La situazione internazionale appare sempre più caotica e incerta. Lo evidenziano alcuni recentissimi eventi solo indirettamente tra di loro collegati, come le voci su contatti tra la Cia e il regime di Putin per giungere a un accordo di pace, la vicenda del pallone-spia e l’annullamento della visita in Cina di Antony Blinken, segretario di stato Usa, nonché svariati altri sviluppi militari e diplomatici che riguardano l’Asia e la Russia.
Negli ultimissimi giorni sono emersi svariati segnali di tensione e confusione sulla scena mondiale. I due più interessanti da cui partire sono secondo me da una parte le indiscrezioni pubblicate il 3 febbraio dalla “Neue Zurcher Zeitung” secondo cui dietro tutta la saga della ritardata approvazione tedesca dell’invio di Leopard all’Ucraina vi sarebbero i contatti che in quel momento il capo della CIA, William Burns, avrebbe avuto in corso con Mosca e Kyiv per giungere a una tregua, e dall’altra l’inatteso annullamento all’ultimo secondo (o più precisamente, rinvio a data indefinita) dell’importante visita a Pechino del segretario di stato Usa, Antony Blinken. Intorno a tutto questo, vi è un ampio corollario di sviluppi molto rilevanti in termini di contatti diplomatici, palloni-spia, nuove basi militari e manovre.
Inizio con le indiscrezioni della “Neue Zurcher Zeitung” (NZZ), in merito alle quali va subito premesso che si basano nel concreto solo su dichiarazioni inverificabili di funzionari anonimi (nello specifico cristian-democratici e socialdemocratici tedeschi), pertanto non solo non provano assolutamente nulla, ma non possono nemmeno essere considerate da sole un indizio di qualcosa di fattuale. Riassumendo, la NZZ riporta le summenzionate voci anonime secondo cui verso metà gennaio Biden avrebbe dato mandato al direttore della CIA, William Burns, di recarsi in missione a Mosca e Kyiv per sondare la possibilità di un accordo per fermare la guerra, accordo che avrebbe dovuto basarsi su uno scambio “pace in cambio di territorio” per Kyiv e “territorio in cambio di pace per Mosca” – in pratica, alla Russia sarebbe andato circa il 20% del territorio ucraino (più o meno equivalente al Donbass). La missione sarebbe secondo la NZZ finita nel nulla a causa dell’indisponibilità di Kyiv a cedere territorio e del rifiuto di Mosca perché convinta di potere ancora vincere la guerra. Questa presunta iniziativa di Biden e Burns sarebbe dovuta al fatto che l’amministrazione presidenziale Usa è spaccata tra chi vuole una fine rapida della guerra per concentrarsi sugli alti rischi in Asia (lo stesso Burns e il consigliere per la sicurezza Jake Sullivan) e chi invece non vuole lasciare impunita la rottura delle “regole internazionali” da parte di Mosca con la sua guerra, fornendo il massimo degli aiuti a Kyiv (il segretario di stato Antony Blinken e il segretario alla difesa Lloyd Austin). Una volta fallita la missione di Burns, Biden avrebbe dato il via alla fornitura di carri armati Abrams spingendo Scholz a dare a sua volta il via alla fornitura dei Leopard.
Oltre a essere priva di basi verificabili, questa “teoria” ha alcuni elementi portanti che appaiono alquanto “trash”. Innanzitutto, non è credibile che in un momento come questo Burns si rechi fisicamente a Mosca con tutti i relativi rischi, in secondo luogo, alla CIA non sono idioti fino al punto di pensare che sia Kyiv che Mosca avrebbero potuto dire allegramente sì a un piano del genere. Eventuali accordi di simile natura si preparano a piccoli passi, attraverso mediazioni, un lungo lavoro di incontri segreti a basso livello ecc. E’ possibilissimo che vi siano stati altri tipi di contatti tra boss della CIA e boss di Mosca, ma in questa fase al massimo solo per sondare il terreno, e comunque non ne abbiamo indizi. L’unico piccolo riscontro molto “laterale” che personalmente individuo in termini di sondaggi reciproci per possibili tregue o simili è uno sviluppo che avevo segnalato in un mio post in Facebook del 21 gennaio (https://www.facebook.com/andrea.ferrario.125/posts/pfbid0X6bpwsb4MuJ1w1gGxzCds7xhoySFS4QhnHTPc1TKg9wogaxrXk5tZubFafzfcraYl), cioè l’effettuazione giusto in quei giorni di una spedizione umanitaria Onu in zona di combattimento a Soledar (con l’intenzione esplicita di ripetere simili missioni su tutto il fronte) che implica necessariamente accordi anche con Mosca, e ricorda altre simili iniziative “umanitarie” finalizzate in realtà a tregue o mercanteggiamenti, durante le guerre balcaniche. La coincidenza in effetti è notevole, ma si tratta eventualmente solo di un primo piccolo passo.
