La regione orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sta vivendo una escalation di violenza dovuta in parte ai combattimenti del movimento M23. I civili stanno pagando il prezzo più alto in un contesto di rivalità economica tra le varie fazioni in campo.
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) sta affrontando una nuova crisi a seguito di questi attacchi dell’M23. Si tratta di una milizia posizionata ormai a pochi chilometri dalla città di Gorna, la più importante della regione orientale del Paese. Sembrerebbe che la strategia di questo gruppo armato sia quella di stabilire un blocco della capitale regionale per poter poi intavolare eventuali negoziati da una posizione di forza.
Le origini dell’M23
L’antenato dell’M23 è il Congrès national pour la défense du peuple (CNDP). Questa milizia si è proclamata difensore della popolazione tutsi, vittima di numerose discriminazioni. Nel 2009 era stato firmato un accordo che aveva permesso alla maggior parte dei miliziani del CNDP di integrarsi nell’esercito regolare congolese. Tre anni dopo, scoppiava una ribellione condotta in nome di un Movimento del 23 marzo, riferimento alla data della firma dell’accordo del 2009. L’M23 era riuscito ad occupare la città di Goma prima di essere respinto da una forza speciale della missione Monusco delle Nazioni Unite. La milizia aveva trovato rifugio in Uganda e Ruanda, i due Paesi che all’epoca avevano sostenuto la ribellione.
Ora, ancora una volta, riappare l’M23. Ufficialmente, l’obiettivo è ancora quello di difendere la comunità tutsi. In realtà, l’M23 vuole soprattutto integrare l’esercito congolese. Ciò consentirebbe loro di formalizzare il proprio peso politico nella parte orientale del Paese e faciliterebbe il controllo dello sfruttamento delle ricchezze minerarie a beneficio del Ruanda.
Una geopolica regionale
L’M23 è soprattutto un’emanazione del potere ruandese. È a questa conclusione che sono giunti gli esperti delle Nazioni Unite, giudizio confermato da varie cancellerie occidentali. Kigali ha a lungo approfittato delle ricchezze della RDC. Gran parte dello sfruttamento minerario nella parte orientale della RDC transita, il più delle volte illegalmente, verso il Ruanda. Il Ruanda dispone di due impianti di ritrattamento per l’oro e il coltan. Queste catene del valore sono particolarmente redditizie per i leader ruandesi possono contare sulla benevolenza dei Paesi occidentali. La Gran Bretagna continua ad applicare l’accordo per l’espulsione dei migranti privi di documenti che arrivano nel Regno Unito. Gli Stati Uniti non vogliono offendere il loro alleato, il presidente Kagame, campione del liberalismo nel continente. Per quanto riguarda la Francia, è difficile che possa dare lezioni visto il suo passato di complice del genocidio. Inoltre, in Mozambico, l’esercito ruandese ha messo in sicurezza la regione di Cabo Delgado, da tempo sotto attacco da parte dei jihadisti, permettendo a alla compagnia petrolifera francese TotalEnergies di sfruttare i giacimenti di petrolio.
Il Ruanda sta usando l’M23 per influenzare le decisioni nella RDC di fronte alla concorrenza di altri Paesi, in particolare l’Uganda. Il Paese di confine sta cercando di migliorare la propria presenza economica con un progetto stradale che lo collega alle principali città della RDC orientale. Questo potrebbe potenzialmente sottrarre al Ruanda parte delle sue esportazioni.
Negoziati difficili
Il Kenya, in prima linea nel tentativo di risolvere la crisi, sta agendo sia sul fronte diplomatico che su quello militare. Ha inviato truppe, alcune delle quali sono già state dispiegate nella città di Goma. Sul fronte dei negoziati, sono in corso due processi.
Quello di Nairobi affronta la questione delle varie milizie armate attive nella regione (sono più di cento). L’M23 non è stato invitato perché considerato dal presidente congolese Tshisekedi un’emanazione del Ruanda.
Il secondo processo negoziale, guidato dall’Angola, è dedicato alla dimensione regionale e coinvolge i Paesi confinanti con la RDC. Il Ruanda partecipa ma si rifiuta di affrontare la questione dell’M23, considerandolo una questione interna alla RDC. Siamo di fronte, per il momento, a una situazione di stallo.
A causa della debolezza dello Stato e della corruzione dei suoi leader, la RDC è una sorta di “open bar” dove il saccheggio delle risorse è la regola, con grande soddisfazione delle multinazionali occidentali. La guerra tra le diverse fazioni infuria. La vittima principale rimane la popolazione civile. Il recente massacro perpetrato dall’M23 nei villaggi di Kishishe e Bambo ne è un tragico esempio.
*articolo pubblicato lo scorso 22 dicembre 2022 sul settimanale L’Anticapitaliste. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.