Qualcuno si chiederà: ma dove vuole andare a parare l’accostamento nel titolo di questo articolo?
Semplice, quanto è avvenuto in Svizzera attorno alla “ripresa” di Credit Suisse da parte di UBS, sotto l’”alto patrocinio” del Consiglio federale e della Banca Nazionale, ha un punto fondamentale di contatto con quanto successo in Francia attorno alla riforma delle pensioni: in entrambi i casi sono gli esecutivi a decidere unilateralmente su questioni fondamentali che riguardano la società e la vita di milioni di uomini e di donne.
Una situazione che mostra quanto vuoti siano i concetti che regolano il capitalismo liberale e quanto le istituzioni della cosiddetta democrazia liberale cedano sistematicamente il passo di fronte agli interessi fondamentali delle classi dominanti.
Così, in Svizzera, il Parlamento, massima istituzione della democrazia liberale – così dicono i manuali scolastici, ha mostrato tutta la propria impotenza discutendo animatamente su misure miliardarie già definitivamente decise dall’esecutivo; ma, ancora peggio, si è inflitto una sorta di auto-umiliazione bocciando le misure adottate dal governo nell’ambito del “salvataggio” di Credit Suisse sapendo che tale censura non avrebbe avuto alcuna conseguenza pratica.

In Francia, di fronte a un Parlamento che, raccogliendo l’opinione maggioritaria dei Francesi (per una volta tanto un Parlamento che sul serio sembrava “rappresentare” l’elettorato su una questione di grande rilievo sociale), aveva deciso di contestare il progetto del governo, quest’ultimo ha pensato bene di esautorarlo e, indirettamente, di non tenere conto della volontà popolare delle cittadine e dei cittadini che, ci si dice, il Parlamento dovrebbe rappresentare.
Naturalmente tutto questo avviene, in Francia come in Svizzera, nel pieno rispetto delle costituzioni dei due paesi. In Svizzera, ricorrendo agli articoli 184 e 185 della Costituzione federale che garantiscono poteri di fatto assoluti al Consiglio federale (il cosiddetto diritto di necessità); in Francia, con il ricorso al famigerato articolo 49.3 della Costituzione che consente al Governo di far approvare un disegno di legge anche senza una formale votazione all’Assemblea nazionale.
In Svizzera, in particolare (ma anche la Francia non è estranea), queste operazioni permettono poi di scatenare il teatrino della politica, tra coloro che sono d’accordo, quelli che non sono d’accordo ma si prestano a discutere di quanto successo come se le decisioni prese potessero essere modificate, quelli che in Parlamento dicono rosso e in governo dicono nero, giocando sui tavoli di governo e opposizione, coscienti del fatto che in una rappresentazione teatrale tutto è valido. Soprattutto a pochi mesi dalle elezioni rispetto alle quali è necessario “profilarsi”. E sono poi gli stessi che mostrano “preoccupazione” di fronte al fatto che, la Svizzera come la Francia, abbia Parlamenti eletti da una minoranza degli aventi diritto di voto, con tendenza al peggioramento.
In realtà, in Francia come in Svizzera, pochissime persone (rappresentanti delle classi dominanti) hanno deciso su questioni che toccano milioni di persone e il fatto che abbiano agito “rispettando” la Costituzione non rende le loro decisioni più “democratiche” o “giuste”.
Tutto questo ci induce a ribadire le nostre convinzioni sulla natura dello Stato (Governo, Parlamento, amministrazione), concepito non come strumento al servizio dei cittadini e delle cittadine, ma al servizio degli interessi fondamentali delle classi dominanti e del capitale.
Certo, in alcune occasioni, alcune istituzioni (come i Parlamenti) possono essere strumenti da utilizzare per dare voce agli interessi della maggioranza della popolazione; ma, quasi mai, esse sono stati strumenti utili al conseguimento della soddisfazione dei bisogni economici, sociali e ambientali delle classi subalterne.