare in modo strutturale (e con un numero di ore rilevante) gli aspetti relativi alla violenza domestica nei percorsi formativi di base e continua dei professionisti che lavorano in vari ambiti a contatto con le vittime di violenza domestica.  
  • Da questo punto di vista la formazione intrapresa nei pronto soccorsi è sicuramente un’iniziativa importante e utile, a questa deve però seguire la messa in campo di servizi e di sostegni che permettano al personale che riconosce situazioni di violenza di poter sostenere e aiutare le vittime nel percorso di fuoriuscita dalla violenza. Serve l’attivazione immediata di un sistema di codice rosa come avviene in altri paesi, la creazione di punti di ascolto all’interno degli ospedali e delle strutture mediche, ecc.

La violenza domestica è un fenomeno grave ed estramamente diffuso. Non staremo a ripetere le cifre che ricordiamo da anni sugli interventi della polizia per violenza domestica, sul tasso di femminicidi e di aggressioni, sull’immensa quantità di violenze che restano sommerse ed invisibili.

Il recente rapporto del Grevio sull’applicazione in Svizzera della Convenzione di Istanbul ha puntato il dito contro numerose e gravi lacune, molte delle quali già denunciate da tempo da noi femministe.

È ora che le autorità del nostro Cantone prendano coscienza che non si può più aspettare o procedere a ritmo di lumaca: quante donne devono ancora morire, essere violentate, aggredite, minacciate, prima che la politica e le istituzioni prendano finalmente coscienza della gravità della violenza che quotidianamente ci colpisce ed adottino in tempi rapidi delle misure realmente efficaci? 

Quanto vale, per il nostro Cantone, la vita delle donne? Lo abbiamo già chiesto lo scorso anno senza ottenere risposta e allora riformuliamo la domanda: “Quante sono le risorse che il Cantone destina alla prevenzione e alla lotta contro le violenze sulle donne? Quante nuove risorse intende erogare?”

Siamo stanche di vaghi auspici e promesse: vogliamo risposte concrete!

Per fare avanzare la lotta alla violenza domestica, come collettivo continueremo a far sentire la nostra voce e a portare la voce di tutte quelle donne che non vengono ascoltate e credute. Riteniamo del resto che le timide e seppur insufficienti misure messe oggi in atto siano il frutto di una pressione che viene dal basso, della capacità del nostro collettivo e di altre associazioni di mantenere alta l’attenzione su questo tema e di continuare a rivendicare servizi adeguati all’emergenza in atto.
Per questo invitiamo tutte le donne, e gli uomini solidali, a scendere in strada con noi questo sabato 26 settembre alle 15.00 a Lugano (piazza davanti al LAC) per una Manifest-Azione contro le violenze machiste e per esprimere la nostra solidarietà con le donne in lotta in tutto il mondo.