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Alcuni aggiornamenti sulla Cina, per esteso e nei dettagli riguardo alla situazione Covid e ai suoi risvolti diretti, poi sotto più rapidamente sull’economia e sugli sviluppi diplomatici, in particolare sul recente colloquio Putin-Xi.

COVID

L’epidemia continua a imperversare, ma Pechino non fornisce più alcun dato utile ormai da un mese. Ci si può orientare solo sulla base delle rare singole comunicazioni di autorità locali, sui reportage dei pochi corrispondenti esteri rimasti (tutti concentrati nelle maggiori città) e, soprattutto, sui video e le foto distribuiti nei social cinesi e raccolti da attivisti nel breve intervallo che precede la loro cancellazione da parte del sistema di censura. Il quadro generale è sempre quello di una situazione tragica, con ospedali e terapie intensive strapieni. Le testimonianze più impressionanti sono quelle (molto numerose) girate nei pressi dei centri di cremazione di tutto il paese, con file a volte chilometriche. Dalle testimonianze raccolte emerge che si attende anche per settimane per potere far cremare un proprio caro, e se si vuole fare più in fretta bisogna pagare cifre astronomiche, oppure avvere “l’aggancio” giusto. I morti sono di sicuro decine di migliaia, e con ogni probabilità si è superata quota centomila – a fine dicembre Airfinity, società britannica specializzata in statistiche mediche, calcolava in base alle proprie proiezioni che il numero giornaliero di morti fosse pari a circa 9.000, e nei primissimi giorni di gennaio ha stimato il superamento delle 100.000 vittime complessive. Ufficialmente, secondo il governo, stanno morendo 1 o 2 persone al giorno.

Oltre al danno anche la beffa per le decine, e forse centinaia di milioni di cinesi che si danno ammalando di Covid. Dopo che il governo ha cambiato i protocolli di certificazione dell’infezione da Covid, è ormai quasi impossibile ottenerla, anche perché molti ospedali hanno ricevuto l’istruzione di registare le morti da Covid o sospette tali direttamente come morti generiche per malattia respiratoria. Ciò comporta che chi deve essere ricoverato per Covid non goda più dell’assistenza ospedaliera gratuita garantita specificamente per tale malattia (per un’ampissima quota di cinesi i ricoveri ospedalieri sono altrimenti a pagamento). I costi del ricovero possono arrivare fino a 3.000 dollari al giorno e gli ospedali, a quanto si riferisce, sono particolarmente attivi nel cercare di recuperarli poiché sono a corto di fondi dopo tre anni di costose campagne di test e lockdown. Chi si ammala gravemente, e in particolare i 300 milioni di lavoratori migranti privi di adeguate coperture mediche, sprofonda così nella spirale dell’indebitamento insieme alle proprie famiglie.

Un ultimo aspetto, secondario ma eloquente, che vale la pena di citare è quello della carenza di medicinali, e in particolare dell’antivirale Paxlovid, di produzione occidentale. Quest’ultimo è sempre stato importato in quantità limitate, per favorire invece i meno efficienti prodotti nazionali. Nelle ultime settimane averlo è diventato un vero status symbol: circola solo tra gli alti burocrati del Partito “Comunista” e i ricchi imprenditori, e a quanto si riferisce ha avuto grande successo tra gli stessi come regalo per le feste. Le alte sfere, mentre fanno accaparramento di questo “frutto proibito” occidentale, consigliano invece al “popolino” ben altri rimedi, in particolare quelli della medicina tradizionale cinese, oggetto sotto Xi di una massiccia campagna di propaganda dai toni patriottico-sciovinisti. La star di questa campagna e il Lianhua Qingwen, un semplice mix di comuni erbe, venduto oggi a un prezzo spropositato.

