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Pubblichiamo qui di seguito l’interpellanza con la quale i deputati dell’MPS chiedono al Consiglio di Stato un bilancio delle decisioni prese un anno fa (da governo e Parlamento) sull’IPCT. (Red)

Il 12 aprile 2022, più di un anno fa, il Gran Consiglio, con l’accordo di quasi tutte le forze politiche (dall’UDC ai Verdi), decideva di approvare una proposta che aveva la pretesa di affrontare la questione del cosiddetto “risanamento” dell’Istituto di Previdenza del Canton Ticino (IPCT). L’opposizione, chiara e netta e con tanto di proposta alternativa, era venuta, ancora una volta, dall’MPS. La concertazione (“Cassa pensione tutti d’accordo”, aveva titolato il Corriere del Ticino) aveva avuto il sopravvento, ancora una volta.

Il tema era davanti Gran Consiglio da ormai più di due anni: il Consiglio di Stato aveva proposto, con un messaggio specifico, di sostenere l’IPCT attraverso un finanziamento (da attuarsi in forme diverse) di 500 milioni di franchi, corrispondente al versamento anticipato dei propri contributi.

Ma da quel momento, siamo ad inizio 2020, comincia la melina, condotta in particolare dall’estrema destra (Lega e UDC) che non vuole che il datore di lavoro (il Cantone) versi questo contributo, minacciando un referendum in caso di accoglimento della proposta.

Gli altri, a cominciare dallo stesso governo che aveva presentato il messaggio, non si fanno pregare e accolgono le ridicole motivazioni di Lega e UDC che conducono la danza, riuscendo alla fine a far approvare una proposta totalmente diversa che permette ai datori di lavoro (il Cantone, i Comuni e altri enti i cui dipendenti sono affiliati all’IPCT) di non versare nemmeno un centesimo per i salari (le pensioni, ricordiamolo, altro non sono che salario “differito”) dei propri dipendenti.

Infatti, dal cilindro della commissione della gestione emerge, come l’ha definita il leghista Michele Guerra, coordinatore della Sottocommissione finanze, “una soluzione innovativa che tutela al massimo l’interesse del contribuente e del Cantone“. Si tratta di una “soluzione” che vede il datore di lavoro intervenire senza versare nemmeno un centesimo. Come? Emettendo un prestito obbligazionario sui mercati finanziari di 750 milioni che poi “avrebbe girato” all’IPCT; quest’ultimo dovrà investirlo sui mercati finanziari e in questo modo contribuire alla soluzione dei problemi della cassa pensione. Costo zero per il datore di lavoro che accollerà alla cassa pensione i costi del prestito obbligazionario.

Una soluzione assurda, poiché affida all’evoluzione dei mercati finanziari il futuro delle pensioni dei dipendenti del Cantone, di fatto giocandosi in borsa le pensioni. E il fatto che già all’epoca (siamo nella primavera del 2022) i mercati finanziari avessero dato segni ampi di volatilità e crisi, non aveva certo impensierito i partiti dell’”arco costituzionale” che, giustificando il loro comportamento con la minaccia del referendum UDC-Lega, per giustificare l’abbandono della proposta iniziale del governo e il sostegno alla nuova proposta del prestito obbligazionario.

In questi mesi i mercati finanziari hanno dimostrato quanto ridicola dal punto di vista finanziario (al di là degli aspetti politici) fosse la proposta dei partiti che l’avevano approvata, denotando leggerezza e approssimazione nell’affrontare i problemi più importanti.

Infatti, un primo tentativo di asta pubblica per la sottoscrizione di una prima tranche del prestito obbligazionario, fatto in giugno, è andato miseramente a vuoto: nessuno ha sottoscritto alle condizioni richieste. Christian Vitta, a nome del governo, ha dovuto ammettere il fallimento, limitandosi ad annunciare che sarebbe stato fatto un nuovo tentativo a breve. Cosa che, si presume, sia avvenuta ma con risultati, si deve presumere in assenza di qualsiasi riscontro ufficiale, altrettanto negativi.

Il risultato è che, a oltre un anno di distanza dall’approvazione di quella “soluzione innovativa”, siamo al punto di partenza e il cosiddetto “risanamento” dell’IPCT non ha fatto alcun passo avanti. Tutto questo in un contesto finanziario internazionale (come quello che viviamo in questi giorni) che rende ancor meno credibile di quanto non lo fosse un anno fa la soluzione proposta allora.

Un vuoto di soluzioni, sembra quasi fatto apposta, che rende ancora più difficile la discussione per l’adozione di misure di compensazione in grado di contrastare la diminuzione delle rendite conseguente alla diminuzione del tasso di conversione, già avviato nella prima tappa per l’inizio del 2024 (con una diminuzione del 2% delle future rendite).

Più che mai urgente quindi, la mozione presentata dal gruppo MPS (nell’agosto dello scorso anno) che chiede al Parlamento di abbandonare la decisione presa e di tornare sulla proposta iniziale di un versamento di 500 milioni da parte del datore di lavoro (il Cantone e gli altri enti affiliati all’IPCT). Ricordiamo le parole contenute in quella mozione che definiva “assurda” della soluzione accolta dal Parlamento: “Prima di tutto perché affida il futuro della cassa (e quindi delle pensioni di migliaia di dipendenti pubblici – dipendenti del Cantone, dei Comuni, di diversi servizi sociali, della Supsi, dell’Usi ecc.) – a eventuali performance del mercato azionario; in secondo luogo poiché con questa soluzione il datore di lavoro (il Cantone in primis) non ci mette di proprio nemmeno un centesimo; infine poiché è evidente che investire e – soprattutto – far rendere 500 o 700 milioni nell’attuale contesto dei mercati finanziari appare (e appariva già al momento del dibattito in Gran Consiglio nel corso della scorsa primavera) come operazione altamente difficile e, va da sé, rischiosa“.

È ora di smetterla di far finta che non sia successo nulla in questo anno; è ora di fare un bilancio dei risultati di quella sciagurata proposta adottata un anno fa e prendere atto del suo fallimento; è ora di riaprire la discussione su altre proposte per rispondere alla questione del cosiddetto risanamento dell’IPCT; è ora di fare un bilancio dei risultati di quella sciagurata proposta adottata un anno fa.

Alla luce di queste considerazioni chiediamo al governo:

1.Un bilancio, chiaro e completo, delle ragioni che non hanno portato al fallimento della proposta approvata dal Parlamento

2. Di presentare indicazioni chiare, sia nei contenuti che nelle tempistiche, su quali soluzioni alternative intende proporre