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A fare sprofondare la Francia in una crisi politica, sociale e istituzionale, giovedì 16 marzo, è l’annuncio della prima ministra Elisabeth Borne che si assume la responsabilità della riforma pensionistica del governo. Non avendo la maggioranza all’Assemblea nazionale, il governo si è rassegnato a ricorrere all’articolo 49-3 della Costituzione per far passare la sua legge. Come aveva imposto il socialista François Hollande con la sua Loi Travail, il jobs act francese: senza un voto del Parlamento, come un Orban qualsiasi, come accadrà quando anche in Italia si compirà la torsione presidenzialista.

Rapidamente alcuni titoli: Mediapart titola: « Brutale e pericoloso» e in un editoriale parla di «Il primo giorno della fine del quinquennato». L’Humanité, organo del PCF dice: «49.3, beccati questo, popolo». Liberation: « Riforma delle pensioni: l’inizio dell’impotenza di Macron». Infine Le Monde: «Riforma delle pensioni: 217 persone arrestate a Parigi dopo la manifestazione a Place de la Concorde, scontri a Nantes e Rennes».

Dopo aver ignorato per due mesi un movimento sociale di proporzioni storiche, insistendo sul fatto che la legittimità del testo risiedeva nel Parlamento, il campo presidenziale ha dovuto affrontare la realtà: anche nell’Assemblea la sua riforma non aveva la maggioranza.
Per Elisabeth Borne, l’esito della sequenza suona come una terribile sconfessione. In prima linea, l’ex ministro del Lavoro aveva ottenuto dal Presidente della Repubblica emendamenti sulla forma, il calendario e le modalità, l’unico modo, secondo lei, per ottenere una maggioranza parlamentare. Resterà l’emblema di questo fallimento e non si vede come possa rimanere a Matignon.
Il naufragio del potere, tuttavia, va ben oltre il solo caso del primo ministro. Se per due mesi si è abilmente trincerato dietro di lei, Emmanuel Macron è il primo artefice di questa disfatta e il suo primo contabile. Nel suo desiderio di posticipare l’età pensionabile, il Presidente della Repubblica si è alienato tutti i poli vitali della democrazia, dai sindacati al Parlamento e alla società mobilitata, di cui diversi milioni di protagonisti sono scesi in piazza per esprimere il loro malcontento.
Avrebbe potuto ritirare la sua riforma; indire un referendum; prendere atto del fallimento della legislatura e sciogliere l’Assemblea. Ha preferito passare alla forza, ancora una volta.

L’errore sarebbe dimenticare questo: se il governo uscirà notevolmente danneggiato da questa sequenza, la riforma è a un passo dall’approvazione. Solo il voto di una mozione di censura, al momento improbabile (ma le probabilità non valgono molto nel bel mezzo di una crisi politica di questo tipo), potrebbe impedire che il disegno di legge e la sua misura di punta, il pensionamento a 64 anni, passino definitivamente.

Si tratta dell’ennesimo insulto alla democrazia parlamentare, in una sequenza che ne ha notevolmente indebolito la portata. Il governo ha deliberatamente limitato la durata dei dibattiti e l’orizzonte della rappresentanza nazionale. Ha aggiunto l’uso del voto bloccato al Senato e, d’ora in poi, il passaggio forzato in Assemblea. Dall’articolo 47-1 al 44-3 e al 49-3, il governo ha utilizzato tutti gli strumenti che la Costituzione gli offre per aggirare il Parlamento. Un quarto d’ora prima del discorso di Elisabetta Borne, la maggioranza dei membri del governo e i dirigenti del suo campo non erano a conoscenza della decisione del Presidente della Repubblica.

Una strategia, un misto di bulldozer e terra bruciata, che gli lascia pochi alleati. I poteri economici, i mercati finanziari, le grandi fortune del Paese e parte dei pensionati forse applaudiranno (e ancora…) l’ostinazione del Presidente della Repubblica nell’applicare le riforme che chiedevano.

