Tempo di lettura: 6 minuti

Nel 2022 la Corea del Nord ha polverizzato tutti i propri precedenti record nel lancio di missili balistici, approvando inoltre una nuova dottrina militare che prevede il ricorso preventivo all’arma nucleare anche di fronte a minacce di natura non nucleare. Nella Corea del Sud, da maggio scorso guidata dal nuovo presidente reazionario e sessista Yoon Suk-yeol, cresce la retorica guerrafondaia.

Kim Jong-un ha simbolicamente chiuso il 2022 e aperto il 2023 con un doppio lancio di missili balistici: due nella giornata del 31 dicembre e uno nella mattinata del 1° gennaio. Il 2022 appena chiusosi ha segnato un’impressionante escalation nel lancio di missili, in particolare balistici (vietati dalle convenzioni internazionali) da parte della Corea del Nord. Con 39 lanci di missili balistici, per un totale di quasi 75 unità, in un solo anno Pyongyang ha polverizzato tutti i propri precedenti record, dimostrando di essere in grado di dotarsi di un arsenale dalle dimensioni che fino a ieri nessuno aveva ipotizzato. Il raffronto con i periodi passati è davvero sbalorditivo: il numero di lanci è aumentato nel 2022 del 700% rispetto alla media del 2020/21 e di oltre il 400% rispetto alla punta massima storica del 2017. Inoltre, praticamente tutti i lanci sono andati bene e nel corso dell’anno la Corea del Nord ha effettuato il primo lancio di un missile balistico intercontinentale dal 2017, sperimentando lo Hwasong 17, potenzialmente in grado di colpire l’intero territorio degli Usa e l’Ue. I militari di Kim hanno tra l’altro affermato di avere sperimentato nuovi e più efficienti motori per missili intercontinentali e annunciato che presto manderanno in orbita un primo proprio satellite per monitorare le mosse dei nemici. Nel corso di una riunione di partito a fine anno, inoltre, Kim ha ordinato alle forze armate di “aumentare esponenzialmente” l’arsenale nucleare di cui è dotato il paese.

Contrariamente alle previsioni reiterate nel corso dell’anno da numerosi esperti, Pyongyang non ha invece ripreso l’effettuazione di test nucleari, l’ultimo dei quali è avvenuto nel 2017. Ricordo però che all’inizio dello scorso mese di settembre Kim aveva fatto approvare una nuova dottrina militare che prevede il ricorso preventivo all’arma nucleare di fronte a minacce anche non di natura nucleare e che mettano genericamente a rischio “gli interessi fondamentali del paese”. In particolare, Kim ha delegato ai comandi regionali la facoltà di attivare l’arma nucleare in caso di attacchi che abbiano come obiettivo l’annientamento della dirigenza del paese, aprendo così la strada a un rischio sempre maggiore di decisioni tragicamente errate. In questo contesto, gli osservatori esteri sono particolarmente preoccupati del fatto che, a parte i pochi nuovi missili intercontinentali più potenti, Pyongyang si stia concentrando sempre più sui missili nucleari tattici utilizzabili per colpire la Corea del Sud e il Giappone.

Nel complesso, la politica ufficiale degli Usa che esige la denuclearizzazione completa della Corea del Nord appare ormai del tutto obsoleta rispetto al fatto compiuto di un paese pienamente potenza nucleare che non farà certamente passi indietro. A Washington, presa sempre più dalle preoccupazioni per la guerra russa contro l’Ucraina e i rischi di una crisi a Taiwan, ormai da lunghi anni vi è immobilismo riguardo alla Corea del Nord, e la posizione è solo quella di ripetere per inerzia inefficaci formule retoriche passate chiudendo gli occhi sulla nuova realtà, nonché astenendosi dallo studiare nuovi approcci.

Poche invece le novità politiche interne in una Corea del Nord da ormai tre quarti di secolo stretta nella morsa gelida della dinastia Kim. Da notare tuttavia un rafforzamento dei ruoli femminili all’interno di questa dinastia: Kim Yo Jong, sorella minore di Kim Jong Un, ha ulteriormente affermato il proprio ruolo di braccio destro del fratello e “grande leader”, mentre quest’ultimo ha presentato per la prima volta in pubblico la figlia Ju Ae in occasione di più eventi, tra i quali l’immancabile lancio di un missile balistico (nella foto). Di Ju Ae si sa solo che dovrebbe avere circa nove o dieci anni e fino a poco tempo fa non si era nemmeno sicuri della sua effettiva esistenza. Le modalità con le quali è stata presentata fanno pensare che Kim Jong Un abbia voluto indicare che la figlia è l’erede al trono.

