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È di pochi giorni fa l’annuncio che Alcar Ruote SA di Manno, produttrice di ruote per autoveicoli civili e industriali (fino a qualche anno fa di proprietà della famiglia Ambrosetti) ha avviato la procedura per l’applicazione di licenziamenti collettivi, così come prevede il Contratto collettivo di lavoro nazionale dell’industria metalmeccanica ed elettrica (CCL MEM).
In realtà l’operazione è un ricatto vero e proprio: ci si inventa una procedura di “licenziamenti collettivi” con il solo obiettivo di prorogare per la quarta volta un accordo salariale al ribasso in vigore, in deroga persino ai minimi previsti dal contratto collettivo di lavoro.
A scatenare questa dinamica è stata la decisione dei lavoratori di dire basta a questo regime derogatorio. E di fronte a questo rifiuto, la direzione ha scelto la tattica, motivandola con una diminuzione delle vendite, di avviare la procedura per i licenziamenti collettivi con l’evidente obiettivo di piegare gli operai e di obbligarli ad accettare un nuovo e infame accordo.
A confermare come dietro questi licenziamenti “collettivi” si celi l’obbiettivo di ridurre nuovamente i salari – quindi di una vera e propria opera di dumping – ci sono varie ragioni.
In primo luogo, il gruppo Alcar Ruote SA ha acquisito, lo scorso 21 aprile, la società Willy Erny AG che commercializzava tutti i principali prodotti della ditta con sede a Manno. L’attività di Alcar Ruote SA può certo essere diminuita, ma sicuramente non attraversa una crisi così profonda come vuole far credere la direzione, tant’è che la stessa sta investendo, come lo dimostra la recente acquisizione.
Ma la vera ragione va ricercata nella politica di dumping salariale inaugurata dalla direzione nel 2011 e portata avanti con continuità negli ultimi dodici anni. Secondo quanto riportato dal sito di Unia (1), dal 2011 e poi ancora nel 2015, l’Azienda ha di fatto imposto un accordo aziendale che prevedeva il dimezzamento delle indennità per turni (una perdita di circa 150 franchi al mese), la rinuncia a due giorni festivi infrasettimanali pagati (-0.8% di salario), la rinuncia a 30 minuti di pausa pagata (pari a una decurtazione salariale tra il 6 e il 6,5%). Una riduzione dei salari motivata dal rafforzamento del franco sull’euro. Alla scadenza di questo primo accordo, l’azienda riusciva ad imporre nel 2015 un nuovo accordo, il quale prevede, in aggiunta alle misure già citate, anche l’introduzione di un modello di ulteriore correzione verso il basso dei salari in funzione dell’evoluzione del cambio: più l’euro perdeva forza rispetto al franco, maggiore diventava la decurtazione del salario, arrivando ad una decurtazione massima del 10,5%! Di fatto, questo taglio è diventato permanente, ciò che ha significato una nuova perdita salariale mensile tra i 300 e i 400 franchi. Nel 2018, usando la minaccia di non rinnovare il contratto d’affitto del sito produttivo e, perciò, di delocalizzare la produzione, Alcar Ruote SA strappa il rinnovo di questo accordo aziendale fino all’odierna scadenza.
Tutto questo avveniva mentre era ancora azionista e membro del consiglio di amministrazione dell’azienda quel Franco Ambrosetti, presidente per molti anni della Camera di Commercio, e sostenitore addirittura dell’iniziativa dei Verdi sul salario minimo.
E mentre faceva il “progressista” pubblicamente, in privato approvava una politica salariale che era ed è tale e quale a quella praticata da Tisin, il maldestro tentativo leghista di costruire un sindacato che potesse, d’accordo con alcune frange padronali, derogare ai pur miserabili salari minimi previsti nella legge cantonale.
Deroghe che, come noto, continuato in molti settori, in barba ai minimi fissati dai contratti collettivi di lavoro. Pensiamo, per non restare al Ticino, quello del settore dell’abbigliamento o quello del settore orologiero nei quali l’adeguamento al misero salario minimo legale è stato rimandato di tre o quattro anni. Una posizione che ha anche incoraggiato la destra padronale che si è fatta promotrice di una mozione, approvata a livello nazionale, per cui i salari contrattuali dovrebbero avere, legalmente, la preminenza sugli accordi cantonali relativi al salario minimo. Bella prospettiva.
Una vicenda, quella di Alcar Ruote, che mostra due cose molto chiare.
Da un lato, la continuazione di un certo tipo di politica sindacale caratterizzata da accordi con il padronato che non rispettano nemmeno i pur miseri salari minimi legali. Una politica, come mostra questo caso, che, alla fine, si adegua alle esigenze padronali (pensiamo al sindacato OCST che ha a più riprese sostenuto questi accordi, così come ne sostiene altri in diverse aziende) per poi essere “ricompensata” con annunci come quello degli ultimi giorni. E nemmeno la direzione di Unia (che a onor del vero ha rifiutato in passato di sostenere tali accordi) ha mostrato molta determinazione nel denunciarli pubblicamente, sviluppando una campagna aperta pubblica e tra i lavoratori.
Dall’altro ,simili vicende rilanciano la necessità e l’urgenza di un controllo sistematico del mercato del lavoro per l’applicazione delle condizioni di lavoro e salariali, contrattuali e legali. Ed è quello che chiede la nostra iniziativa popolare che, da ormai più di tre anni, è confinata nei cassetti del Parlamento che non vuole sottoporla a votazione popolare. Senza strumenti come quelli proposti dalla nostra iniziativa, difficilmente si faranno passi avanti nella lotta contro la politica padronale di dumping salariale come quella che da anni vivono i lavoratori di Alcar Ruote.

  1. http://www.denunciamoli.ch/ contenuti/bozza-automatica-23/