Quella che appare invece del tutto realistica nel resoconto della NZZ è l’esistenza di divisioni interne alla Casa Bianca, che d’altra parte si erano già evidenziate in modo molto prepotente a novembre dopo la riconquista di Kherson da parte dell’esercito ucraino. E’ del tutto realistica perché gli sviluppi sul terreno la implicano: fino al 24 febbraio dell’anno scorso erano la Cina e l’Asia a essere al centro delle preoccupazioni degli Usa, e da allora, seppure all’ombra della guerra in Ucraina, la situazione nel teatro asiatico si è fatta molto più tesa e complessa. L’annullamento della visita di Blinken a Pechino è da tale punto di vista uno sviluppo di grande rilevanza, se inquadrato in tutto quello che vi sta attorno, pertanto vale la pena di analizzarlo nei dettagli.
Blinken ha rinunciato a recarsi a Pechino letteralmente all’ultimo secondo mentre si trovava già in Corea del Sud (avrebbe dovuto trattenersi nella capitale cinese il 5 e il 6 febbraio, per incontrarsi con il suo omologo Wang Ying e, secondo alcune voci, forse addirittura con Xi Jinping). Si tratta di una decisione “forte”, perché la visita era attesissima ed era stata preparata attentamente come minimo da novembre, quando Biden e Xi si erano incontrati brevemente ai margini del summit di Bali, ma con ogni probabilità già dall’estate scorsa. Era attesissima perché le tensioni tra i due paesi erano cresciute di molto dall’estate scorsa, tra crisi di Taiwan ad agosto e varo di dure sanzioni sui semiconduttori a ottobre. La Cina, da parte sua, sembra avere un estremo bisogno in questo momento di una maggiore distensione nei rapporti con gli Usa, sia per gli effetti delle sanzioni sia per le sue difficoltà economiche e politiche interne. In generale, l’apertura di canali di dialogo di alto livello tra Washington e Pechino è di fondamentale importanza per smorzare le tensioni, una cosa alquanto utile anche agli Usa nel momento in cui sono impegnati nel dare sostegno all’Ucraina. La visita è stata rimandata a data da definirsi a causa del pallone-spia sui cieli americani di cui tutti i media stanno parlando. Rispetto all’importanza della visita, appare un pretesto, vista la non grande rilevanza di tali palloni e il fatto che non sono guidabili con precisione, tant’è che vi sono stati in passato numerosi episodi di palloni alla deriva. Viene spontaneo domandarsi se dietro all’ingigantimento della questione e alla cancellazione del viaggio di Blinken non vi siano lotte di lobby interne alla Casa Bianca. Mantenere il più possibile alte le tensioni tra Cina e Usa conviene di sicuro a chi, a Washington, preme per una maggiore concentrazione sul teatro asiatico a scapito del sostegno all’Ucraina, magari giungendo addirittura a forme di accordi con Mosca. Non mi sembra personalmente del tutto casuale che la cancellazione del viaggio di Blinken, così come gli innalzamenti della tensione che hanno preparato il terreno perché accadesse, sia avvenuta immediatamente a ridosso della “vittoria” della linea del sostegno all’Ucraina in seguito al vertice di Ramstein.