Tornando agli sviluppi militari, va segnalato un altro evento senza precedenti che avuto come esito una clamorosa débâcle per le forze militari della Corea del Sud. Il 26 dicembre cinque droni nord-coreani hanno superato il confine volando sul territorio sud-coreano per alcune ore, una prima assoluta. Alcuni jet ed elicotteri sud-coreani si sono alzati in volo per intercettarli, ma non sono riusciti ad abbatterne nemmeno uno e un jet si è addirittura schiantato al suolo durante l’operazione. I cinque droni sono poi tornati tranquillamente nella Corea del Nord dopo avere sorvolato la periferia di Seul (il cui agglomerato urbano arriva fino a una manciata di chilometri dal confine con il Nord) e la città limitrofa di Incheon dove è situato l’aeroporto internazionale di Seul, provocandone la chiusura per un paio d’ore, così come quella dell’altro e più centrale aeroporto di Gimpo. Questi sono i primissimi imbarazzanti elementi emersi pubblicamente appena dopo l’incidente. La relativa inchiesta più accurata ha concluso nei giorni scorsi che uno dei droni ha sorvolato anche la residenza del presidente sud-coreano Yoon Suk-yeol nel pieno centro di Seul e che con ogni probabilità il drone in questione ha memorizzato importanti coordinate. Yoon, dopo essere stato eletto nel maggio scorso, aveva subito spostato per motivi di sicurezza maggiormente in centro la residenza presidenziale, visto che quella precedente era più prossima al confine con la Corea del Nord! Nel complesso, si è trattato di un vero schiaffo per le forze armate e i sistemi di sicurezza della Corea del Sud.

Di fronte a questi sviluppi Yoon ha aumentato i toni duri e guerrafondai nei confronti di Pyongyang, già in forte crescita dal momento della sua elezione l’anno scorso. In particolare, si è ricominciato a discutere seriamente di dispiegamento di missili nucleari Usa in Corea del Sud o perfino della necessità per Seul di dotarsi di proprie armi nucleari. Yoon nei primi giorni di questo 2023 ha inoltre annunciato che nel corso dell’anno si terranno esercitazioni congiunte Corea del Sud-Usa con il coinvolgimento di forze nucleari. Immediatamente dopo le sue dichiarazioni, Biden ha dichiarato molto seccamente che nulla del genere era previsto. Si è trattato di un altro schiaffo, questa volta di natura diplomatica. Tuttavia fonti della Casa Bianca si sono poi adoperate per chiarire, in modo a dire il vero alquanto barocco, che erano invece sì previste manovre di natura analoga, ma non precisamente definibili come tali non essendo la Corea del Sud dotata di capacità nucleari, adducendo altri distinguo nebulosi. È chiara l’irritazione di Washington per il fatto che Yoon si è spinto evidentemente troppo in là, ma allo stesso tempo anche la necessità di mantenere la “faccia dura” nei confronti di Pyongyang.

A livello politico più generale, Yoon si sta sempre più proponendo come il nuovo volto della destra profonda dell’Asia Orientale, quasi a voler raccogliere l’eredità dello scomparso Shinzo Abe, ma in modo più sfacciato. Oltre alla sua linea sessista, ultraconservatrice e guerrafondaia, Yoon si distingue anche per la dura ostilità nei confronti del movimento sindacale, che in Corea del Sud è ancora molto forte, pur con le sue contraddizioni. Quest’ultimo ha subito una forte sconfitta a dicembre con l’insuccesso del grande sciopero dei camionisti che godevano del supporto della maggiore confederazione sindacale nazionale, il cui esito non ha dato luogo a risultati utili, ma in compenso ha rilanciato in parte la popolarità del presidente Yoon, dopo che era calata verticalmente dall’estate scorsa.

Come il giapponese Abe, anche Yoon e il partito che lo appoggia (lui altrimenti è un ex magistrato formalmente indipendente), il Partito del Potere Popolare (PPP), sono legati a doppio filo con i gruppi dell’estrema destra nostalgica della dittatura anticomunista terminata a cavallo degli anni ‘980-‘990, con i quali c’è una chiara divisione dei compiti politici: più espliciti i gruppi di estrema destra e più impliciti Yoon e il PPP, ma il succo è analogo. Un episodio di questi giorni è esemplare della cinica meschinità di questa destra. Uno di tali gruppi organizza da tempo un presidio a pochi passi dal memoriale costruito a Seul nel luogo dove nell’ultimo Halloween circa 150 giovani sono morti calpestati in un episodio di panico collettivo. Dal presidio vengono lanciati attacchi e a volte insulti ai parenti delle vittime, nonché ai visitatori del memoriale, accusandoli di infangare l’immagine del governo e di promuovere interessi personali con le loro richieste di fare giustizia riguardo alle altrimenti evidenti responsabilità delle autorità pubbliche per l’enorme strage.

Una recente indagine del Financial Times mette in luce anche come in Corea del Sud perduri ostinatamente il patriarcalismo più bieco. Da 26 anni il paese è in cima alla classifica del “gender gap”, cioè la differenza tra le retribuzioni percepite da uomini e donne, nei paesi Ocse: in Corea del Sud mediamente le donne guadagnano oltre il 31% in meno degli uomini (rispetto per es. al -22% del Giappone e al -17% degli Usa), pur essendo le sud-coreane, sempre tra i paesi Ocse, quelle che hanno mediamente il miglior curriculum di studi. Inoltre solo il 55% delle donne sud-coreane lavora, rispetto al 73,7% degli uomini. Negli anni recenti il movimento femminista e #MeToo si era fatto sentire con energia, ma l’ondata è ora in riflusso. Così il presidente Yoon Suk-yeol può impunemente dispiegare la propria retorica sessista, per esempio negando l’esistenza di una discriminazione di genere nel paese e accusando le donne di essere colpevoli della crisi demografica che lo attanaglia. Non vanno molto meglio le cose nell’opposizione di centro-sinistra: un suo esponente di primo piano ha proposto, per risolvere tale crisi, di introdurre “terapie correttive” per i gay.

*articolo apparso su https://crisiglobale.wordpress.com/ il 13 gennaio 2023