Tempo di lettura: 6 minuti

La Cina detiene una posizione monopolistica nel settore delle terre rare, irrinunciabili materie prime di una vasta gamma di prodotti altamente tecnologici. Alcuni osservatori ritengono che Pechino potrebbe sfruttare questa sua posizione attuando un embargo dagli effetti potenzialmente devastanti sulle economie occidentali, in particolare come risposta alle drastiche misure recentemente adottate dagli Usa per tagliare le gambe all’industria cinese dei semiconduttori. In questo articolo spiego in modo accessibile cosa sono questi minerali e qual è la reale posta in gioco.

Cosa sono, come si estraggono

Il termine “terre rare” copre un insieme di 17 minerali che per le loro caratteristiche conduttive, magnetiche o fluorescenti risultano indispensabili nella produzione di un ampio spettro di prodotti tecnologici di primaria importanza, dai componenti elettronici e i radar per i sistemi militari, fino agli smartphone, alle vetture elettriche, ai computer, ai pannelli solari, ai LED, agli impianti nucleari e altro ancora, come per esempio svariati usi in campo medico. Dal punto di vista del loro impiego e della loro importanza strategica sono quindi di fatto “cugine” dei semiconduttori, sebbene il loro universo sia molto meno sofisticato (si veda il nostro parallelo articolo “Semiconduttori: cosa sono e qual è la posta in gioco”). Praticamente ogni saggio sulle terre rare inizia specificando che le terre rare in realtà non sono affatto rare. Tuttavia, non vi sono spiegazioni univoche dell’origine di questo nome. Secondo alcuni il termine risale al XVIII secolo, quando sono stati scoperti i primi minerali di questo gruppo fino ad allora ignoto e quindi ritenuti rari, mentre il termine “terre” veniva allora assegnato ai minerali che, come quelli in questione, sono solvibili in acido. Secondo altri invece il termine proviene dal fatto che tali minerali sono dispersi nell’ambiente geologico, non li si trova in forma concentrata e sono quindi difficili da estrarre. Quest’ultima caratteristica è quella che più distingue le terre rare dagli altri prodotti dell’industria mineraria e delle materie prime. La loro estrazione richiede l’impegno di macchinari e manodopera che nel tempo si sono rivelati troppo costosi rispetto ai ricavi che la loro vendita genera. Inoltre, l’estrazione delle terre rare è un processo altamente inquinante e che comporta gravi rischi di salute per gli addetti – alcuni dei materiali di questo gruppo sono infatti radioattivi ed espongono i lavoratori a un forte rischio di ammalarsi di cancro ai polmoni e al pancreas. Per essere utilizzate dall’industria le terre rare, una volta estratte, devono essere sottoposte a uno specifico processo di raffinazione, che comporta problematiche analoghe a quelle descritte per la loro estrazione. Per questi motivi verso la metà degli anni ’80 del secolo scorso l’industria dell’estrazione e della raffinazione delle terre rare si è progressivamente spostata da vari paesi del mondo in Cina, dove i costi della manodopera, così come il livello di tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori erano (e in ampia misura ancora oggi sono) decisamente più bassi. Il governo di Pechino ha fornito allora importanti agevolazioni e sussidi alle proprie aziende facendo così della Cina, fin dalla metà degli anni ’90, un semimonopolista nella produzione delle terre rare e un monopolista assoluto nella loro raffinazione, nonché nella produzione di alcuni prodotti di base da esse ricavati, come per esempio i magneti. Nel 1985 la Cina estraeva 8.500 tonnellate metriche di terre rare all’anno, dieci anni dopo ne estraeva 48.000, e mentre nel 1985 la sua quota mondiale dell’estrazione era del 21,4%, nel 1995 superava il 60%.

Il monopolio cinese

Il problema strategico che si pongono oggi molti stati è per l’appunto quello della dipendenza dal monopolio cinese. L’allarme è scattato nel 2010, quando in seguito a un incidente militare marittimo tra navi cinesi e giapponesi, Pechino ha deciso di cessare le forniture di terre rare al Giappone, uno dei principali consumatori di tali minerali. L’embargo è presto cessato in seguito a un intervento della WTO, ma la potenza militare ed economica della Cina è cresciuta da allora notevolmente, così come le sue ambizioni internazionali, e Pechino ha ventilato più volte, in maniera esplicita o implicita, la possibilità di utilizzare il blocco delle forniture ai paesi occidentali, intesi qui sempre come comprendenti anche Giappone, Corea del Sud e Taiwan, come arma per mettere in ginocchio le loro industrie di punta. È avvenuto per esempio molto di recente, nel febbraio 2021, quando i vertici cinesi hanno nuovamente ventilato la possibilità di limitare o cessare le forniture di terre rare all’occidente, convocando le maggiori aziende nazionali del settore per chiedere loro in quale misura una limitazione potrebbe danneggiare i paesi occidentali e, per esempio, incidere sulla produzione Usa dei jet da combattimento F-35. Il tema è tornato ancora una volta attuale con il varo il mese scorso delle durissime sanzioni statunitensi nel campo dei semiconduttori, alle quali secondo alcuni esperti Pechino potrebbe rispondere con una limitazione delle esportazioni di terre rare verso i paesi occidentali.

