Ormai da anni in Ticino è in auge, in materia di apprendistato, lo slogan coniato ancora al momento in cui alla testa del DECS vi era Gabriele Gendotti. Uno slogan forte, “tolleranza zero”, che indicava e indica la volontà dei servizi del dipartimento di non tollerare che nessun giovane che ha terminato le scuole dell’obbligo rimanga senza un posto di apprendistato.
E puntualmente, allora come ancora adesso, a fine settembre viene trionfalmente annunciato che tutti i giovani in cerca di una posto di tirocinio sono stati “piazzati”, tutti e tutte le ragazze che hanno terminato la scuola media e non hanno iniziato né una scuola media superiore (circa il 45%), né una scuola professionale a tempo pieno (circa il 20%) avrebbero trovato un posto di apprendistato. In realtà le cose sono molto più complicate e meno positive di quanto si vuol propagandare.
Tanto per cominciare non tutti trovano un posto di apprendistato. Infatti vi sono alcune centinaia di giovani che vengono indirizzate verso quello che viene comunemente chiamato il pre-tirocinio. Una sorta di anno di “motivazionale”, di “transizione”,come viene detto, che deve servire a “indirizzare” meglio i giovani, a trovare soluzioni adeguate per coloro che non sanno cosa fare. Se all’inizio forse era questo l’intento del lavoro di accompagnamento alla “transizione”, oggi il tutto appare più come una sorta di “parcheggio” in attesa che il mercato dei posti di tirocinio offra qualche possibilità.
In realtà, al di là del giudizio che può essere dato sul lavoro fatto in questo anno, questa valvola di sfogo ha permesso di sopperire alla mancanza di almeno 100-200 posti di tirocinio, circa il 10-15% dei contratti di tirocinio che ogni anno vengono conclusi nel nostro Cantone. Un numero crescente, passato negli ultimi vent’anni da 80 casi a 280.
A questo va aggiunta una pratica sempre più invasiva tesa a convincere i/le giovani ad accettare, pur di non rimanere senza posto di tirocinio, qualsiasi posto venga loro offerto. E questo anche quando i desideri dei giovani sono magari assai lontani dalle professioni che, alla fine, li si convince ad accettare.
Non si tratta certo di una novità. Sono almeno trent’anni che tutte le analisi del mercato dei posti di tirocinio mettono in evidenza questa distorsione tra i desideri dei giovani e quello che passa il mercato, cioè tra la domanda e l’offerta, quest’ultima controllata totalmente dal padronato.
Il risultato di questo lavoro di “convincimento” dei giovani a “piazzarsi” naturalmente lo si paga, in breve tempo, e con tanto di interessi. Non è infatti estraneo a questa pratica il fatto che il Cantone Ticino sia il secondo a livello nazionale a segnare la percentuale maggiore di scioglimenti di contratti di tirocinio (siamo attorno al 35%, praticamente un contratto su tre).
In realtà le soluzione andrebbero ricercate in altre direzioni.
Prima di tutto potenziando l’offerta di posti di tirocinio in professioni ricercate e nelle quali le aziende offrono posti limitati, grazie al controllo che di fatto esercitano sull’offerta di posti di tirocinio. Per mettere in discussione questo monopolio si potrebbe, ad esempio, proporre un raddoppio dei posti di tirocinio nelle scuole arti e mestieri del Cantone (Bellinzona e Lugano) dove, di fatto, vige una sorta di numero chiuso (a Bellinzona ad esempio, di fronte a un centinaio di richieste, ogni anno vengono ammessi solo 43 apprendisti). Complessivamente, tra la scuola d’arti e mestieri di Bellinzona e di Trevano il numero di posti di apprendistato non è cambiato negli ultimi 7 anni (456 nell’anno scolastico 2015/2016 – 468 nell’anno scolastico 2021/2022): e questo in un contesto in cui i giovani attirati da professioni tecniche interessanti e d’”avvenire” fanno fatica a trovare posti di tirocinio.
Inutile dire che abbiamo a più riprese fatto questa proposta (ancora di recente nell’ambito del Preventivo 2023 del Cantone): proposta che i partiti di governo presenti in Gran Consiglio hanno respinto.
Lo stesso potrebbe fare il Cantone, “azienda” che con le sue migliaia di posti di lavoro potrebbe svolgere un ruolo importante nell’attuale contesto, contribuendo a formare apprendisti in molte attività che vengono svolte in senso all’amministrazione cantonale (professioni impiegatizie in generale, professioni amministrative, professioni legate all’informatica o alla manutenzione tecnica, etc.).
È un tasto che battiamo da anni (abbiamo perso il conto delle proposte fatte affinché il Cantone raddoppi o triplichi i posti di apprendistato offerti – una nostra ennesima mozione in questo senso è ancora pendente); ma, malgrado dichiarazioni di buona volontà, la situazione non è di fatto cambiata. Basti ricordare che il Cantone (con quasi 5’500 persone occupate) formava, a fine 2021, 143 apprendisti e che, tre anni prima – cioè a fine 2018, erano 125…In totale è del 2,5% il rapporto tra occupati e apprendisti in formazione: pochissimo, se teniamo conto che gli standard consigliati sono attorno al 5%…
Infine non si può concludere quesa breve carrellata sui problemi della formazione (ve ne sarebbero ancora molti altri da evocare, altrettanto importanti: orientamento, vigilanza, etc.) senza evocare il bilancio complessivamente fallimentare per tentare di rispondere alle discriminazioni di genere: le ragazze, oramai da decenni, sono confinate in un numero limitato di professioni.
In questo ambito senza l’introduzione di misure forti e precise (ad esempio riservando una serie di posti alle ragazze) difficilmente si andrà al di là delle giornate di propaganda organizzate sostanziamente per mostrare che “si fa qualcosa” anche se questo qualcosa non serve di fatto a modificare fondamentalmente la realtà. Ed è purtroppo questa la logica in cui ci si è mossi nell’ultimo decennio.
Appare ormai evidente, e i dati lo confermano, che l’attuale sistema di formazione professionale non risponda né alle attese, né alla cultura verso il lavoro che le giovani generazioni hanno maturato e stanno maturando. Un sistema che si continua a incensare e che invece fa acqua da tutte le parti; un sistema nel quale le imprese che veramente “formano” sono sempre di meno e sempre di più quelle che vedono negli apprendisti manodopera a basso prezzo da “fatturare” a prezzo pieno ai clienti.
D’altronde una semplice occhiata ai tassi di insuccesso in alcune professioni, dove spesso è l’esame “pratico” a risultare insufficiente, conferma quanto la cura della formazione sul luogo di lavoro sia sempre più carente.