Oggi, la prova di forza che oppone i capitalisti e coloro che essi sfruttano e opprimono si gioca sul terreno delle pensioni. Anche se non è l’unico obiettivo della controriforma avviata da Macron, farci lavorare più a lungo costituisce uno degli aspetti principali. Si tratta della ripresa di un’ossessione dei capitalisti: farci lavorare di più, più a lungo, più intensamente. L’aumento dell’età pensionabile, ma anche la caccia ai disoccupati, l’intensificazione del lavoro, etc.: tutto torna utile ai padroni per sfruttare di più, per guadagnare di più.
Da parte nostra, al di là dell’assoluta necessità di sconfiggere questa controriforma, dobbiamo riprendere la fiaccola della lunga lotta del movimento operaio per la riduzione dell’orario di lavoro. La giornata di 8 ore, la settimana di 40 ore, la settimana di 35 ore e poi quella di 32 ore, le vacanze pagate, la pensione a 60 anni, il congedo maternità e poi il congedo parentale… Tutte rivendicazioni e lotte per il diritto al riposo e al tempo libero, per il diritto di fare altro nella vita che lavorare.
Condividere per lavorare tutti e tutte
Se la disoccupazione e la precarietà sono armi potenti nelle mani dei capitalisti per imporre battute d’arresto sia a livello aziendale che di tutta la società, diventa allora essenziale unire chi ha un lavoro e chi non ce l’ha per ricostruire un rapporto di forza. È inoltre essenziale combattere tutte le discriminazioni e il sovrasfruttamento sessista e razzista, nonché tutte le divisioni tra i lavoratori in base al loro status (contratto di lavoro, lavoro temporaneo, subappalto, uberizzazione, lavoro a tempo parziale…). Senza esitazione riteniamo necessario difendere la settimana di 32 ore su 4 giorni. La riduzione dell’orario di lavoro legale deve avvenire senza perdita di salario e deve essere interamente compensata da nuove assunzioni, a differenza di quanto accaduto nel 1998 con le leggi Aubry che istituivano le 35 ore. Allora, anche se erano stati effettivamente creati posti di lavoro, l’annualizzazione del calcolo dell’orario di lavoro, l’intensificazione del lavoro, l’esclusione delle piccole imprese e la mancata limitazione degli straordinari non solo hanno ridotto l’impatto della riduzione dell’orario di lavoro, ma, soprattutto, hanno reso i lavoratori diffidenti nei confronti di una misura che di fatto ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro per molti.
Adattare l’orario di lavoro alla produttività e alla produzione decise collettivamente
Oltre alle 32 ore, la riduzione e la condivisione del lavoro fino all’eliminazione della disoccupazione consentirebbe a tutti e a tutte di avere un lavoro che permetta di vivere dignitosamente. Matematicamente, dividendo le ore lavorate oggi in un paese come la Francia tra tutti e tutte, si otterrebbe una settimana lavorativa di circa 28 ore. Un tale calcolo “a parità di altre condizioni” permette già di farsi un’idea di cosa sarebbe possibile, ma né la produzione né le condizioni di produzione possono rimanere quelle attuali. Questa scala mobile degli orari di lavoro permette di adattare l’orario di lavoro alla produttività e alla produzione decise, di organizzare le attività in maniera adeguata, di porre le questioni nell’ordine giusto. Innanzitutto: di cosa abbiamo bisogno? In secondo luogo: come possiamo produrre ciò che è necessario nelle giuste condizioni? Le risposte a queste due domande determinano la durata complessiva necessaria del lavoro da dividere tra tutti e tutte.
Produrre per soddisfare i bisogni umani
“Il capitale esaurisce le uniche due fonti di ogni ricchezza: la terra e il lavoratore”. Questa frase di Marx, che sarebbe utile fosse più inclusiva (!), evidenzia il profondo legame tra le crisi ecologiche e sociali causate dal capitalismo. Questo sistema spreca il lavoro e le risorse del suolo e del sottosuolo e provoca danni sempre maggiori agli ecosistemi e alla biosfera. Il suo produttivismo è illimitato perché produce beni il cui unico scopo è quello di essere venduti per ottenere un profitto, che sarà utilizzato nuovamente per produrre beni che saranno venduti… in una circolazione di denaro che non ha nulla a che vedere con la soddisfazione dei bisogni umani.
Le crisi ecologiche, in particolare il cambiamento climatico, richiedono una drastica riduzione delle emissioni di gas serra, dovute principalmente all’uso di combustibili fossili (carbone, gas e petrolio). Anche con uno sviluppo molto significativo delle energie rinnovabili, la riduzione del consumo energetico rimane inevitabile. Tuttavia, ciò richiede una riduzione altrettanto radicale della produzione e del trasporto dei materiali. È inoltre urgente eliminare i prodotti e i processi nocivi per i dipendenti, i residenti locali e l’ambiente, ridurre il più possibile l’inquinamento e il consumo energetico e progettare beni durevoli che possano essere completamente riparati. Decidere di produrre e trasportare meno, soddisfacendo al contempo i reali bisogni sociali individuali e collettivi, può essere fatto solo attraverso un dibattito democratico a tutti i livelli, per pianificare e organizzare la cessazione, la trasformazione, la creazione o lo sviluppo di diverse attività.
Il saccheggio delle risorse naturali e la distruzione degli ecosistemi vanno di pari passo con lo sfruttamento distruttivo della forza lavoro umana: usura, sofferenze, malattie professionali, incidenti sul lavoro… Non basta passare meno tempo al lavoro, è anche essenziale trasformare l’organizzazione del lavoro per ridurne la sofferenza e preservare la salute fisica e mentale dei dipendenti, affinché non perdano più la vita (e la salute) mentre cercano di guadagnarsela. La sofferenza è anche dovuta al lavoro senza senso, al cattivo lavoro, cioè al fatto che il capitalismo impedisce alle persone di fare bene il proprio lavoro, di lavorare in modo utile per la società.
Sì, vogliamo lavorare meno e allo stesso tempo costruire l’emancipazione sul lavoro e fuori dal lavoro. E ancora di più, rivendichiamo con Marx “la predominanza dell'”essere” sull'”avere” in una società priva di classi sociali e di alienazione capitalistica, cioè il primato del tempo libero sul desiderio di possedere innumerevoli oggetti: la realizzazione personale attraverso attività reali, culturali, sportive, ricreative, scientifiche, erotiche, artistiche e politiche“.
*articolo apparso su L’Anticapitaliste, nro 647, 2 febbraio 2023. Traduzione a cura del segretariato MPS.