La crisi di Credit Suisse non è una semplice crisi bancaria. È la dimostrazione, ormai sempre più ricorrente, di quanto profonde siano le contraddizioni del capitalismo e come esso le possa risolvere – per lo meno a breve termine – solo ricorrendo alla distruzione di ricchezza (pubblica e privata) che comporta miseria, drammi umani e sociali di grande portata.
L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS comporterà migliaia di licenziamenti, la distruzione di crediti finanziari (ad esempio l’annullamento di alcuni miliardi di obbligazioni) ed altre conseguenze sociali che oggi appaiono ancora difficilmente individuabili e quantificabili.
Nel contempo, la formazione di UBS non fa altro che rinviare a possibili nuove crisi. Tutti sottolineano, ad esempio, che il nuovo mostruoso colosso sarà ancora più difficile da salvare, vedi impossibile, qualora dovesse trovarsi in una situazione simile a quella di Credit Suisse o alla situazione in cui la stessa UBS si è venuta a trovare nel 2008.
L’operazione alla quale abbiamo assistito ci ha ricordato quanto limitata sia la democrazia nel paese nel quale viviamo. Il costante richiamo borghese al rispetto delle leggi, al fatto che alcune cose, magari necessarie come introdurre un salario minimo legale, non si possono fare perché non lo permetterebbe la Costituzione, ha dimostrato di essere pure propaganda ideologica. In poche ore il Consiglio Federale ha deciso che si poteva fare di tutto: stanziare miliardi di finanziamenti e garanzie, ignorare leggi fondamentali della stessa Costituzione liberal-borghese (come quelle sulla concorrenza), piegare la funzione della Banca Nazionale a compiti che non sono suoi (e che vengono sistematicamente richiamati quando si invoca un suo intervento a carattere sociale.
Non è poi strano che ad essere protagonista di questo collasso sia un colosso finanziario come il Credit Suisse che ha svolga un ruolo di primo piano in una politica di finanziamento del capitalismo fossile che ci sta a poco poco trascinando verso una crisi climatica senza fine.
Ed è pure significativo che questa crisi si sviluppi nella stessa settimana nella quale il GIEC (Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) ha pubblicato un proprio rapporto di sintesi nel quale dice – con parole drammatiche – che verosimilmente non abbiamo più tempo. Sostengono i 195 specialisti che hanno contribuito a redigere questo rapporto che dobbiamo smettere, e subito!, di utilizzare i combustibili fossili, avviando e finanziando politiche di adattamento, soprattutto per le aree più vulnerabili, e dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, mantenendo gli obiettivi fissati nel COP 21 del 2015 a Parigi e contenere l’aumento della temperatura al massimo a +1,5 gradi.
Quella finanziaria e quella climatica sono le due facce della stessa crisi di un sistema che ormai non può permettere nessun progresso umano se non a scapito della negazione stessa dei più elementari principi umani, a partire dal rispetto della vita stessa degli esseri umani.
È un sistema irriformabile, va abbattuto, subito e con decisione. Indirizziamo tutti i nostri sforzi e le nostre azioni politiche quotidiane proprio verso questo obiettivo che potrà essere raggiunto solo con la mobilitazione e partecipazione delle masse popolari.
È quanto ci stanno insegnando e mostrando i movimenti sul clima o quelli per i diritti delle donne. È quanto, purtroppo, sta invece drammaticamente mancando nella vicenda di Credit Suisse, cioè una mobilitazione delle migliaia di lavoratrici e lavoratori che stanno per essere investiti da un delle maggiori crisi occupazionali e sociali degli ultimi decenni. Da qui l’urgenza di un cambiamento radicale delle politiche sindacali fin qui perseguite.