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Finisce con un risultato complessivamente deludente la campagna per gli adeguamenti salariali dei salari con l’inizio del nuovo anno. Ancora una volta i salariati e le salariate passeranno alla cassa e dovranno contare con una forte diminuzione del potere d’acquisto.

E questo non solo per gli annunci di aumenti a raffiche che peseranno a partire dal prossimo anno: da quello – prepotente – dei premi di cassa malati a quello delle tariffe di elettricità e gas; ma per il fatto che già nel 2021 i salari reali, erano diminuiti, sia nel settore pubblico che in quello privato, complessivamente di circa l’1%, come ha calcolato l’Ufficio federale di Statistica prendendo in considerazione i salari frutto di contrattazione collettiva. Figuriamoci quelli che non sono retti da un contratto collettivo, ma dalla contrattazione individuale!

Come detto per l’anno in corso la situazione si annuncia difficile. Prendendo come punto di riferimento l’indice di novembre, abbiamo, su un anno, un aumento dell’indice dei prezzi al consumo del %. Complessivamente possiamo affermare che tra dicembre 2020 e novembre 2022, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato di quasi il 5% senza che alcuna forma di indicizzazione dei salari sia in qualche modo intervenuta.

È questo il calcolo fatto, ad esempio, dai sindacati del settore edile che, impegnati nel rinnovo del contratto nazionale mantello, avevano chiesto un aumento per tutti di 260 franchi, pari circa al 5%. Ne hanno ottenuti 150, pari a circa il 3%.

Ed è questo uno dei risultati migliori, anche se va ricordato che i lavoratori edili – ne parliamo in un articolo di bilancio a pag. 4 di questo numero di Solidarietà – da due anni non ricevevano più alcun adeguamento.

Naturalmente la loro mobilitazione – seppur parziale – spiega questo tutto sommato discreto risultato. Così come la mancanza generale di una mobilitazione in quasi tutti gli altri settori (se escludiamo qualche episodica manifestazione nel settore pubblico romando) spiega per quale ragione i negoziati di questo fine 2022 segnano, come abbiamo detto, bilancio negativo e una perdita ulteriore del potere d’acquisto.

In realtà, parlare di “campagna”, come abbiamo fatto all’inizio, ci sembra eccessivo, visto che il movimento sindacale, se si escludono alcuni casi isolati e in parte nemmeno direttamente legati alla questione del rincaro, non ha di fatto organizzato una campagna e una mobilitazione come ci si sarebbe potuti attendere.

Lo stesso è avvenuto per le pensioni. Sia per il primo che per il secondo pilastro, gli adeguamenti delle rendite – pertanto attuate sulla base delle disposizioni di legge – appaino del tutto insufficienti e rispondere ai problemi che un numero sempre maggiore di pensionati e pensionate si trovano ad affrontare. Anche qui la capacità di influire del movimento sindacale è ridotta a ben poca cosa.

Il movimento sindacale ha mostrato in questa occasione (oggettivamente favorevole: rabbia dei salariati per la raffica di aumenti e situazione congiunturale tutto sommato positiva delle aziende) la propria inadeguatezza; la propria incapacità non solo a formulare rivendicazioni in fase con le attese e i bisogni dei salariati, ma, soprattutto, a mobilitare i lavoratori e le lavoratrici.

Il sindacalismo non è fatto di comunicati, prese di posizione e attività commissionali o parlamentari, di un lavoro di lobbyng istituzionale; ma di un costante lavoro di organizzazione e di mobilitazione sui luoghi di lavoro. Sono delle banalità: ma la crisi del sindacalismo di questo paese, palesatasi in questo ultimo scorcio del 2022,  è tale da necessitare a quelli che sono gli elementi di base.