Per ora l’epidemia sembra avere colpito essenzialmente le maggiori città e in particolare, a parte la settentrionale Pechino, quelle del centro-sud. Svariati osservatori hanno rilevato, sulla base di dati relativi al traffico automobilistico e ai passeggeri in metropolitana, che con ogni probabilità il picco dei contagi è stato superato nei giorni scorsi a Pechino e nelle grandi città industriali del sud, come Canton e Shenzhen. Il picco dei ricoveri e dei decessi, l’esperienza insegna, viene invece toccato di norma all’incirca due-tre settimane dopo quello dei contagi. Pechino forse ha addirittura già superato quest’ultimo picco, che invece si sta ora evidenziando a Shanghai (oltre 20 milioni di abitanti) dove un funzionario delle autorità locali ha affermato che probabilmente il 70% della popolazione è stato contagiato. Le testimonianze che arrivano dalla città parlano di reparti e terapie intensive strabordanti, in qualche caso con i letti addirittura sui marciapiedi antistanti gli ospedali (nella foto qui sotto), come era già avvenuto a Hong Kong nel marzo scorso. Quello che si teme ora è l’esplodere dei contagi nelle zone rurali, ancora più prive di strutture ospedaliere adeguate. Il 21 gennaio comincia il capodanno lunare cinese e si prevede che centinaia di milioni di persone, in particolare lavoratori migranti, lasceranno le città già a partire da questa settimana per tornare ai propri villaggi e cittadine natali.

A livello politico, Xi Jinping si è fatto finalmente sentire con un discorso di fine anno, durante il quale ha affermato orwellianamente: “Aderendo a un approccio scientifico e mirato, abbiamo adattato la nostra risposta al Covid-19 in funzione dell’evolversi della situazione, in modo da proteggere il più possibile la vita e la salute della popolazione. [Negli scorsi anni] mettendo in atto sforzi straordinari, abbiamo superato difficoltà e sfide senza precedenti, e non è stato un viaggio facile per nessuno. Dobbiamo fare uno sforzo aggiuntivo per andare oltre, la perseveranza e la solidarietà sono sinonimo di vittoria”, ha detto, aggiungendo che “la luce della speranza è ormai davanti a noi”. Lo ‘sforzo aggiuntivo’ che Xi chiede ai cinesi di fare è evidentemente quello di mettersi pazientemente in fila per cremare le salme dei propri cari, senza protestare e dimenticandoli presto. La “luce della speranza” è invece solo quella che pensa di intravedere lo stesso Xi, cioè il riuscire a campare alla guida del paese nonostante gli evidenti segni di crisi strutturale e sociale.

Non ci sono state più proteste degne di nota, dopo quelle diffusesi in tutto il paese a cavallo tra novembre e dicembre [Aggiornamento dell’ultima ora: a Chongqing e Hangzhou vi sono state grosse proteste, con scontri con la polizia nel primo caso, in fabbriche per la produzione di test antigenici che stanno licenziando lavoratori perché le commesse statali sono cessate con la fine della “politica zero-Covid”]. Sono sicuramente tantissime, e probabilmente una larga maggioranza, le persone rimaste disorientate di fronte all’improvvisa e inattesa totale retromarcia del regime riguardo alle politiche anti-Covid. Molte di sicuro sono anche impaurite da quello che sta succedendo, o sono in lutto per la morte di parenti e conoscenti. Ci sono però sicuramente settori che hanno accolto con favore il voltafaccia: dagli imprenditori, per i quali la politica del “convivere con il Covid” vuol dire niente più ostacoli alla realizzazione di profitti, ai lavoratori di alcuni settori, come per esempio i camionisti, ma anche molti lavoratori migranti a tempo determinato, che erano stati messi in ginocchio dalla politica “zero Covid”, fino alla ristretta ma influente “media borghesia”, maggiormente in grado di proteggersi a ogni livello dalle conseguenze del dilagare del virus. Sicuramente la nuova politica è stata accolta con favore anche da molti giovani, ed è del tutto comprensibile, almeno nell’immediato, vista l’inumanità senza analoghi nel mondo (fatta eccezione per la vicina Corea del Nord) del tipo di misure messe in atto in precedenza.

