L’aggressione armata di Putin contro la popolazione ucraina, sta provocando una drammatica crisi ambientale, oltre che umanitaria, sociale ed economica. Già l’eredità dell’ex Unione Sovietica era un grave fardello da questo punto di vista, ma con l’invasione la situazione ha subito un’accelerazione davvero drammatica. Questo disastro continuerà a pesare per decenni, forse secoli, sulle spalle delle ucraine e degli ucraini, ma non solo. L’urgenza ambientale ci ricorda ogni giorno che non esistono frontiere, la Terra è una sola e ogni danno ambientale ci coinvolge tutte e tutti, in qualsiasi posto capiti. Quello che succede in Ucraina ci appartiene dunque, sia che si tratti del non rispetto dei diritti dell’uomo, di crimini contro l’umanità o di, appunto, un ecocidio. E questo per buona pace di tutte e tutti quelli che continuano a descrivere questa guerra come qualche cosa che ci è estraneo, qualche cosa di cui è meglio non occuparcene.
In questo anno di guerra abbiamo assistito ad attacchi indiscriminati contro centrali nucleari, centrali elettriche, fabbriche, città. I disastri ambientali, anche questo è noto, provocano forti impatti sulla salute pubblica. Se anche questa guerra terminasse oggi, ci sarebbero forti ripercussioni su tutta la popolazione ucraina, ma anche russa, moldava, bielorussa,… La perdita di interi ecosistemi, l’inquinamento di falde, sorgenti, fiumi, laghi, terreni agricoli, si tradurrà inevitabilmente anche in un problema di salute collettiva generalizzato. Sul conto degli aggressori ci sarà anche tutto questo.
Già nel Donbass, a partire dal 2013, le attività di destabilizzazione dei soldati russi, paramilitari e milizie separatiste, hanno provocato seri danni all’ambiente. Diverse organizzazioni che si occupano della relazione tra guerra e ambiente (Zoï environmental network, Ecoplatform, Ceobs, Pax, Environment-people-law, Truth hounds), hanno pubblicato dati sulle circa 4500 imprese minerarie metallurgiche e chimiche del Donbass. L’8% aveva già installazioni precarie e rappresentavano quindi un potenziale pericolo ambientale. La regione ospita 465 siti di stoccaggio per rifiuti industriali (dati OSCE). A prima vista sembrerebbero stagni più o meno grandi, ma si tratta di vere pattumiere per scarti e sostanze tossiche prodotte dall’industria mineraria, chimica ed energetica. Alcuni di questi siti sono in rovina, abbandonati o troppo vicini alla linea del fronte. Le miniere di carbone abbandonate si stanno riempiendo di altre sostanze tossiche e addirittura radioattive. Un inquinamento del fiume Siverskyi, dovuto per esempio il cedimento di una diga con coinvolgimento di siti di stoccaggio di residui tossici, potrebbe avere ripercussioni fino al mar d’Azov e mar Nero. Questa situazione, già analizzata e descritta in numerosi studi, è peggiorata dopo il 24 febbraio 2022, data dell’inizio dell’invasione armata su larga scala. All’inizio di marzo dello scorso anno, le azioni delle truppe russe nelle vicinanze di Cernobyl, sede del disastro del 1986, hanno provocato l’aumento delle radiazioni e carri armati russi hanno danneggiato il sito di un’altra centrale nucleare tra le più grandi d’Europa, Zaporizhhia. In quei giorni nessuno, nemmeno dalle nostre parti, avrebbe potuto sentirsi al di fuori o al di sopra di questo conflitto. Un danno, anche non enorme, a questi reattori e ci saremmo ritrovati nel clima di paura e insicurezza del 1986 con Cernobyl. Se il timore di un disastro nucleare non è per nulla scomparso, altre nubi sono all’orizzonte per quanto riguarda il 60% circa delle installazioni di stoccaggio dei residui in Ucraina. Si tratta di struttura obsolete, abbandonata in parte dai proprietari causa guerra, considerati potenzialmente pericolosi. Nelle vicinanze troviamo infatti riserve d’acqua potabile e centri abitati. Il prolungarsi di questa guerra non farà che aumentare questi pericoli e l’unica soluzione possibile resta quella di una cessazione immediata dei combattimenti e un ritiro incondizionato dei soldati russi da tutto il territorio ucraino.
A livello internazionale occorre assolutamente portare a termine la possibilità di definire legalmente un ecocidio e includerlo nella lista dei reati che la Corte penale internazionale può contemplare. Questo termine inteso come “Un’opera di consapevole distruzione dell’ambiente naturale” (Treccani), si configura molto bene con l’operato dell’esercito russo in Ucraina. Secondo dati del dipartimento dell’ambiente e delle risorse naturale dell’Ucraina, sono già documentati più di 2’300 crimini ambientali, con danni stimati a circa 49 miliardi di ceuro. A confermare queste documentazioni concorrono ONG come PAX (Olanda) e il Center for information resilience (Cir), che nonostante le difficoltà della guerra in corso continuano a raccogliere materiale a testimonianza del disastro. Una particolare attenzione va portata sulle terre agricole ucraine. Queste terre sono fortemente a rischio a causa della presenza dei metalli pesanti delle munizioni e della presenza di mine (circa il 15% dei terreni). La presenza di mine significa l’impossibilità di coltivare e lo sminamento segue altre priorità: prima le zone urbane e residenziali. Questo comporterà inevitabilmente l’assunzione di rischi per quanto concerne la sicurezza alimentare dell’Ucraina, paese che esportava prima della guerra anche sei milioni di tonnellate di grano al mese. A tutto questo si deve aggiungere la distruzione delle fattorie, distruzione del bestiame e dei macchinari. Secondo uno studio dell’European journal of soil science, “Il settore primario dell’Ucraina impiegherà circa 100 anni per riprendersi totalmente.” I danni ambientali devono però anche considerare i danni alle aree protette, come parchi nazionali (10) e le riserve naturali (8). Molti combattimenti si svolgono nelle zone boschive o coperte da foreste. Secondo la Cop15 di Montreal sulla biodiversità, i russi “stanno trasformando le risorse naturali ucraine in basi militari.”
Altro problema è il rilascio di amianto dagli edifici danneggiati/distrutti dai bombardamenti, l’inquinamento prodotto dai veicoli e dai rifiuti militari, il carburante riversato in mare e i danni conseguenti all’ecosistema marino.
Per tutti questi motivi, lo ribadisco, quanto sta accadendo in Ucraina ci concerne eccome. L’ecocidio in corso ha un responsabile che dovrà rispondere di tutto questo. Per poterlo fare, magari davanti ad un tribunale, dobbiamo rafforzare la solidarietà con la popolazione ucraina e chiedere con maggiore forza alle autorità svizzere di applicare con il massimo rigore le sanzioni. Applicarle con leggerezza, permettere zone d’ombra, evitare di metter mano al vergognoso commercio di materie prime gestito anche da personaggi molto vicini a Putin, non farà che prolungare il conflitto e il danno ambientale.