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Pubblichiamo l’intervento di Angelica Lepori nella discussione sulla cosiddetta “sperimentazione” del superamento dei livelli, approvata oggi in Parlamento. (Red)

Dichiaro già da ora che noi ci asterremo sulle votazioni, non condividendo né il rapporto di maggioranza, né quello di minoranza. Sostanzialmente perché noi abbiamo un’idea diversa della scuola sia da quella che sottostà al rapporto di maggioranza che a quello di minoranza. Riteniamo infatti che la scuola media debba rappresentare una sorta di continuazione della scuola elementare, per essere veramente inclusiva la scuola media dovrebbe differenziare il meno possibile, permettere a tutti di acquisire quel sapere e quelle capacità necessarie a essere cittadini critici e consapevoli. Una scuola che permetta di crescere, di imparare e di diventare grandi insieme e non una scuola direttamente al servizio delle esigenze del mercato del lavoro o dell’economia.

Noi riteniamo, e non da ora, che i livelli vadano aboliti e ci sembra di aver capito che tutti qui pensano si debba andare in questa direzione. Non pensiamo però che questa abolizione debba essere “sperimentata”. Visto che tutti riconoscono la negatività di questa organizzazione scolastica, non comprendiamo per quale ragione far sparire qualcosa di negativo debba essere sperimentato (cosa che propone, anche se con tempi più lungi, anche il rapporto di minoranza). Un’idea del genere applicata a qualsiasi altra discriminazione sarebbe un ragionamento assurdo.

E questa discriminazione è riconosciuta da tutti e si basa sulla separazione della comunità scolastica, sulla base di presunte competenze che, guarda caso, hanno una configurazione di ordine sociale.

Naturalmente sappiamo anche noi che gli allievi giungono nella scuola (e poi nella scuola media) portando con sé livelli di maturazione intellettuale, psicologica e sociale che sono il frutto delle differenze sociali. Ed è per questo che la scuola, se veramente vuole essere democratica, deve modificare quelle condizioni di partenza diverse. Condizioni diverse che la scuola può, almeno in parte, correggere, non certo sovvertire: basta vedere la piramide sociale dell’accesso agli studi universitari e confrontarla con la piramide sociale per rendersi conto di quanto la scuola, per finire, non faccia, fondamentalmente, che perpetuare queste differenze sociali.

Proprio perché consapevoli di queste differenze è necessario modificare le condizioni strutturali di insegnamento e di apprendimento.

Cosa che questo Parlamento non ha alcuna voglia di fare: basti pensare alle volte in cui ha rifiutato di entrare in materia su una drasticamente riduzione del numero di allievi per classe, non con sotterfugi come i laboratori o la codocenza, ma creando classi con un numero ridotto di allievi che seguano un percorso condiviso. Notiamo, di passata, che alcune varianti della sperimentazione proposta individuano proprio nelle classi dimezzate lo strumento adeguato. La domanda che ci si può e ci si deve porre è per quale ragione tutta l’attività scolastica non potrebbe e non dovrebbe essere organizzata a “classi dimezzate”. Perché solo il tedesco e la matematica (e a partire da una certa classe e per un numero limitato di ore) meritano questo trattamento?

Modificare ed adattare l’insegnamento alle esigenze degli allievi, prendere a carico le loro differenze (differenziare come si dice), contestualizzare e includere: tutte parole che significano grande quantità di impegno e di lavoro. È evidente che non si può chiedere agli insegnanti – già oggi oberati di lavoro – di lavorare più in profondità, più intensamente senza diminuire le ore di insegnamento. La codocenza non è certo la soluzione, anzi così come proposta comporterà un aumento del carico di lavoro.

È necessario quindi, lo diciamo e lo dicono i docenti da anni, una diminuzione importante delle ore di insegnamento: senza di questo non vi saranno – per quante sperimentazioni o riforme si faranno – miglioramenti radicali nella qualità della nostra scuola (media, ma per tutti i livelli).

Si afferma infine che questa proposta di sperimentazione sia nata dal “basso” perché emanazione della conferenza dei direttori delle scuole medie. Sappiamo che questa filiazione è fortemente contestata. Ma anche ammesso e non concesso che lo sia, i 35 direttori rappresenterebbero il basso? La base, come si ama dire? Siamo seri. Noi pensavamo che la base fossero quei circa 1800 docenti che ogni giorni animano le nostre scuole medie, i loro collegi dei docenti, le loro commissioni. E invece, anche questa volta, costoro hanno dovuto sentire che “la base” “il basso” ha proposto una soluzione miracolosa.