Il capitalismo svizzero e Putin, tra opportunismo e affari

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A più riprese ci siamo occupati della vicinanza tra il capitalismo svizzero e Putin. A più riprese abbiamo denunciato il ruolo del capitalismo svizzero nella capacità militare di aggredire l’Ucraina da parte dell’esercito russo. Questa vicinanza/complicità è ben rappresentata dalla numerosa presenza sul territorio elvetico di aziende russe, in particolare legate al commercio di materie prime, oltre che di numerosi oligarchi e, non da ultimo, di circa 150/200 miliardi di franchi depositati nelle banche e di proprietà di cittadini russi. Troppo difficile in queste condizioni  avanzare il tema della neutralità sperando di essere credibili e coerenti.

Questi rapporti di buon vicinato non si manifestano però solo sul territorio svizzero, ma anche su quello russo. Nelle ultime settimane, sulla stampa svizzera, sono apparsi contributi interessanti al riguardo. Molti si ricorderanno l’inaugurazione della nuova ambasciata svizzera a Mosca nel giugno del 2019. A quel momento non c’era ancora la guerra in Ucraina, ma Putin era già conosciuto universalmente per alcune avventure militari al’estero che ne facevano un personaggio davvero poco raccomandabile: Cecenia, Georgia, Crimea, Donbass, Siria. Cassis e Lavrov parteciparono a questo evento, costato la bellezza di 700’000 franchi, naturalmente  offerto in gran parte da sponsor privati. Troviamo nella lista nomi eccellenti e conosciuti: Glencore, UBS, Philip Morris, Nestlé, Schindler, Nord stream 2, Gazprom, Sika, Eurochem, Holcim e tanti altri ancora. È un momento favorevole per gli investimenti svizzeri in Russia e la presenza di Putin al comando non sembra per nulla disturbare tutta questa bella gente.

È soprattutto nell’ambito delle materie prime che si gioca la partita più importante, ma pure altri  investimenti in Russia non sono da sottovalutare. Una stima indica in circa 28 miliardi di franchi l’ammontare di questi investimenti, che corrisponde più o meno al 2% del totale detenuto da imprese svizzere all’estero. Dati SECO danno circa 200 imprese presenti  con 40’000 persone  impiegate. I settori sono quelli dell’alimentazione, farmaceutica, logistica, edilizia e naturalmente materie prime. La metà circa di questa somma è rappresentata da investimenti nel settore delle macchine e della farmaceutica.

Le aziende svizzere presenti in Russia, da copione, hanno condannato la guerra e fatto i propri calcoli riguardo il danno d’immagine in caso di permanenza e continuazione delle attività. In generale l’atteggiamento rilevato è quello di uno stallo, in cui vanno a confluire sanzioni, obblighi contrattuali, immagine, prospettive.

L’università di Yale, ha stilato una lista di aziende occidentali che sono rimaste in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina. Tra queste ce ne sono alcune svizzere. La Ems-Chemie, presieduta dalla consigliera nazionale Marzullo-Blocher, la Swiss Krono, la Sika. Nestlé è stata attaccata pubblicamente dal governo ucraino per le sue attività in Russia e ha dovuto sospendere alcune produzioni, tra cui Nesquik e Kitkat. Per la cronaca, Nestlé in Russia significa 7’000 persone impiegate, 6 fabbriche, 1,7 miliardi di franchi di cifra d’affari. Nella dichiarazione di Nestlé a seguito di questa decisione si parla di continuazione nella fornitura di alimenti essenziali e non della realizzazione di ulteriori profitti. Altra azienda che ha subito forti critiche è la Barry Callebaut, gruppo dolciario di Zurigo, ben presente in Russia con 3 stabilimenti. I responsabili hanno affermato candidamente che continuano l’attività in quanto il cioccolato, facendo parte della dieta quotidiana di tante persone, va considerato un alimento essenziale. Per contro il gruppo Holcim ha deciso di lasciare la Russia, ma anche l’India, per cui non è chiaro se la decisione abbia effettivamente a che fare con una scelta etica o piuttosto legata a strategie di riposizionamento a livello globale.

In generale sembra che siano piuttosto le considerazioni economiche e le strategie di mercato a guidare le decisioni se lasciare o meno la Russia, e non il problema della guerra scatenata contro l’Ucraina.  D’altronde sarebbe troppo sperare che dei capitalisti navigati diventino di colpo buoni samaritani pronti a rinunciare a parte delle loro ricchezze o profitti per una buona causa. Quando mai!

