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Tempest Mag [sito web di un collettivo di sinistra statunitense], pubblicando la traduzione di questa dichiarazione del Movimento socialista russo e contro la guerra, ha voluto sottolineare il primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, avvenuta il 24 febbraio 2022. Questa dichiarazione è la più recente dopo un anno di analisi e reportage che hanno avuto tre obiettivi. In primo luogo, dare voce a due attori storici strategici e fondamentali: quella del popolo ucraino, attraverso gli occhi della sua sinistra e dei suoi movimenti sociali, e quella della sinistra russa in opposizione allo sciovinismo grande russo di estrema destra di Putin. In secondo luogo, e in modo correlato, riconoscere che l’invasione decisa da Putin è la causa immediata delle innumerevoli morti e delle distruzioni su larga scala in Ucraina. In terzo luogo, difendere il diritto delle ucraine e degli ucraini di procurarsi armi da chiunque e ovunque, mettendo tuttavia in guardia da qualsiasi illusione sulle intenzioni e sul ruolo della NATO, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.
Alla base della nostra analisi c’è un imperativo strategico. Si tratta della necessità di ricostruire un movimento contro la guerra e contro l’imperialismo su basi politiche e storiche le più solide possibili, un movimento che tenga in considerazione la fase attuale dell’imperialismo. Si tratta di ricostruire una solidarietà internazionalista con la sinistra e i movimenti sociali in Ucraina e nell’Europa dell’est, dove l’eredità dello stalinismo continua, per riprendere un’espressione, a pesare come un incubo sul futuro dei vivi. Pertanto, la necessità strategica consiste nel sostenere la ricostruzione di un movimento democratico e socialista – compresa la sua corrente rivoluzionaria – in questa regione, quale precondizione per la costruzione di un movimento veramente internazionalista, cioè anti-campista e anti-imperialista; un movimento che si opponga all’imperialismo in quanto tale, in tutte le sue manifestazioni. Ciò richiede un impegno senza esitazioni a difesa dei diritti democratici fondamentali, compreso il diritto all’autodeterminazione nazionale[1].
Le voci del popolo ucraino, dei suoi movimenti sociali e della sua sinistra, e di coloro che resistono in Russia devono essere al centro delle nostre preoccupazioni. Il loro impegno storico, la loro auto-attività, costituiscono la fonte del nostro orientamento e della nostra cultura politica. Mentre constatiamo e smascheriamo l’inganno e l’ipocrisia degli Stati Uniti e della NATO, l’eroica difesa dell’Ucraina contro la brutalità dell’invasione di Putin non può essere ridotta alla discussione sull’invio delle armi occidentali o alle macchinazioni imperiali, ma deve essere rispettata sia materialmente che politicamente. (Redazione del sito Tempest Mag, 24 febbraio 2023).

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Da ormai un anno il regime di Vladimir Putin uccide gli ucraini, manda a morte centinaia di migliaia di russi e minaccia il mondo con il possibile ricorso alle armi nucleari in nome dell’insensato obiettivo di restaurare il proprio impero.

Per noi russi che ci opponiamo all’aggressione e alla dittatura di Putin, questo è stato un anno di orrore e di vergogna per i crimini di guerra commessi quotidianamente “in nostro nome”.

Nel primo anniversario di questa guerra, esortiamo tutti coloro che desiderano la pace a partecipare alle manifestazioni e ai raduni contro l’invasione di Putin.

Purtroppo, non tutte le manifestazioni “di pace” che si svolgeranno questo fine settimana saranno azioni di solidarietà con l’Ucraina. Una parte significativa della sinistra occidentale non comprende la natura di questa guerra e sostiene un compromesso con il putinismo.

Abbiamo scritto questa dichiarazione per aiutare i nostri compagni all’estero a comprendere la situazione e ad adottare la migliore posizione possibile.

Una guerra controrivoluzionaria

Alcuni analisti occidentali attribuiscono la guerra a cause quali il crollo dell’URSS, la “storia contraddittoria della creazione della nazione ucraina” e lo scontro geopolitico tra potenze nucleari.

Senza negare l’importanza di questi fattori, ci sorprende che queste enumerazioni trascurino la ragione più importante e ovvia di quanto sta accadendo: la volontà del regime di Putin di sopprimere i movimenti di protesta democratica in tutta l’ex Unione Sovietica e nella stessa Russia.

L’annessione della Crimea nel 2014 e le ostilità nel Donbass sono state una risposta del Cremlino alla “rivoluzione della dignità” [Maïdan] in Ucraina che ha rovesciato [il 22 febbraio 2014] l’amministrazione corrotta filo-russa di Viktor Ianoukovitch, così come alle proteste di massa dei russi a favore della tenuta di regolari elezioni nel 2011-12, conosciute sotto il nome di manifestazioni di Piazza Bolotnaïa [tra l’altro il 6 maggio 2012].

