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Pubblichiamo qui di seguito l’intervento di Simona Arigoni a nome del gruppo MPS nel dibattito tenutosi in Gran Consiglio sulla cosiddetta questione del “potenziamento dell’insegnamento del tedesco”. (Red)

L’insegnamento delle lingue (nazionali e internazionali) nella scuola dell’obbligo in Ticino è sempre stato il risultato di aggiunte successive. Di fronte a richieste provenienti dagli ambienti economici o semplicemente dalle modificazioni della importanza e presenza di lingue stanieri, si è sempre proceduto in modo empirico. Se questo modo di procedere avrebbe potuto essere giustificato all’inizio è evidente che oggi esso ha creato una situazione dalla quale non emerge, di fatto, alcuna concezione chiara – fondata su criteri chiari – su ragioni e obiettivi dell’insegnamento delle lingue straniere nella scuola dell’obbligo.

Basta dara un’occhiata a quanto viene fatto per rendersi conto di una babele lontana da qualsiasi concezione. Troviamo oggi il tedesco dalla seconda alla quarta media il francese dalle elementari fino in seconda media, l’inglese int erza e in quarta media. Anche le pratiche didattiche sono diverse (da insegnamento a classi intere fino a insegnamento a classi dimezzate, anche qui senza un logica di qualsiasi genere).
La recente discussione sul superamento dei livelli in parte è anche una discussione sul “potenziamento” (per usare l’espressione usata oggi) dell’insegnamento del tedesco. Sperimentare forme di insegnamento differenziato su questa lingua significa di fatto potenziarne l’insegnamento. Tutto questo, naturalmente, dando per scontato che il tedesco vada potenziato.

Noi pensiamo che questa discussione non possa essere data per implicita, quasi un tributo ad un falso buon senso che vorrebbe che in una paese come la Svizzera il tedesco non possa non essere insegnato e, automaticamente, potenziato.

Naturalmente nessuno spiega le ragioni vere. Si avanza una generico interesse del mercato del lavoro ad avere manodopera che possa disporre di conoscenze linguistiche, in particolare il tedesco. È bastato un pronunciamento degli industriali che hanno richiesto questo rafforzamento perché i partiti di governo (e tutti poiché questo rafforzamento del tedesco in realtà nessuno lo contesta, cambiamento le posizioni su modi e tempo di questo rafforzamento).

In realtà la letteratura scientifica in materi di apprendimento delle lingue straniere non dà una risposta univoca sul rapporto tra età di apprendimento e grado di acquisizione delle conoscenze linguistiche. Da un lato, ad esempio, sembrerebbe che anticipare l’insegnamento di una lingua straniera tra i più giovani permette una facilità di apprendimento (quell’aspetto ludico che tutti i nostri figli segnalano quando imparano il francese alla scuola elementare); dall’altro molte riceche spiegano come un apprendimento più tardivo mostra progressi più rapidi e superano gli apprendimenti precoci sia per intensità che velocità di apprendimento.

Tutto questo necessiterebbe una lavoro di approfondimento, una riflessione di fondo sull’insegnamento delle lingue e, visto il ruolo loro assegnato, dell’insegnamento dell’obbligo nel suo complesso.

In questo senso non si capisce per quale ragione una serie di proposte siano state rinviate (al momento della discussione sui livelli) a una discussione generale attorno ad una proposta di riforma complessiva della legge sulla scuola dell’obbligo e oggi si voglia per contro intervenire massicciamente sulla organizzazione dell’insegnamento con questo proposta relativa al tedesco.

Infine non si può non rilevare come sia di fatto una procedura priva di senso e non tale da permettere una reale discussione quella di accorpare in una sola disussione proposte che vanno in senso diverso (dal principio di poter organizzare l’insegnamento in lingue diverse dall’italiano al potenziamento del tedesco nelle scuole professionali fino al tema del potenziamento del tedesco con la sua introduzione già in prima media).

Un modo di procedere e di discutere che è ben lontano dalla riflessione complessiva che noi auspichiamo, condotta su basi più serie di quelle che emergono dai rapporti di governo e commissione.