Si tiene oggi, 13 aprile, una nuova giornata di mobilitazione in Francia, in attesa che il Consiglio Costituzionale si pronuncia sulla costituzionalità della riforma venerdì 14 aprile. Qui di seguito, un articolo (scritto il 9 aprile) che fa il punto sulla situaione. (Red)
Il 6 aprile ha visto un’altra giornata di scioperi e manifestazioni al pari del 28 marzo e, secondo i sindacati, 2 milioni di persone in piazza. Molti blocchi, azioni spettacolari, come uno striscione srotolato dalla cima dell’Arco di Trionfo. La cosa più spettacolare è sicuramente il numero e la massa dei cortei in molte città di piccole e medie dimensioni. Spettacolare è anche il persistente rifiuto della riforma di Macron da parte dell’80% della popolazione attiva, cioè la grande maggioranza delle classi lavoratrici.
Ma, isolato, Macron spera di poter allentare la morsa di un movimento sociale che, anche se meno potente nelle ultime settimane, sta creando una crisi politica nel Paese.
Nelle ultime settimane si è registrato un netto calo del numero di scioperi a oltranza tra i lavoratori della raccolta e del trattamento dei rifiuti, nelle raffinerie e alla SNCF. Solo i lavoratori delle industrie dell’elettricità e del gas stanno mantenendo un movimento di tagli selettivi. I settori che dall’inizio di marzo hanno ingaggiato il braccio di ferro per bloccare la vita economica mettendo in campo tutte le loro forze hanno invitato gli altri settori a unirsi a loro da un mese, non volendo rinnovare gli episodi di “scioperi per procura“. Ma c’erano difficoltà oggettive reali in molti settori di lavoratori – e anche tra i giovani nelle scuole fino ad oggi – e la scelta dell’intersindacale di proseguire al ritmo di un giorno di sciopero a settimana, allineandosi così con i settori meno mobilitati, corre il rischio di impedire di coinvolgere nuovi settori in scioperi ad oltranza.
Questa scelta corrisponde chiaramente a un compromesso con la posizione della direzione confederale della CFDT (Laurent Berger), legata al mantenimento dell’intersindacale intorno al rifiuto dei 64 anni, nella richiesta di scioperi, manifestazioni e persino blocchi, ma contraria a una tattica di paralisi della vita economica del Paese. L’ampia unità sindacale, resa possibile dal rifiuto popolare dei 64 anni e che ha contribuito a consolidare questo rifiuto, ha avuto come corollario questa moderazione nello scontro fino ad oggi. Ciò non impedisce il moltiplicarsi di blocchi e scioperi che spesso coinvolgono gruppi di lavoratori appartenenti a CGT, Solidaires, FO, FSU e CFDT, contribuendo a mantenere, al di là delle giornate nazionali, un clima di mobilitazione prolungata.
La paralisi politica del governo lo ha portato negli ultimi dieci giorni a giocare chiaramente la carta della repressione poliziesca, della violenza, fino a denunciare l'”estrema sinistra violenta”. In questo movimento, Macron appare, con Gérald Darmanin (ministro dell’Interno), come il “difensore dell’ordine” impegnato a confortare un elettorato vacillante, sperando anche di seminare divisione nell’intersindacale e di ridurre l’incrollabile sostegno alla mobilitazione e persino ai blocchi all’interno della popolazione. Sugli ultimi due punti il fallimento è totale, ma Darmanin non fa sconti alle forze di polizia, coprendo tutte le violenze, l’uso di armi e munizioni da guerra. Questa scelta di un crescendo, che si è manifestata a Sainte-Soline il 23 marzo e nelle cariche contro i cortei sindacali, rafforza la determinazione all’interno del movimento. Al rifiuto dell’ingiustizia sociale di portare a 64 anni l’età di pensionamento, al rifiuto della violenza istituzionale del 49.3, si aggiunge ora il rifiuto della violenza della polizia.
Questo rifiuto ha portato alla protesta di molte associazioni, prima fra tutte la Lega per i Diritti dell’Uomo (LDH). La LDH è stata al centro della denuncia del comportamento della polizia a Sainte-Soline, fornendo prove audio del blocco dei soccorsi da parte della polizia. La LDH ha anche avviato una campagna per la messa al bando delle BRAV-M [Brigades de répression des actions violentes motorisées], armi da guerra. Questa azione democratica ha appena portato Gérald Darmanin a compiere un passo che nessun ministro dell’Interno aveva mai osato fare, minacciando direttamente la LDH e dicendo che avrebbe “esaminato” le sovvenzioni che essa riceve. Sotto Macron e Darmanin, un cambiamento si sussegue all’altro, mettendo in discussione diritti democratici e sociali che esistono da decenni, sulla dichiarazione e il divieto di manifestazioni e persino sul diritto di sciopero.
