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La recente indagine del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis) individua nella malinconia il sentimento dominante che caratterizza la società italiana. La malinconia predispone alla rassegnazione infelice, demotiva, narcotizza l’iniziativa, abbassa la soglia della speranza, ingenera crisi e paure. È la risultante del micidiale combinato di crisi dell’ultimo triennio (pandemia, guerra russo-ucraina, crescita dell’inflazione, crisi energetica, caro bollette, disastri ecologici e ambientali) che ha prodotto la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili. Difatti la gran parte della popolazione teme che eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite.  Il 61% paventa lo scoppio della Terza guerra mondiale con uso dell’arma atomica e il coinvolgimento diretto dell’Italia (58%). Paure e ansie che si accompagnano e alimentano col deterioramento ulteriore del tessuto sociale.  Le famiglie in condizione di povertà assoluta sono ormai quasi due milioni. Si tratta di individui impossibilitati ad acquistare beni e servizi giudicati essenziali per uno standard di vita accettabile. Cresce anche la fascia della povertà relativa, che raggruppa quei settori di lavoratrici e lavoratori con retribuzioni basse, tali da porli al di sotto o appena al di sopra della soglia di povertà: sono il 25,4% della popolazione.

Poiché sono scarsamente visibili fiammate conflittuali, scioperi e manifestazioni di piazza, come si era temuto o sperato nei mesi passati, l’atteggiamento della società declinerebbe verso la malinconia, una sorta di ritirata silenziosa dei cittadini che si è espressa recentemente col crollo dei votanti alle elezioni, indice di crisi della rappresentanza per quote crescenti della popolazione, che intacca il sistema di governo democratico parlamentare stesso. La serie storica dell’ultimo decennio non è incoraggiante per la stabilità politica e governativa: sette governi guidati da sei Presidenti del consiglio (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi), di cui quattro non erano neppure eletti in Parlamento. Maschere di carattere con ascese fulminanti e altrettanti capitomboli, a capo di maggioranze variabili con dei Bonaparte creati dal nulla che nell’immediato godono di un certo favore popolare, in attesa che cadano al più presto. Questo meccanismo è tipico anche della leadership dei partiti. Ad esempio, il futuro congresso del Pd, che di segretari in questo decennio ne ha macinati tanti, si gioca già ora sui nomi dei candidati a scapito dell’offerta politica.

Una malinconia che sfocia nella tristezza per nove italiani su dieci dei quali il 54,1% ha la tentazione di restare passivo e il 70% pensa che il proprio tenore di vita peggiorerà. Uno sconforto derivante, oltreché dall’impoverimento, dall’invecchiamento della popolazione e dalla denatalità. Malinconia e tristezza non hanno spento però la consapevolezza dell’insopportabilità delle diseguaglianze economiche come la differenza troppo elevata tra le retribuzioni dei manager e quelle dei dipendenti, le buonuscite milionarie dei ‘top’, gli eccessi dei ricchi (jet privati e auto costose). Non a caso, si legge, permane “una rinnovata domanda di prospettive certe di benessere”, un’istanza “di equità non più liquidabili come aspettative irrealistiche”.

Il quadro sociale descritto dal Censis rileva una sofferenza sociale estesa e crescente nel paese, certo malinconica e timorosa, che domanda identità e prospettive concrete per rovesciarla contro i responsabili dell’impoverimento, delle crisi sociali, pandemiche e ambientali e del crollo degli standard decenti di vita. Queste domande di giustizia e di equità agitano correnti carsiche sotto la superficie sociale ma, tranne alcuni casi, trovano un deserto politico a rappresentarle.

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