E’ ancora presto per un bilancio politico complessivo, che sarà possibile solo molto più avanti. Allo stato attuale si può osservare solo che il regime ha chiaramente optato per una diffusione il più rapida possibile del virus tra tutta la popolazione, dai bambini agli anziani, sperando in una “immunizzazione di gregge” che le tolga il fastidio, i costi e l’imbarazzo politico impliciti nell’organizzare una campagna di vaccinazione con terze dosi di vaccini più efficaci di quelli di cui dispone. Questa fretta è giustificata principalmente da motivi economici: i vantaggi politici generati dal mantenere una politica “zero Covid” eccezionalmente repressiva sono stati ormai ampiamente superati, in particolare con l’arrivo della variante Omicron, dagli svantaggi economici conseguenti al mantenimento del paese in uno stato permanente di “lockdown a macchia”. Appena confermata e consolidata la propria guida del paese con il congresso del Partito Comunista a fine ottobre, Xi Jinping & Co. ha non a caso subito approvato due linee politiche parallele: da una parte, per l’appunto, il totale voltafaccia sulla politica “zero Covid” all’insegna di una voluta diffusione del virus per conseguire una “immunità di gregge”, dall’altra il varo di una gigantesca quantità di stimoli all’economia, o meglio alla bolla finanziaria e industriale sulla quale il paese si è retto nell’ultimo decennio. Sui risultati di queste due linee non si può che essere totalmente scettici, sia perché l’immunità di gregge si è rivelata ovunque una fantasia per quanto riguarda il Covid e, al contempo, la Cina è sottosviluppata in termini di assistenza sanitaria rispetto alla sua rilevanza economica e demografica, sia perché le misure economiche sono chiaramente mirate a tirare avanti sul breve termine, aggravando però al contempo su quello medio-lungo problemi strutturali come il debito stratosferico, l’eccesso di infrastrutture e di capacità produttive inutili, o le problematiche di un settore tecnologico non redditizio e ampiamente lacunoso. A quest’ultimo proposito, è sintomatica dei dubbi che probabilmente circolano nei vertici politici la notizia diffusa in questi giorni da Bloomberg secondo cui il fondo da circa 150 miliardi di dollari stanziato recentemente da Pechino per il settore tecnologico potrebbe per il momento essere sospeso.

La polemica sui test in aeroporto

In Italia i grandi media, così come il ceto politico, hanno cominciato a parlare di quello che sta succedendo in Cina solo in relazione alla polemica sulla necessità o meno di fare test ai viaggiatori che viaggiano su aerei in arrivo dalla Cina. La polemica si è fatta più stringente man mano che si avvicinava la data della liberalizzazione dei viaggi all’estero per i cinesi, l’8 gennaio (dal 2020 la Cina ha posto drastici limiti ai viaggi all’estero, ridottisi da allora al lumicino). Ovviamente ogni misura che contribuisce anche solo di poco a una maggiore informazione sulle varianti che circolano e sui loro canali di diffusione è benvenuta, ma è chiaro che la decisione di effettuare test ai passeggeri dei voli dalla Cina è di natura prevalentemente politica, visto che nessuna misura del genere viene adottata per altri casi (si veda per esempio il rapidissimo diffondersi dei contagi in corso nel nord-est degli Usa) e che negli aeroporti si circola senza nessuna misura di prevenzione. Tuttavia la colpa di questa distorsione politica è anche dello stesso regime cinese, che se già prima forniva informazioni carenti e spesso chiaramente alterate, ora ha fatto calare una cappa di segretezza quasi assoluta sui dati relativi all’epidemia. A giudicare dal suo comportamento passato e attuale, nel caso in cui in Cina dovesse emergere una nuova variante più pericolosa si può essere quasi sicuri che Pechino lo rivelerebbe troppo tardi. Un responsabile di Gisaid, il database mondiale dei genomi dei virus influenzali e dei coronavirus, ha minimizzato i rischi relativi alla Cina affermando che le sequenze caricate finora riguardano tutte varianti già note. Ma non ha specificato quante ne sono state caricate, né le sue dichiarazioni tengono conto del fatto che il governo di Pechino ha tutto l’interesse di “filtrare” i dati e il potere necessario per farlo.

Economia

Gli ultimi dati PMI parlano di forti segnali recessionari a tutti i livelli. In netto calo sia la produzione industriale, che i servizi e i consumi, a livelli prossimi a quelli toccati quando l’economia si era fermata per la pandemia a inizio 2020. Dichiarazioni ufficiali di funzionari di Pechino dicono che il regime intende dichiarare un Pil 2022 in crescita di circa il 4,5-4,9%. E’ chiaramente un dato dettato da motivi politici: il governo ammetterebbe così il mancato raggiungimento dell’obiettivo dichiarato del 5,5%, ormai del tutto evidente, ma limitandolo al minimo. Beige Book, una società specializzata che fornisce da anni dati economici sulla Cina di norma rivelatisi veritieri, dice che in realtà il Pil 2022 è aumentato di solo circa il 2%, ma che quest’ultimo trimestre ha registrato il segno meno e quasi di sicuro lo registrerà anche il prossimo. A crescere è invece il deficit pubblico, aumentato circa del 100% anno su anno e attestatosi a fine novembre a 1,1 trilioni di dollari. Per quanto riguarda le esportazioni, sono in forte calo, in particolare quelle verso gli Usa (-25%) e l’Ue, i due più importanti acquirenti dell’economia cinese. Ma frenano bruscamente, per esempio, anche le esportazioni verso i paesi del sud-est asiatico, sulle quali Pechino puntava molto per compensare in parte il calo delle altre: da un +25% anno su anno ad agosto sono crollate a solo +5% a fine novembre. E questa fortissima frenata delle esportazioni, sulle quali l’economia cinese si regge ancora in larga parte, è avvenuta nonostante un fattore che avrebbe dovuto dar loro una forte spinta come una svalutazione dello yuan pari all’8% nel 2022 (con punte fino al 15% in alcuni periodi).