La Cina ha da questo punto di vista in mano un’arma molto forte. Infatti, il paese è responsabile di oltre il 60% della produzione mondiale di terre rare (concentrata in ampia parte nella provincia della Mongolia Interna, non a caso inquinatissima), mentre il secondo paese in classifica, gli Usa, arrivano appena al 15,5%. Dietro di loro si trova un paese in guerra civile e vicino a Cina e Russia come Myanmar, con il 9,4%, seguito dalla “occidentale” Australia con il 7,9%. Segue poi una lunga serie di paesi, molti dei quali filocinesi, con quote minime. Ma nel caso delle terre rare non è solo l’estrazione a contare: devono essere raffinate prima della consegna finale e vengono inoltre fornite in larga parte sotto forma di prodotti di base da trattare ulteriormente, come i magneti. Ebbene, la Cina ha un monopolio mondiale pressoché assoluto nella raffinazione delle terre rare (85%) nonché nella fornitura dei magneti e di altri prodotti di base da esse derivati (90%). Quest’anno, inoltre, Pechino ha avviato la creazione di una mega-azienda statale, la China Rare Earth Group, che da sola concentrerà il controllo del 30-40% delle forniture mondiali.

Le contromisure occidentali

Dal 2018 i maggiori paesi occidentali, Usa in testa, hanno cominciato a prendere più seriamente in considerazione questa minaccia (il Giappone, dopo l’embargo subito nel 2010, si è dato subito da fare e in un decennio abbondante ha ridotto della metà la propria dipendenza dalle forniture cinesi, che ora è di poco superiore al 40%). Usa e Australia hanno presto cominciato ad agire concretamente, stanziando finanziamenti e avviando progetti. Negli Usa, in particolare, tra il 2020 e il 2021 sono stati aperti o riaperti alcuni siti di estrazione e impianti di separazione, uno dei quali finanziato direttamente dal Dipartimento della Difesa per garantire le forniture alle forze armate. In Australia i progetti sono ancora in fase preparativa, ma si parla di siti produttivi o di raffinazione più ampi di quelli statunitensi. Nell’Ue invece tutto è ancora oggi allo stadio di studi, politiche da definire nei dettagli, stanziamenti da deliberare.

Nell’ultimo quindicennio la domanda di terre rare è raddoppiata in termini di tonnellate metriche, e si prevede che aumenterà ulteriormente del 250% da qui al 2030. Questa domanda in fortissima crescita ha provocato un pari innalzamento dei prezzi. Solo da inizio anno fino a oggi si parla di un rincaro del 30%, mentre sugli ultimi due anni il rialzo è stato di circa il 300%. Ciò comporta paradossalmente un vantaggio non solo per la Cina, che realizza così grandi introiti, ma anche per i paesi occidentali, perché i prezzi a tali livelli fanno sì che la produzione di terre rare in occidente, che implica maggiori costi rispetto a quella in Cina per via dei più alti costi della manodopera e della maggiore tutela dell’ambiente nonché della salute dei lavoratori, diventi un’attività potenzialmente redditizia. Fino a un passato molto recente, era invece necessariamente un’attività in netta perdita. Questo è naturalmente un fondamentale incentivo a liberarsi dal monopolio cinese. Tale prospettiva va tuttavia considerata con la dovuta cautela. Innanzitutto, in un contesto volatile e recessionista come quello attuale non si può dare affatto per scontato che l’ascesa dei prezzi continui, pertanto l’estrazione e la raffinazione di terre rare potrebbero tornare a essere per l’occidente un business in perdita. In secondo luogo, la Cina non rimarrà certo con le mani in mano. A tale proposito, va notato che l’Africa ha enormi riserve di terre rare non sfruttate e nel continente Pechino dispone di leve politiche ed economiche ben più salde di quelle occidentali.

In conclusione, vi sono importanti finestre aperte per una progressiva emancipazione dell’occidente dal monopolio cinese, ma si tratta di un processo di lunga durata, si parla di almeno un decennio per una parziale emancipazione dalla sola dipendenza nel campo dell’estrazione. Gli studi parlano, nel migliore dei casi, di una riduzione della quota mondiale della Cina nell’estrazione dal 50-60% degli ultimi anni al 45% tra cinque anni, pertanto, anche se andrà tutto bene per i paesi occidentali, Pechino continuerebbe a disporre allora di un semimonopolio che manterrebbe in ampia parte le sue leve di ricatto. E nel campo altrettanto fondamentale della raffinazione, per intaccare in modo sensibile il monopolio cinese ci vorranno decenni, non quinquenni. Il mondo però è in subbuglio già oggi, tra guerre militari, guerre economiche, guerre tecnologiche, guerre alimentari e guerre energetiche, e anche solo prima della prossima scadenza quinquennale potrebbe accadere di tutto, rendendo così obsoleti i ragionamenti di oggi.

PER SAPERNE DI PIÙ: Il libro di riferimento più aggiornato sulla geopolitica delle terre rare è “China and the Geopolitics of Rare Earths”, scritto da Sophia Kalantzakos e pubblicato da Oxford University Press nel 2017. Riporto inoltre i link di alcuni recenti articoli di approfondimento sul tema: https://www.orfonline.org/expert-speak/chinas-scramble-for-africas-rare-earth-elements/ , https://www.sciencehistory.org/learn/science-matters/case-of-rare-earth-elements-history-future , https://chinapower.csis.org/china-rare-earths/ , https://www.mining-technology.com/analysis/china-rare-earths-dominance-mining/

*articolo apparso su https://crisiglobale.wordpress.com/ il 9 novembre 2022