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Da troppi anni il Mediterraneo inghiotte centinaia, migliaia di persone che in fuga da guerre, da carestie, dalla miseria, cercano una “nuova vita” tra le dorate sbarre della Fortezza Europa. Di molte di loro non abbiamo e non avremo mai notizia, perché spariscono nelle acque fredde e scure. In altri casi, invece, le tragiche immagini dei defunti ci riempiono gli occhi e la testa, e ci interrogano profondamente: dal piccolo Alan Kurdi, ai morti della “Barca nostra” (storia raccontata da Cristina Cattaneo nel libro “Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”, Raffaello Cortina Editore, 2018), passando per i naufragi al largo delle coste di Crotone e della Libia recentemente avvenuti.

Quello che rimane dopo queste tragedie, oltre alle bare, non è il cordoglio, il silenzio, la giusta critica al sistema migratorio, ma un triste balletto di accuse tra schieramenti politici: a destra si chiedono maggiori giri di vite su scafisti, passatori e “migranti economici”, mentre i partiti socialdemocratici condannando l’inumanità e l’intransigenza della politica migratoria messa in atto dagli stati, chiedendo maggiore solidarietà e una migliore accoglienza per chi è costretto a lasciare il proprio paese per sopravvivere. Se i toni reazionari della destra non ci sorprendono più di quel tanto, rimaniamo più sorpresi dalla miopia dei socialdemocratici verso le corresponsabilità per queste tragedie. Per restare alle nostre latitudini, limitiamoci a prendere l’esempio del PD italiano (la cui nuova segretaria è stata osannata, servita e riverita dai socialisti nostrani), e del PS svizzero.

Nel 2017, quando il Presidente del consiglio italiano era Paolo Gentiloni, uno dei fondatori del PD, l’Italia ha sottoscritto con il governo libico un accordo, voluto e promosso dal ministro dell’interno Marco Minniti, volto a contrastare l’ingresso illegale di richiedenti asilo e migranti. Quegli accordi non sono mai stati messi in discussione, sono ancora in vigore oggi, e di fatto consegnano i migranti nelle mani dei carcerieri libici che maltrattano, abusano e uccidono.

A livello svizzero invece, come non ricordare che fu proprio la consigliera federale socialista Simonetta Sommaruga, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia dal 2010 al 2018, a sostenere, con l’aiuto del PS svizzero (svariate sezioni cantonali erano invece contrarie), la revisione della legge sull’asilo nel 2012 che ha abolito l’articolo 20 che permetteva a chiunque di presentare una domanda d’asilo presso le rappresentanze svizzere nel mondo. Con l’eliminazione di questa possibilità (motivata, si diceva, dal fatto che eravamo l’unico paese in Europa ancora a permetterlo), si è di fatto tolto un corridoio sicuro per le persone in cerca di aiuto, spingendole nelle mani di trafficanti senza scrupoli. Quegli stessi criminali che oggi stipano barchini con decine di corpi, incuranti del pericolo a cui vanno incontro.

Recentemente è invece stata messa in consultazione una revisione dell’ordinanza, per permettere alla Segreteria di stato alla migrazione di valutare i dati personali di un richiedente l’asilo sul suo cellulare o computer se la sua identità, nazionalità o itinerario di viaggio non potranno essere stabiliti in altro modo. Un’ingerenza tremenda nei diritti di qualsiasi persona con passaporto svizzero, che deve rispettare severi criteri per esser ammessa. Evidentemente per dipartimento di giustizia e polizia federale, guidato dalla socialista Elisabeth Baume-Schneider, le persone migranti non possono godere dei diritti garantiti dalla Costituzione federale. Un pieno passaggio di testimone con la predecessora Karin Keller Sutter.

Il naufragio al largo delle coste di Crotone, così come le violenze subite dai migranti sulla rotta balcanica, e tante altre tragedie, maltrattamenti, soprusi conosciuti e non,  avrebbe potuto essere evitati, o forse perlomeno oggi conteremmo qualche vita spezzata in meno. La socialdemocrazia, svizzera, italiana ed europea, ha avuto la sua parte di responsabilità e continua ad averla sostenendo politiche migratorie che uccidono. È ora di riconoscerlo per poter cambiare davvero le cose: le norme che costringono i migranti a partire in condizioni disastrose sono sempre lì, servono cambiamenti radicali nel sistema migratorio e vie di accesso sicure all’Europa. Le belle parole e l’indignazione non servono in mezzo alla forza del mare.

*articolo apparso sul sito www.naufraghi.ch