L’annessione della penisola di Crimea è stata una vittoria di politica interna per Putin. Ha usato con successo la retorica revanscista, anti-occidentale e tradizionalista/passatista (cosi come la persecuzione politica) per allargare la sua base sociale, isolare l’opposizione e fare di Maïdan uno spauracchio per spaventare la popolazione.

Ma l’impennata di popolarità successiva all’annessione è stata di breve durata. La fine degli anni 2010 è stata segnata dalla stagnazione economica, da una riforma delle pensioni impopolare e dalle rivelazioni fortemente mediatizzate sulla corruzione da parte della squadra di Alexei Navalny. Tutto ciò ha fatto crollare la popolarità di Putin, soprattutto tra i giovani. Le proteste hanno scosso il Paese; il partito Russia Unita al governo ha subito una serie di dolorose sconfitte alle elezioni regionali.

Questo contesto ha spinto il Cremlino a mettere in campo tutte le sue forze per salvaguardare il regime. Il referendum costituzionale del 2020 (che ha comportato una frode senza precedenti, anche per gli standard russi) ha di fatto reso Putin un dirigente a vita. Con il pretesto di contenere la pandemia di Covid-19, le manifestazioni di protesta sono state alla fine vietate. A ciò si aggiunge il tentativo di avvelenamento del leader dell’opposizione extraparlamentare Alexeï Navalny, tentativo al quale è miracolosamente sopravvissuto.

La rivolta popolare in Bielorussia dell’estate 2020 ha confermato la convinzione dell’élite russa che “l’Occidente nel suo complesso” stia conducendo una “guerra ibrida” contro la Russia, attaccando quest’ultima e i suoi satelliti attraverso le cosiddette “rivoluzioni colorate”.

Naturalmente, tali affermazioni non rivelano nient’altro che una teoria del complotto. Il malcontento sociale e politico in Russia è cresciuto a causa dell’estrema disuguaglianza sociale, della povertà, della corruzione, dell’arretramento delle libertà civili e dell’evidente inconsistenza del modello russo di capitalismo, basato su un’oligarchia parassitaria che sfrutta i combustibili fossili e si appropria delle rendite derivanti dalle risorse naturali.

Se c’è una cosa che possiamo rimproverare all'”insieme occidentale” è la sua compiacenza di lunga data nei confronti del putinismo, anche per quanto riguarda la questione ucraina. Per decenni, le élite europee e statunitensi hanno difeso il “busines as usual” con la Russia di Putin, permettendo a una dittatura di emergere, di ridistribuire le ricchezze verso la parte alta della piramide sociale e di condurre una politica estera in tutta impunità.

Fare concessioni a Putin non porterà alla pace

L’invasione dell’Ucraina è stata un tentativo di Putin di ripetere il suo trionfo del 2014 in Crimea – assicurandosi una rapida vittoria, radunando la società russa attorno alla propria bandiera con slogan revanscisti, schiacciando l’opposizione e affermandosi come egemone nello spazio post-sovietico (che l’imperialismo di Putin considera come facente parte della “Russia storica“).

L’eroica resistenza delle ucraine e degli ucraini ha vanificato questi piani, trasformando la “guerra breve e vittoriosa” che il Cremlino sognava in un conflitto prolungato che ha impoverito l’economia russa e mandato in frantumi il mito dell’invincibilità del suo esercito. Messa all’angolo, Mosca minaccia il mondo con le armi nucleari mentre esorta l’Ucraina e l’Occidente a negoziare.

La retorica di Mosca è ripresa da certe forze della sinistra europea e statunitense che si oppongono alla fornitura di armi all’Ucraina (per “salvare vite umane” e prevenire un'”apocalisse nucleare“). Ma la Russia non è disposta a ritirarsi dai territori che si è accaparrata, una condizione che Kiev e il 93% delle ucraine e degli ucraini considerano come non negoziabile. L’Ucraina dovrebbe invece sacrificare la propria sovranità (posizione che ha precedenti molto oscuri nella storia europea) per placare l’aggressore,?

“Salvare vite umane“?

È dunque vero che la sconfitta dell’Ucraina, inevitabile se si ritirano gli aiuti occidentali, permetterà di evitare altre vittime? Anche se accettassimo la logica non ovvia (da un punto di vista socialista) secondo la quale salvare vite umane è più importante che combattere la tirannia e l’aggressione, crediamo che non sia così.

