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Di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte del regime di Vladimir Putin, il movimento contro la guerra ha visto lo sviluppo di posizioni molto contrastanti. Tutte hanno in comune di rivendicarsi a favore della pace, una parola dietro la quale si celano atteggiamenti molto diversi, persino opposti.

Da un lato, si chiede un cessate il fuoco incondizionato, sottintendendo, o addirittura affermando apertamente, che gli Stati della NATO dovrebbero costringere gli ucraini a smettere di combattere smettendo di fornire loro i mezzi di difesa. Questa posizione, anche se in alcuni casi può derivare da un vero pacifismo e da un’autentica preoccupazione di risparmiare vite umane, è molto problematica in quanto non definisce i termini del cessate il fuoco desiderato. Nella tradizione del movimento contro la guerra, qualsiasi richiesta di cessazione dei combattimenti in caso di invasione di un Paese da parte di un altro deve essere accompagnata dalla richiesta di ritiro degli invasori, altrimenti può essere legittimamente sospettata di voler avallare l’acquisizione di territori con la forza.

D’altra parte, ci sono attivisti contro la guerra per i quali l’opposizione all’invasione russa e il sostegno al diritto degli ucraini a combattere per la liberazione del loro territorio rappresenta la considerazione principale. Sebbene questo sia un punto di partenza più legittimo, perché si schiera dalla parte delle vittime dell’aggressione, può portare a fissare l’asticella della pace troppo in alto. In alcuni casi, non si parla nemmeno più di cessate il fuoco: la condizione necessaria alla pace è il ritiro delle truppe russe da tutte le parti del territorio ucraino riconosciuto a livello internazionale e che comprende non solo l’intero Donbass, ma anche la Crimea annessa nel 2014.

Qualunque sia l’intenzione alla base di una simile posizione, essa rischia di essere confusa con quella degli ultranazionalisti ucraini. Rischia inoltre di non essere in sintonia con la maggioranza dell’opinione pubblica europea e nordamericana che, pur essendo solidale con la lotta di autodifesa degli ucraini, non può fare comunella con una posizione estremista che potrebbe aumentare considerevolmente i rischi di una conflagrazione generalizzata, o addirittura di una guerra nucleare, oltre ai suoi pesanti costi in un momento di acuta crisi economica globale.

Come definire allora una posizione democratica antimperialista contro la guerra, che sia al tempo stesso autenticamente pacifista e attenta ai diritti dei popoli? Tale posizione dovrebbe basarsi sugli stessi parametri che hanno determinato la posizione contraria alla guerra di fronte alle precedenti guerre di invasione nella storia contemporanea, tenendo conto, ovviamente, della situazione attuale sul campo.

Di fronte all’attuale guerra di invasione in Ucraina, una posizione democratica e antimperialista contro la guerra dovrebbe includere le seguenti richieste:

  • Cessate il fuoco con ritiro delle truppe russe sulle loro posizioni del 23 febbraio 2022.
  • Riaffermazione del principio dell’inammissibilità dell’acquisizione di un territorio con la forza.
  • Negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite per una soluzione pacifica e duratura basata sul diritto dei popoli all’autodeterminazione: dispiegamento dei Caschi blu in tutti i territori contesi, sia nel Donbass che in Crimea, e organizzazione da parte delle Nazioni Unite di referendum liberi e democratici che includano il voto dei rifugiati e degli sfollati di questi territori.

La sinistra ucraina dovrebbe definire in questo modo la propria posizione sulle condizioni per la fine dei combattimenti, non potendo contare incondizionatamente sul proprio governo nella guerra in corso. Detto questo, a meno che non ci sia uno sconvolgimento politico in Russia che cambi radicalmente la situazione, il ritiro delle truppe russe dai territori conquistati dal 24 febbraio è di per sé un obiettivo molto difficile da raggiungere: presuppone una forte amplificazione della controffensiva ucraina, con un sostegno quantitativamente e qualitativamente maggiore da parte dei Paesi della NATO, e un aumento della pressione economica esercitata da questi stessi Paesi sulla Russia.

Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto molto più rapidamente e con costi umani e materiali molto inferiori se la Cina, l’unico Stato che ha un’influenza decisiva sulla posizione di Mosca, si unisse a questo sforzo, che corrisponde ai principi del diritto internazionale che ha sempre affermato di sostenere: la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati e la risoluzione pacifica dei conflitti. Il movimento contro la guerra dovrebbe fare pressione sulla Cina perché lo faccia, biasimando gli atteggiamenti bellicosi nei confronti di Pechino, soprattutto quelli di Washington e Londra, che oltre a sostenere questo obiettivo, sarebbero anche un contributo alla causa della pace mondiale.

*articolo apparso il 30 novembre sul sito www.alencontre.org. Traduzione a cura del segretariato MPS.

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