“Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti “: il cabarettista Ettore Petrolini lo diceva come battuta, le maggioranze che governano questo paese invece ne hanno fatto un obiettivo politico. Quindi si metta il cuore in pace il direttore della Regione (vedi commento del 17 novembre): le forze borghesi insisteranno con gli sgravi a favore dei più ricchi spalmando poi costi e sacrifici su tutti gli altri. Inoltre è già prevista un’altra riforma della Legge tributaria cantonale per il 2024, quindi bisogna “prender il denaro dove si trova” già sin d’ora. L’ossessione per il “pareggio di bilancio” è solo strumentale e vale solo quando si tratta di tagliare, ma non quando si elargiscono regali fiscali a chi già sta bene, come dimostrano gli esempi degli anni passati.
Nel messaggio sul Preventivo 2017 (settembre 2016) il Consiglio di Stato metteva in guardia che il previsto pareggio a fine legislatura doveva essere accompagnato da “Ulteriori importanti sforzi (…) al fine di poter riassorbire gli importanti disavanzi d’esercizio cumulati dal 2004 che hanno gradualmente eroso il capitale proprio, il quale, considerando i dati di preventivo 2017, potrebbe raggiungere il valore di -561.7 milioni di franchi.” La data del 2004 non è scelta a caso: il periodo fra il 1997 e il 2003 è proprio quello degli sgravi promossi da Marina Masoni. Sappiamo – grazie a un’analisi di Daniele Besomi, ricercatore al Centre Walras Pareto d’études interdisciplinaires de la pensée économique et politique dell’Università di Losanna – che quegli sgravi hanno beneficiato soprattutto a chi gode di un reddito imponibile dai 200’000 franchi in su, non esattamente il budget della stragrande maggioranza dei ticinesi.
Nel 2003 il Ticino figurava al terzo posto nella classifica dell’indice globale del carico fiscale dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), dopo Zugo e Svitto; ma invece di vedere “gocciolare ricchezza dall’alto” i ticinesi si son ritrovati a dover pagare tre manovre di rientro (nel 2005, 2008 e 2011) che non son bastate a colmare i buchi. Nel 2016 quindi, dopo una lunga serie di preventivi “lacrime e sangue”, si ricomincia con il “Pacchetto di misure per il riequilibrio delle finanze cantonali”. Su chi ha pesato il risanamento dei conti è abbastanza chiaro visto che le spese sono state ridotte, soprattutto grazie ai tagli nel sociale (sussidi cassa malattia e assegni complementari), mentre le entrate sono lievitate grazie all’aumento delle stime immobiliari e a una serie di tasse, tassine e tassette, naturalmente non proporzionali al reddito.
Esattamente un anno dopo l’accorato appello alla prudenza e a “ulteriori sforzi” per risanare le finanze e ancora prima dell’ultimo preconsuntivo 2017, lo stesso Consiglio di Stato ha presentato una riforma fiscale (conferenza stampa il 18 settembre 2017) in tre tappe: la riforma fiscale e “sociale” cantonale, l’applicazione della RFFA a livello cantonale e un’altra serie di misure fiscali per il 2024 non meglio precisate. Al momento siamo in fase di implementazione della seconda tappa e, tra riforma cantonale e applicazione della RFFA, siamo a circa 180 milioni di minori entrate per il Cantone in base alle stime. “Casualmente” è più o meno la stessa cifra che si prevedeva di racimolare con il Pacchetto di riequilibrio. In chiaro: abbiamo tagliato aiuti a chi fa fatica a pagare la cassa malati per finanziare gli sgravi al povero “contribuente sposato, senza figli, domiciliato a Lugano con un reddito imponibile di 500’000 franchi e una sostanza netta (prima delle deduzioni sociali) di 50 milioni di franchi” (esempio citato nel Messaggio sulla Riforma fiscale e sociale cantonale).
Siccome la politica ticinese è un eterno “Giorno della marmotta” possiamo già pronosticare che per la terza tappa della riforma fiscale ci sarà una riduzione delle aliquote dell’imposta sul reddito dei “poveri ricchi penalizzati dalla fiscalità sociale ticinese” e che le varie iniziative di sgravio dei partiti borghesi a favore dei più ricchi verranno spacciate come misure per il ceto medio, le imprese con la riproposizione dell’ormai immancabile miraggio della “creazione di posti di lavoro ad alto valore aggiunto”.
Anche a livello federale i tentativi di aumentare il limite delle deduzioni non mancano, ma di solito vengono bocciati anche perché nel 2012 l’Amministrazione federale delle Contribuzioni (AFC) ha proceduto a un esame di tutte le agevolazioni fiscali – che vengono definite “sussidi occulti” – e concluso che avvantaggiano soprattutto i ricchi e favoriscono comportamenti che potrebbero essere raggiunti anche senza incentivi fiscali. Secondo le stime, le deduzioni fiscali causano un ammanco strutturale compreso tra 20-24 miliardi (a seconda della definizione di agevolazioni scelta), pari a circa il 27-32% degli introiti federali nel 2021. Ad ogni messaggio sui conti della Confederazione viene quindi ricordato che le deduzioni fiscali non figurano a bilancio e quindi sfuggono al controllo del Parlamento, sono poco trasparenti, il loro impatto sulle finanze è difficilmente quantificabile, avvantaggiano i ricchi e non sono quindi in linea con il principio della tassazione in base alla capacità economica, hanno un effetto “manna dal cielo” perché non permettono di perseguire un obbiettivo preciso. Anche per questo la Legge federale sui sussidi (art. 7 g) stabilisce che, in linea di principio, si deve rinunciare al sostegno sotto forma di sgravi fiscali.
I messaggi del Consiglio di Stato invece ripropongono incessantemente la bufala della “fiscalità sociale” e della “necessità di sgravare gli alti redditi”, in un cantone con le retribuzioni più basse della Svizzera, dove il tasso annuale di disoccupazione ILO ha toccato un record assoluto nel 2021 e dove i giovani formati devono varcare le Alpi per trovare un lavoro.
*Articolo apparso sul quotidiano La Regione, il 1° dicembre 2022