Di fronte ai potenti scioperi nelle raffinerie e nella raccolta dei rifiuti, il governo ha moltiplicato le prescrizioni degli scioperanti per spezzare il movimento. La legge francese consente la prescrizione in caso di “evidente disturbo dell’ordine pubblico“. Il prefetto di Seine-Maritime [un dipartimento della Normandia] ha prescritto il personale delle raffinerie TotalEnergies a causa del “prevedibile aumento del traffico durante il fine settimana di Pasqua“. Il tribunale amministrativo aveva già denunciato i divieti di manifestazione dell’ultimo minuto. Ora ha stabilito che queste requisizioni “violano gravemente e manifestamente il diritto di sciopero“. È chiaro che il governo sta testando fino a che punto può spingere l’interpretazione delle leggi e vuole preparare il terreno per due nuove leggi introdotte dai repubblicani al Senato che limitano il diritto di sciopero nelle raffinerie e nei trasporti pubblici.
Nel registro dei diritti democratici, i repubblicani, il Rassemblement National (RN) e i deputati di Macron hanno appena adottato, con una prima lettura accelerata al Senato e all’Assemblea nazionale, una legge “olimpica” che, con il pretesto della sicurezza, istituisce in modo permanente dispositivi di controllo, filtraggio e sorveglianza di massa nei luoghi pubblici e nei trasporti attraverso la videosorveglianza, con strumenti algoritmici di analisi dei comportamenti, che possono essere memorizzati. La Francia sarebbe così all’avanguardia di nuove tecniche che potrebbero facilmente diventare nuovi strumenti contro i diritti di riunione, le manifestazioni e la criminalizzazione delle azioni negli edifici pubblici.
Negli ultimi giorni, le conseguenze della mobilitazione per le pensioni si sono quindi spostate su questioni relative ai diritti democratici, ma il movimento è anche esso stesso polarizzato dalle decisioni che prenderà il Consiglio costituzionale venerdì 14 aprile. Questa istituzione, i cui membri sono nominati dai Presidenti della Repubblica e dai Presidenti dell’Assemblea Nazionale e del Senato, funge da censore delle leggi, giudicandone la conformità totale o parziale alle norme costituzionali. Il 14 aprile, quindi, il Consiglio renderà nota la sua decisione in merito alla legge sul finanziamento della sicurezza sociale, che contiene gli attacchi alle pensioni e l’aumento dell’età pensionabile a 64 anni. Deciderà inoltre se accogliere o meno il lancio di un referendum di iniziativa popolare (RIP) sul progetto di innalzamento dell’età pensionabile a un massimo di 62 anni, proposto dagli eletti del NUPES (Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale). Se il Consiglio ratifica la legge, dandole una parvenza di legittimità, essa potrà essere promulgata da Macron.
Macron, tuttavia, non sarebbe fuori pericolo. La prima questione sarà ovviamente quella del movimento sociale e della sua capacità di superare questo nuovo ostacolo e di farlo mantenendo la sua unità. Ma per Macron si porrà in ogni caso la questione del proseguimento del suo mandato quinquennale.
Per quanto riguarda il “dialogo sociale” con i sindacati, dopo aver disprezzato le leadership sindacali, il primo ministro (Elisabeth Borne) non ha la legittimità di chiedere loro di accettare la riforma dei 64 anni e di impegnarsi in una nuova fase sulle questioni sociali. Nemmeno la CFDT è pronta a farlo, dato l’equilibrio sociale di potere che il movimento ha costruito. Elisabeth Borne non ha i mezzi per trovare un’alleanza di maggioranza stabile all’Assemblea Nazionale, come le ha chiesto Macron. I Repubblicani (LR), indeboliti dalla loro posizione sulle pensioni, non hanno interesse a correre in soccorso al governo Borne. Quest’ultimo ha probabilmente i giorni contati e la stessa Borne non crede nel suo futuro in questa posizione, ma i parametri difficilmente cambieranno se ci sarà un cambio di primo ministro.
