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È stato necessario l’articolo dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT) per riportare l’attenzione sulla questione salariale in Ticino. Un’attenzione che, purtroppo, rischia di sparire nuovamente, confrontato con la volontà politica del padronato e dei suoi partiti di insabbiarlo il più possibile.

Un silenzio certo importante in questa fase elettorale. Per questo l’MPS, come sta ormai facendo da anni, cercherà di mettere questo tema al centro del dibattito elettorale, in particolare mettendo in luce l’assoluta connivenza di partiti e governo nel permettere al dumping salariale, cioè alla spinta dei salari verso il basso, di continuare a progredire.

I dati elaborati dall’USTAT – tra l’altro già disponibili da diversi mesi… – hanno confermato l’allargamento del divario delle mediane salariali fra il Ticino e il resto della Svizzera. Nel settore privato ticinese, la mediana salariale è passata dai 5’015 franchi lordi al mese del 2010 ai 5’203 del 2020, un aumento del 3,75%. Parlare di crescita è forse abusivo: in media annuale l’aumento è stato dello 0,375%, pari a 18,8 franchi all’anno… Come detto, la forbice si è ampliata ulteriormente. Nel 2010, il divario fra la mediana ticinese e quella del resto della Svizzera era del 19,1%, lievitata al 23,3% nel 2020. Ma questo non è il dato più preoccupante che emerge dai dati forniti dall’Ufficio federale di statistica. Infatti, l’allargamento della forbice fra due realtà non esclude che la mediana salariale di quella più debole possa comunque crescere, ciò che è avvenuto anche in Ticino, sebbene in maniera quasi impercettibile.  

La profondità della crisi reale della struttura salariale ticinese non è più legata solo al fatto che i salari crescono a un ritmo troppo lento rispetto alla ricchezza sociale prodotta e alla produttività media del lavoro. Oggi in Ticino si sta consolidando un processo supplementare, ossia la diminuzione dei salari reali in diversi campi economici. Detto altrimenti, ciò significa che i salari non sono più in grado di assicurare il livello di vita precedente, per esempio quello degli ultimi 10 anni. E su questa dinamica si innestano, nell’immediato, anche gli effetti dell’inflazione, tornata a costituire un problema di primo piano. Tolto il settore primario, i rami economici sottoposti all’analisi statistica sono 90. Ebbene, in Ticino, durante il periodo 2010-2020, ben 24 rami hanno registrato una regressione della mediana salariale mensile lorda in valori assoluti! E in diversi altri rami, la crescita è stata così sottile che con tutta probabilità nel prossimo rilevamento statistico il numero dei rami che presenteranno una diminuzione dei salari reali aumenterà in maniera importante.  L’aggravarsi della crisi salariale ha diverse implicazioni. Una particolare dovrebbe fare suonare tutti i sistemi di allarme, se ci fosse la volontà di sentirli. Sul periodo 2011-2020, nella fascia di popolazione trai i 20 e i 39 anni, il Ticino ha perso ben 6’048 unità. Evidentemente ad aver inciso su questa dinamica c’è la crisi salariale appena descritta. 

È più che mai necessario lottare contro questa situazione. E si dovrà farlo soprattutto sul terreno concreto, sostenendo i lavoratori e le lavoratrici. Ma per farlo, saranno necessari strumenti che oggi non ci sono o sono assai deboli. Pensiamo, ad esempio, a strumenti che permettano di monitorare il mercato del lavoro, i processi di dumping in atto, quelli di sostituzione di lavoratori e lavoratrici con altri lavoratori e lavoratrici meno pagati, le dicriminazioni salariali di genere, quelle relative alle qualifiche.

In questo senso è urgente che l’iniziativa popolare presentata ormai tre anni fa dall’MPS, denominata, “Rispetto per i diritti di chi lavora! Combattiamo il dumping salariale e sociale!» possa al più presto essere sottoposta a votazione popolare. Sarebbe un primo, concreto passo avanti.