Diplomazia

In chiusura qualche parola su alcuni importanti sviluppi nell’ambito delle relazioni internazionali della Cina. Il 30 dicembre c’è stato un colloquio in video tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Tale colloquio è stato preceduto da un incontro faccia a faccia a Pechino tra Dmitri Medvedev e lo stesso Xi. Se si considera che Medvedev, uno dei più truci e guerrafondai esponenti del Cremlino, è diventato diplomaticamente parlando un “appestato” che nessuno incontra, il fatto che sia stato accolto “dal grande leader” Xi, i cui incontri diretti sono ancora rari e ben selezionati, è a mio parere di notevole significato politico. Significato che aumenta il proprio peso alla luce del fatto che Xi dall’inizio della guerra non ha mai avuto colloqui con esponenti ucraini. Il colloquio Putin-Xi, pur essendo anch’esso di notevole valenza diplomatica per il solo fatto di essersi svolto, non è andato invece esattamente come il Cremlino desiderava. Xi ha formulato frasi all’insegna di un forte clima di collaborazione con la Russia, ma solo in termini generici: “La Cina e la Russia devono rafforzare il loro coordinamento strategico per apportare maggiori benefici a entrambi i popoli e dare maggiore stabilità al mondo. […] La Cina è pronta a collaborare con la Russia e con tutte le altre forze progressiste [sic!] del mondo che si oppongono all’egemonismo e alle politiche di potere per combattere congiuntamente l’unilateralismo, il protezionismo e l’intimidazione, e per salvaguardare fermamente la sovranità, la sicurezza e gli interessi di entrambi i paesi”. Putin da parte sua aveva però invocato una stretta collaborazione in campo anche esplicitamente militare, aveva invitato il leader cinese a recarsi a Mosca in primavera e aveva espresso forti lodi personali a Xi per il suo ruolo di leadership. Nel suo comunicato la parte cinese ha ignorato bellamente tutti questi importanti aspetti, evitando di reciprocarli e spingendosi al massimo fino a invocare una maggiore collaborazione in campo economico. La somma del tutto è a mio parere chiara e conferma per l’ennesima volta la politica cerchiobottista di Pechino nei confronti di Mosca: non si tagliano i ponti, rimane in atto un rapporto diplomatico privilegiato tra le due capitali, ma nessun aiuto per superare la situazione in cui Putin è andato a cacciarsi per il suo avventurismo. Non va però dimenticato che, come già accennato sopra, la Cina riserva all’Ucraina un’attenzione diplomatica praticamente nulla. Evidentemente, nella perversa prospettiva diplomatica di Xi, Zelensky e i suoi sono più “appestati” di Medvedev e di Putin.

Prima del colloquio con Putin, il leader cinese si era recato in Arabia Saudita in un viaggio ben più pomposamente amplificato dalla propaganda di Pechino. Xi è stato accolto a Riyad con grandi onori, si è parlato di importanti progetti economici e di un eventuale parziale uso dello yuan per gli acquisti di petrolio saudita da parte della Cina (che è diventata il maggiore acquirente dei prodotti petroliferi del paese). Ovviamente rimane da vedere se tali progetti si tradurranno in qualcosa di concreto, e con quali esiti. Xi si è poi incontrato in un clima simile con i leader di altri paesi del Golfo. Questo importante viaggio è un’ulteriore conferma dell’importanza che Pechino assegna al lavoro di tessitura di una specie di “internazionale dei governi ultrareazionari”, nell’ambito del quale evidentemente secondo Xi la Russia continuerà ad avere un ruolo importante, se farà la brava.

*articolo apparso su https://crisiglobale.wordpress.com/ il 10 gennaio 2023