L’intersindacale ha indetto una nuova giornata per giovedì 13 aprile, ma senza proporre altre prospettive per il movimento se non quella di attendere le decisioni del Consiglio costituzionale. Per ristabilire la forza dell’equilibrio dei poteri, sarebbe necessario fissare scadenze precise, come una manifestazione nazionale o la preparazione di una nuova ondata di scioperi a oltranza.
Un altro problema è sempre più evidente. Se, in estrema sintesi, il movimento è un movimento di classe, che riunisce nell’azione o nel sostegno la stragrande maggioranza dei lavoratori con, sullo sfondo, il rifiuto di continuare a pagare per il mantenimento di un sistema che colpisce le classi lavoratrici, nel movimento non emerge l’espressione di richieste che vadano oltre la questione dei 64 anni. L’ampia dinamica creata dall’unità di tutti i sindacati ha come limite immediato l’impossibilità di andare oltre la questione dei 64 anni, avendo la CFDT, anche sulla questione delle pensioni, già accettato la riforma Touraine del gennaio 2014 che porta a 43 gli anni di contribuzione [con Marisol Touraine come ministro degli Affari sociali, sotto la presidenza di François Hollande].
Da quel momento in poi, l’intersindacale non avanza alcuna richiesta sul finanziamento delle pensioni, come la fine delle esenzioni (dai contributi previdenziali che costano circa 20 miliardi l’anno) e l’aumento dei contributi a carico dei datori di lavoro, né ovviamente un ritorno alla riforma Touraine e a quella di Eric Woerth del 2010 [sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy] che decideva il pensionamento a 62 anni.
Allo stesso modo, a livello confederale non esiste una base intersindacale comune sulle altre questioni sociali urgenti, molto presenti nelle manifestazioni, come i sussidi di disoccupazione o la lotta per i salari e contro l’aumento dei prezzi. Il riferimento all’intersindacale nazionale è servito come punto di appoggio nelle città, ma ha anche limitato l’estensione della piattaforma delle intersindacali locali. Questa potrebbe sembrare una questione secondaria che non ha impedito lo sviluppo di una mobilitazione di una profondità probabilmente senza precedenti. Ma tutti capiscono che il rapporto tra le forze di classe può essere mantenuto solo se, nella coscienza di coloro che partecipano al movimento o lo sostengono, si pone chiaramente la domanda su chi stiamo affrontando. La questione dei 64 anni non è il capriccio di un autocrate delirante, ma una scelta politica di classe che corrisponde agli interessi dei gruppi capitalistici che hanno realizzato identiche controriforme negli altri Paesi europei. Si tratta quindi di mettere in discussione la distribuzione della ricchezza e le scelte fatte nell’interesse dei capitalisti, scelte fatte in Europa dai partiti che sostengono il neoliberismo, compresa l’estrema destra dei partiti simili alla RN, come Fratelli d’Italia della Meloni, che applica la pensione completa a 67 anni nel quadro delle esigenze di bilancio imposte dall’Unione Europea.
Non si può combattere l’inganno della RN, difensore delle pensioni, senza sostenere il movimento su una piattaforma che metta in discussione le scelte capitalistiche del governo e avanzi richieste in linea con gli interessi delle classi lavoratrici. Assente dal movimento, silente su qualsiasi piattaforma politica per la difesa delle pensioni, a parte il natalismo e le misure anti-immigrati, il RN si sta posizionando per raccogliere i frutti di una mobilitazione sociale che, oggettivamente, chiama in causa i capitalisti.
Macron e Darmanin, invece, tessono costantemente linee tratteggiate verso i repubblicani e l’estrema destra, criminalizzando e demonizzando i NUPES. Inoltre, in un’elezione suppletiva in Ariège, il secondo turno [2 aprile] ha visto un fronte comune del partito di Macron, dei Repubblicani, del RN dietro un candidato socialista contrario alla NUPES per sconfiggere il candidato della France insoumise.
La situazione è ovviamente resa difficile anche dall’assenza della costruzione di un fronte sociale e politico comune al centro di questo movimento, dall’assenza persino, al di fuori dell’Assemblea Nazionale, di un’ampia iniziativa politica unitaria che consenta di condurre un dibattito e di avanzare proposte unitarie per costruire nelle città e a livello nazionale strutture unitarie sulle questioni sociali e democratiche del giorno, in fase con la mobilitazione sociale.
La forza del movimento e delle decine di migliaia di attivisti che lo strutturano avrà forse la forza di superare questi ostacoli nelle prossime settimane. (9 aprile 2023)