I sindacati hanno annunciato la loro volontà di continuare ed espandere il movimento sociale che potrebbe godere ora di un nuovo slancio dopo gli evidenti segnali di stanchezza pur dentro proporzioni di lotta inimmaginabili da quest’altra parte delle Alpi. Sul territorio, prefetti e consiglieri locali lanciano l’allarme per la rabbia crescente e temono che l’esito del dibattito parlamentare diventi l’ultima goccia in un vaso già pieno. E l’estrema destra si sta già sfregando le mani, felice dell’incendio appiccato dal piromane dell’Eliseo.

A livello politico, il futuro non sembra più rassicurante. Dopo tutto questo, cosa rimane del secondo mandato quinquennale di Emmanuel Macron? Se governo e premier sono al minimo della credibilità, alle camere Macron non ha una maggioranza e ora avrà tutte le difficoltà del mondo a comporla. E, al di fuori del campo politico, la frattura con i corpi intermedi sembra così profonda da far presagire un cattivo esito per la socialdemocrazia.

«Il re è nudo, solo adornato dalla legittimità di un’elezione di default di fronte al pericolo dell’estrema destra. La questione sarebbe solo affar suo se non invischiasse l’intero Paese in una preoccupante nebbia democratica», chiosa il notista politico di Mediapart, sito d’inchiesta che Popoff consulta sempre a proposito di questioni francesi.

Intanto, Place de la Concorde trema ancora sotto i canti dei manifestanti alle 20 di giovedì 16 marzo, poche ore dopo che il governo ha imposto la sua riforma delle pensioni attraverso l’articolo 49-3 della Costituzione. Organizzata originariamente da un’intersindacale studentesca, la manifestazione in questa piazza emblematica di Parigi ha avuto, un discreto successo. In serata, diverse migliaia di persone erano ancora lì in un’atmosfera sovraeccitata.

All’inizio della serata, la polizia (gli agenti vanno in pensione a 55 anni) è entrata in azione, dopo una giornata in cui comunque era apparsa nervosa. in particolare usando cannoni ad acqua. Le cariche e l’uso di gas lacrimogeni hanno spinto i manifestanti ad allontanarsi dal ponte che porta all’Assemblea Nazionale e a tornare in piazza.

I camion del sindacato Sud hanno sputato musica e discorsi dei sindacalisti per diverse ore davanti a una folla ricettiva, pronta a raccogliere tutti gli slogan.

L’atmosfera generale è di determinazione di fronte alla presa di potere dell’esecutivo sulla riforma delle pensioni. Una determinazione che le forze dell’ordine hanno difficoltà a respingere, di fronte al lancio di bottiglie o pietre. Quando è scesa la notte, però, sono iniziate le cariche: lacrimogeni, cannoni ad acqua, granate disinnescanti. La folla si è ritirata senza fuggire e i canti sono continuati.

A Concorde galleggiano i palloncini del sindacato Solidaires, che ha indetto una manifestazione alle 15.00. La manifestazione è stata inizialmente vietata dalla polizia. Inizialmente era stata vietata dalla prefettura di polizia, ma alla fine il tribunale amministrativo ha dato ragione al sindacato dopo una procedura sommaria.

Lo Stato deve a Solidaires anche 1.000 euro… che forse andranno direttamente al fondo per lo sciopero, come ha già annunciato il sindacato: “Questo 49-3 in questo contesto di rabbia sociale e di mobilitazioni massicce aggiunge benzina al fuoco… Solidaires continuerà a costruire nelle prossime ore, nel modo più unito possibile, la risposta sociale a questa negazione della democrazia e a chiedere il ritiro di questa legge ingiusta e illegittima”.

Sul posto, Céline Verzeletti, segretaria confederale della CGT, una delle attiviste chiamate ad assumere la guida della CGT da Philippe Martinez al congresso della confederazione che si terrà a fine mese, ci assicura che il passaggio con la forza rischia di “scatenare la rabbia dei lavoratori”.

E’ la notte della rabbia in tutta la Francia: raduni, marce non autorizzate e persino spettacoli teatrali: poche ore dopo la decisione di Elisabeth Borne (49-3), molte migliaia di persone sono scese spontaneamente in strada per protestare in moltissime città. Una mobilitazione nazionale è stata indetta per il prossimo 23 marzo.