Come sappiamo, Vladimir Putin ha rivendicato l’intero territorio dell’Ucraina, affermando che ucraini e russi sono “un’unica nazione” e che l’esistenza di uno Stato ucraino è un’assurdità storica. In questo contesto, un cessate il fuoco darebbe al Cremlino solo il tempo di ricostruire la propria capacità militare per una nuova offensiva, in particolare costringendo un numero ancora maggiore di russi (per lo più poveri e appartenenti a minoranze etniche) ad arruolarsi nell’esercito.

Se l’Ucraina continuerà a resistere all’invasione, anche senza forniture di armi, ciò comporterà innumerevoli perdite tra i soldati e i civili ucraini. E il terrore, di cui abbiamo visto le orribili prove a Butcha e altrove, è ciò che attende ogni nuovo territorio che la Russia potrebbe conquistare.

Imperialismo multipolare

Quando Putin parla di sbarazzarsi dell’egemonia statunitense nel mondo e fa addirittura riferimento a una lotta “anticolonialista” (!), non si riferisce alla creazione di un ordine mondiale più egualitario.

Il “mondo multipolare” di Putin è un mondo in cui la democrazia e i diritti umani non verrebbero più considerati come valori universali e in cui le “grandi potenze” avrebbero mano libera nelle rispettive sfere di influenza geopolitiche.

Ciò significa essenzialmente il ripristino del sistema di relazioni internazionali che esisteva all’alba delle due guerre mondiali.

Questo “buon vecchio mondo” sarebbe un posto meraviglioso per i dittatori, i funzionari corrotti e l’estrema destra. Ma sarebbe un inferno per le lavoratrici e i lavoratori, le minoranze etniche, le donne, le persone LGBT, le piccole nazioni e tutti i movimenti di liberazione.

Una vittoria di Putin in Ucraina non ripristinerebbe lo status quo prebellico. Essa creerebbe un precedente funesto conferendo alle “grandi potenze” il diritto di scatenare guerre d’aggressione e di praticare la politica del rilancio nucleare. Sarebbe il preludio di ulteriori catastrofi militari e politiche.

A cosa porterebbe una vittoria del putinismo in Ucraina?

Una vittoria di Putin significherebbe non solo la subordinazione dell’Ucraina, ma anche la sottomissione di tutti i paesi post-sovietici alla volontà del Cremlino.

In Russia, una vittoria del regime preserverebbe un sistema caratterizzato dal dominio di un regime securitario e quella di un’oligarchia che controlla le rendite dei combustibili fossili, imponendosi sulle altre classi sociali (soprattutto sulla classe operaia) e perpetuerebbero il saccheggio delle risorse naturali a scapito dello sviluppo tecnologico e sociale.

Per contro, la sconfitta del putinismo in Ucraina potrebbe probabilmente favorire la rinascita dei movimenti per il cambiamento democratico in Bielorussia, Kazakistan e in altri paesi ex sovietici, oltre che nella stessa Russia.

Sarebbe troppo ottimistico pretendere che la sconfitta in questa guerra porti automaticamente alla rivoluzione. Ma la storia russa è piena di esempi di sconfitte militari all’estero che hanno portato a grandi cambiamenti in patria, come l’abolizione della servitù della gleba, le rivoluzioni del 1905 e del 1917 e la Perestroïka negli anni 1980.

Ai socialisti russi non interessa una “vittoria” di Putin e dei suoi complici oligarchi. Invitiamo tutti coloro che vogliono veramente la pace e credono ancora nel compromesso con il governo russo a esigere il ritiro delle sue truppe dai territori ucraini. Qualsiasi appello alla pace che non includa questa richiesta è fallace.

– Porre fine alla guerra! Solidarietà contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin.

– Basta con la coscrizione! I russi non sono carne da cannone.

– Liberate le prigioniere e i prigionieri politici russi!

– “Per una Russia libera!”

*questo manifesto del Movimento socialista russo e contro la guerra – attualmente costretto all’esilio è stato tradotto dal russo e pubblicato dalla rivista americana Tempest Mag il 24 febbraio 2023; la traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.


[1] Le varie componenti del Movimento Sociale Ucraino, Socialnij Ruch, danno un contenuto più preciso alla lotta per la realizzazione del diritto all’autodeterminazione. Par fare ciò sottolineano congiuntamente: la necessità di una resistenza militare; la difficile battaglia per la difesa dei diritti sociali e democratici messi in discussione dal “neoliberismo guerriero governativo”; la giunzione fra questi due compiti nell’obiettivo di dare, in prospettiva, un contenuto a un’autodeterminazione popolare effettiva che sconfigga l’eterodeterminazione pianificata, a diversi livelli, dalle “forze atlantiste” e dai loro alleati socio-politici in Ucraina. Ciò tanto più che la guerra si svolge nel contesto dell’ascesa di una “mondializzazione armata”, con i molteplici ed estesi conflitti che si stanno pericolosamente profilando. (nota redazionale)