Per quanto riguarda le banche, il problema maggiore sembra essere quello del ruolo degli Stati Uniti e la paura di incorrere in sanzioni/ritorsioni a causa di  attività in Russia. Anche qui è l’opportunità a dettare le scelte e non la guerra contro l’Ucraina.

Putin, negli anni, non ha certo mancato di accreditarsi come leader affidabile e anche capace di riconoscenza. Valga il premio “L’Ordine dell’amicizia”, importante onorificenza russa, consegnata da Putin a Ivan Glasenber nel 2017. Glasenber era a quel momento CEO di Glencore, multinazionale svizzera nel settore delle materie prime, numero uno al mondo.

Cassis dunque, in occasione dell’inaugurazione della nuova ambasciata svizzera in Russia, non ha fatto che offrire l’occasione a tutto questo bel mondo per ritrovarsi ufficialmente e pubblicamente, stringere mani e fare affari. Poco importava a quel momento, ma anche oggi, se dietro tutto questo si stagliava la figura di un criminale, già responsabile di guerre e di una politica del tutto antidemocratica verso gli oppositori interni. Business is business.

Ultimamente, alcune associazioni tra cui ATTAC Suisse, Campax, Public Eye, il comitato Ucraina di Vaud, Greenpeace,  il Gruppo per una Svizzera senza esercito, hanno pubblicato un appello/denuncia sui profitti di guerra che andrebbero tassati. Proprio in considerazione degli enormi benefici che il commercio delle materie prime ha generato per Glencore, Trafigura e soci, si chiedeva alle/ai deputate/i del Consiglio Nazionale e Consiglio agli Stati, di introdurre una tassa di questo tipo e di utilizzare questi fondi per la ricostruzione civile ed ecologica dell’Ucraina, come suggerito da un’iniziativa parlamentare dei Verdi. Questa tassa dovrebbe costituire  un primo passo verso l’introduzione di una imposta vera e propria sui benefici eccezionali in caso di guerra. Tra le motivazioni che vanno  a dare supporto a questa richiesta troviamo dati precisi e dettagliati sul ruolo del capitalismo svizzero e della politica ufficiale svizzera nei confronti del regime di Putin. Lo scorso 24 maggio, la Commissione dell’economia del Consiglio nazionale, ha rigettato a maggioranza questa domanda, manifestando così la totale incapacità di dare seguito alle molte parole spese a favore del popolo ucraino, dei proclami sulla capacità della Svizzera di porsi come Stato credibile e in grado di operare per la pace in base al proprio statuto internazionale di neutralità. La Svizzera non era e non è neutrale di fronte alla guerra in Ucraina scatenata da Putin; la Svizzera economica e i gruppi politici di destra non hanno nessuna intenzione di applicare correttamente le sanzioni decise dal Consiglio Federale. Questi settori hanno interessi finanziari/politici/ideologici  che nulla hanno a che vedere con il diritto del popolo ucraino di difendersi e di ricostruire, quando sarà il momento, un’Ucraina democratica, pluralista, femminista, ecologista. Men che meno hanno l’intenzione di voltare definitivamente le spalle a Putin!

Per questo dobbiamo intensificare la solidarietà con il popolo ucraino, per questo dobbiamo continuare a denunciare il ruolo del capitalismo svizzero e batterci contro ogni forma di riarmo. La classe politica e imprenditoriale che in questi anni ha fatto finta di nulla continuando a fare affari con Putin, grida ora al pericolo di fronte a questa guerra, invocando un riarmo come conseguenza. Nella stessa logica, quella del denaro e dei profitti, aspetta con impazienza la ricostruzione e cerca di posizionarsi nel migliore dei modi. I veri desideri e bisogni della popolazione ucraina non trovano spazio in questo scenario. Il movimento della solidarietà deve dunque muoversi con determinazione su questi fronti se vuole davvero provare a fare la differenza: denuncia dell’aggressione da parte della Russia di Putin, denuncia del ruolo del capitalismo svizzero, denuncia di qualsiasi forma di riarmo, denuncia di ogni tipo di ricostruzione che non tenga conto delle vere necessità e bisogni della popolazione ucraina.

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