«L’uso del 49-3 da parte del governo è uno scandalo democratico. Dimostra la debolezza della base sociale del potere e il suo corso autoritario. Sotto la pressione del movimento, nonostante l’accordo con la leadership di LR (partito di destra), i deputati non hanno osato votare la riforma. Questo rafforza l’illegittimità del governo e spinge le leadership integrate nelle istituzioni a mantenersi all’interno della mobilitazione, CFDT in testa. Questo dimostra il carattere particolarmente antidemocratico delle istituzioni della Quinta Repubblica, che permettono a un governo di minoranza di approvare una riforma. In un certo senso, questa è una buona notizia per il movimento», si legge in un comunicato del NPA, il Nuovo partito anticapitalista.

«Le mobilitazioni che si sono svolte ai quattro angoli del Paese giovedì sera testimoniano la rabbia per lo scandalo democratico in atto e la repressione che si è scatenata, contro le manifestazioni, ma anche contro attivisti sindacali specificamente presi di mira, come quelli del settore energetico, dell’irrigidimento del potere. Macron è ultra-minoritario, la sua riforma anche, e i primi sondaggi post 49.3 indicano il massiccio rifiuto di questo passaggio con la forza e la profondità della protesta, che non si affievolisce. Con il proseguimento della mobilitazione, è probabile che il governo accentui la repressione. Ciò richiederà solidarietà e una risposta unitaria all’altezza della provocazione.

Tuttavia, nulla è scontato. Le mozioni di censura saranno respinte, i rapporti di forza restano incerti. Il movimento deve fare un passo avanti per vincere, non possiamo più accontentarci di scioperi lampo. La data del 23 annunciata dall’intersindacale è molto lontana. Dobbiamo utilizzarla per costruire lo sciopero dove ancora non c’è, contando sui settori mobilitati. Ma dobbiamo accelerare il passo, per non demoralizzarci e per non lasciare soli i settori di punta».

Per l’NPA la vittoria dipende dalla combinazione di diversi fattori: «il rafforzamento degli scioperi rinnovabili, in particolare nei servizi pubblici e nelle imprese statali. Nel settore privato, è necessario amplificare la mobilitazione per rallentare la produzione e fare pressione sui datori di lavoro parallelamente alla loro rappresentanza politica. Gli scioperi rinnovabili hanno contribuito notevolmente a destabilizzare il governo. Dobbiamo fare di tutto per ampliarli, per rendere questa lotta una mobilitazione quotidiana, il movimento deve fare notizia ogni giorno. Il nostro obiettivo è lo sciopero generale.

Il mantenimento di manifestazioni di massa che dimostrino la profondità del movimento, la sua legittimità. La richiesta di mobilitazioni ovunque, che mirino direttamente al potere politico, come ha fatto il movimento dei Gilet Gialli. Con i GJ e le squadre sindacali, il movimento deve puntare a bloccare il Paese. È necessaria una manifestazione nazionale a Parigi per contestare politicamente e massicciamente la riforma e il potere.

La risposta allo scandalo democratico in corso. Il governo e Macron devono andarsene, ma dobbiamo evitare che l’estrema destra ci tenda un’imboscata e prenda il sopravvento. Si tratta di imporre una politica che parta dalle esigenze dei lavoratori, dei giovani e dei pensionati e che si basi sulle loro mobilitazioni per imporle, un governo che sia fedele agli interessi dei lavoratori come quello di Macron lo è a quelli dei datori di lavoro. È responsabilità di tutte le organizzazioni della sinistra sindacale, politica e associativa discutere tutti questi punti. Proponiamo di incontrarci al più presto.

Al di là di questo, è più che mai necessaria un’alternativa politica attorno a un progetto di rottura con le politiche capitaliste, una rottura per una società eco-socialista.

Una vittoria è possibile contro Macron e le sue riforme. Dobbiamo darci tutti i mezzi per ottenerla».

*articolo apparso sul sito di Sinistra Anticapitalista