La prevista visita di Blinken era infatti già stata preceduta nell’ultimo paio di settimane da mosse Usa che hanno innalzato la tensione tra i due paesi, come l’applicazione di nuove sanzioni tecnologiche (per es. contro Huawei), l’annuncio dell’adesione di Olanda e Giappone alle sanzioni Usa contro la Cina nel settore dei semiconduttori, l’accusa a Pechino di fornire dispositivi per uso militare a Mosca. A ciò si è aggiunto un incidente, cioè la collisione mancata di poco tra un aereo militare cinese e un altro Usa sui cieli del Mar cinese meridionale, per il quale le parti si sono reciprocamente accusate. Negli stessi giorni, “trapelava” la notizia riservata secondo cui un alto grado delle forze armate statunitensi aveva scritto in un memo che la Cina era pronta a invadere Taiwan entro il 2025. Va rilevato che contemporaneamente vi è stata da fine dicembre una netta riduzione delle incursioni cinesi nello spazio di identificazione aerea di Taiwan, dopo l’escalation del 2022, e che la Corea del Nord in questo inizio 2023, fino a oggi, non ha più effettuato lanci di missili balistici, che avevano invece raggiunto livelli impressionanti nell’ultimo trimestre dell’anno scorso.
Per comprendere a fondo il contesto delle ultime settimane nella regione, vanno considerati anche sviluppi relativi alla Corea del Sud e alle Filippine. Le forze armate di Seul e Washington hanno effettuato a fine gennaio grandi manovre congiunte nel Mar Giallo, allo scopo di mandare un messaggio di coesione nei confronti di Pyongyang, ma va osservato che il mare in cui si sono tenute è antistante la Cina, mentre esisteva l’alternativa della loro effettuazione a est nel Mar del Giappone. A Seul è in corso nelle sfere del regime di destra un dibattito sullo sviluppo di una deterrenza nucleare nei confronti della Corea del Nord. Un documento degli ultimi giorni messo a punto dall’esecutivo sud-coreano dice che la migliore soluzione è lo stazionamento permanente nel Mar del Giappone di sottomarini Usa dotati di testate nucleari, ma che la Corea del Sud non deve escludere per intero la possibilità di dotarsi di proprie arme nucleari e quindi deve avviare uno studio concreto sulla fattibilità di questa opzione (gli Usa hanno ritirato all’inizio degli anni ’90 le loro testate nucleari che erano dispiegate nel paese). Mentre si trovava a Seul e appena prima di annunciare la cancellazione della sua visita a Pechino, Blinken e il suo omologo sud-coreano avevano annunciato una non meglio definita intesa sulla deterrenza nei confronti del Nord. Nei giorni scorsi, inoltre, dopo lunghe trattative è stato annunciato che le Filippine, guidate ora dal nuovo presidente Ferdinand Marcos Jr., figlio dell’omonimo ex dittatore, hanno non solo scongelato il progetto di riammodernamento delle cinque vetuste basi Usa nel paese, sospeso dal precedente presidente Rodrigo Duerte che era più orientato a un avvicinamento alla Cina, ma hanno anche inaspettatamente concesso a Washington l’apertura di quattro nuove basi, una delle quali, a quanto pare, sarà ad appena 250 km. da Taiwan, migliorando così la possibilità degli Usa di intervenire rapidamente in caso di intervento di Pechino nell’isola. Come se non bastasse, Washington e Manila hanno siglato un accordo per rinnovare i pattugliamenti congiunti nel Mar cinese meridionale interrotti da anni. Si tratta nel complesso di un duro colpo per la Cina, che in buona parte però “se lo è andata a cercare” con la sua politica aggressiva di penetrazione nelle aree marittime delle Filippine.
Infine, mentre il pallone-spia cinese si librava sui cieli americani, il viceministro degli esteri cinese Ma Zhaoxu si è recato in visita a Mosca, dove ha incontrato Sergey Lavrov e una serie di suoi funzionari. I comunicati cinesi successivi all’incontro hanno parlato di un “rafforzamento della mutua fiducia” e della “volontà [della Cina] di collaborare per implementare la reciproca partnership strategica”, un termine quest’ultimo che non era stato più utilizzato da Pechino dopo il famoso incontro Xi-Putin del febbraio 2022. Dalle formulazioni del comunicato si evince che le due parti hanno discusso anche di Ucraina. I media propagandistici russi hanno rilanciato con l’occasione la notizia secondo cui Xi Jinping starebbe preparando un viaggio in Russia, che ovviamente avrebbe un altissimo significato politico. In realtà è poco probabile che in questo delicato momento una tale visita sia ipotizzabile, ma non è affatto da escludersi che incontri come quello Ma-Lavrov siano un tastare il terreno per questa eventualità, e che magari quest’ultima, più che il pallone-spia, abbia influito sul nervosismo Usa che ha portato alla cancellazione della visita di Blinken. Per la resistenza ucraina la linea che sta attualmente seguendo la Cina è sicuramente la più conveniente: evita di fornire aiuti concreti a Mosca, ma anche di immischiarsi con altre modalità nell’andamento della guerra. Un netto schierarsi di Pechino con Mosca avrebbe ovviamente effetti disastrosi per Kyiv, alla quale però non converebbe nemmeno che la Cina eserciti pressioni fattive sulla Russia affinché fermi o ridimensioni la sua guerra, perché ciò comporterebbe sicuramente, in caso di successo, una sua entrata in gioco in trattative di pace per consentire al regime russo di salvare la faccia e di mantenere un piede in Ucraina.
In conclusione, vi è molta agitazione e confusione nei punti caldi del mondo. Le “indiscrezioni” sui presunti colloqui Cia-Russia, le voci sulle forniture di dispositivi militari cinesi a Mosca, le foto satellitari trash degli Usa sulle supposte analoghe forniture della Corea del Nord, le strane missioni Onu in zona di combattimento, le travagliate trattative per le forniture di tank a Kyiv con tempistiche in buona parte non limpide, i palloni-spia, la frenetica attività di preparazione a uno scontro bellico nell’Asia Orientale sono tutti piccoli o grossi segni di un mondo sull’orlo di una crisi di nervi. Tra gli “attori” in gioco, il popolo ucraino (e di riflesso il suo governo) è l’unico oggi ad avere idee molto chiare su quello che vuole: scacciare gli invasori russi da tutto il paese e infliggere una sconfitta alla loro politica imperiale. Il regime russo sa solo che questa guerra non può perderla, se vuole sopravvivere al proprio avventurismo, mentre la stragrande maggioranza del popolo dello stato che controlla appare in piena confusione quanto a prospettive future. Il regime cinese è esitante, preso come è da problematiche sistemiche interne e dalle conseguenze dell’avere compiuto a livello internazionale molti passi più lunghi della gamba. I regimi occidentali, tra l’altro anch’essi presi da problematiche sistemiche interne di natura economica e politica, vivono un momento di precaria coesione, ma non sembrano avere strategie chiare, oltre all’urgenza immediata di contenere Mosca e ridimensionare la sua capacità di agire. Il rischio per questi ultimi che si apra un secondo fronte asiatico tale da creare una situazione ingestibile è più che reale e fortemente temuto, così come il logoramento politico e militare che deriverebbe da una lunga guerra in Ucraina, con la conseguenza che l’ipotesi di giungere a qualche forma di accordo tale da salvare la faccia a Mosca, o da “mantenere la stabilità globale” a danno delle istanze ucraine (e di molti altri popoli), sarà sempre all’ordine del giorno, anche se sottobanco. La soluzione a questo groviglio che non può fare altro che portare a una situazione di guerra generalizzata è solo una vittoria completa e il più possibile rapida della resistenza ucraina contro l’invasore. Ogni via di mezzo non farebbe che spalancare le porte ad avventurismi analoghi a quelli di Mosca. Le forniture di armi e il sostegno economico a Kyiv sono solo uno strumento per arrestare le prospettive di guerra generalizzata imminente, salite alle stelle in seguito all’aggressione russa contro l’Ucraina. La soluzione durevole può arrivare solo dal basso, da quello che può nascere dalle mobilitazioni popolari quasi ovunque in ascesa nel mondo da oltre un decennio, ma che sono ancora disorganizzate e che per giungere a maturazione hanno bisogno di spazi e tempistiche che le forze reazionarie e “revisioniste” sempre più disinibite (vedi trumpismo Usa, Xi Jinping, ayatollah iraniani, Erdogan, Modi, dinastia nord-coreana, monarchie del Golfo e molti altri ancora), se risultassero in qualche modo vittoriose, precluderebbero loro totalmente.
*articolo apparso su https://crisiglobale.wordpress.com/ il 7 febbraio 2023.