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È stata un successo la giornata di sciopero indetta dalla Rete in difesa delle pensioni (ErreDiPi) lo scorso 10 maggio. Si è scioperato in scuole, uffici e servizi nei quali lavorano diverse migliaia di lavoratori e lavoratrici pubblici. Alcune centinaia di persone hanno partecipato ad alcuni presidi che si sono tenuti durante la giornata (a Bellinzona, Lugano, Locarno e Mendrisio); molti altri hanno partecipato a discussioni e attività che si sono svolte in altre sedi. Un successo, come abbiamo detto, che deve essere considerato come il punto di partenza di una mobilitazione e un movimento che dovrà continuare e crescere se vuole raggiungere l’obiettivo di difendere le future pensioni. Un aspetto che deve rimanere centrale e sempre ben presente.

Scuola media e media superiore, epicentro della mobilitazione

La giornata ha coinvolto molti uffici e servizi; qui, molti hanno sciopero individualmente o in piccoli gruppi, spesso partecipando ai presidi ricordati qui sopra.

Ma è evidente che l’epicentro della mobilitazione è stata la scuola, in particolare le scuole Medie (Sme) e le scuole medie superiore (SMS). Qui abbiamo assistito ad un vero e proprio crescendo. Quasi sempre la dinamica della decisione di aderire allo sciopero è passata attraverso il voto di risoluzioni da parte dei collegi dei docenti; laddove questo non appariva possibile, si è proceduto attraverso la sottoscrizione di appelli allo sciopero firmati individualmente da una maggioranza di insegnanti.

Quello che ha colpito è l’effetto “boule de neige” : dopo alcune prese di posizione per lo sciopero in sedi “storiche”, già protagoniste di mobilitazioni e prese di posizione su altri temi, nelle due settimane precedenti il 10 maggio molte sedi hanno aderito alla mobilitazione, anche quelle che non si erano mai distinte per un loro particolare interesse o coinvolgimento a quanto successo nell’ultimo anno sul tema della pensioni.

Il lavoro decisivo di ErreDiPi

A spiegare questa importante dinamica di crescita del movimento e di adesione allo sciopero è il lavoro svolto da ErreDiPi. Essa è stata capace di “fare rete” (come indica il suo stesso nome), elaborando materiale messo a disposizione delle sedi scolastiche, degli uffici e dei servizi; ma ha anche fornito sostegno, attraverso la partecipazione dei propri militanti ad assemblee nelle scuole, negli uffici e nei servizi, facendo circolare l’informazione, incoraggiando a prendere iniziative: in breve, riuscendo a creare la consapevolezza tra migliaia di persone di non essere isolate e di far parte di un ampio movimento.

A favorire la riuscita della mobilitazione hanno contribuito due altri aspetti fondamentali: la coerenza della posizione che ErreDiPi ha mantenuto fin dall’inizio (no alla diminuzione delle rendite e no alla diminuzione del tasso di conversione senza adeguate misure di compensazione) e la messa in atto di una strategia capace di trovare modi e ritmi di mobilitazione corrispondenti alla evoluzione della coscienza dei lavoratori e della lavoratrici coinvolti.

Intanto le trattative…

Come noto, il governo ha rifiutato che ErreDiPi partecipasse alle trattative in atto su eventuali misure di compensazione, preferendo negoziare con le tradizionali organizzazioni sindacali, molto più “affidabili” ai suoi occhi.

E queste hanno ricambiato la “fiducia” conducendo negoziati  nel più stretto riserbo, senza coinvolgere nella discussione (sulle proposte che man mano sono emerse nelle trattative) e verificando, di volta in volta, il mandato da parte dei lavoratori a nome dei quali stanno negoziando.

Nulla di nuovo: l’obiettivo, verosimilmente, è di arrivare a presentare un accordo del tipo “prendere o lasciare”, naturalmente invitando a prendere anche se si dovesse trattare di un accordo insoddisfacente, motivandolo con la necessità, ormai ripetuta a più riprese, di arrivare ad un accordo entro la fine dell’anno. Con il duplice spauracchio di un intervento d’imperio dell’autorità di vigilanza e della necessità, attorno a questo accordo, di avere un fronte ampio  (dal PS al PLR passando per il PPD) che possa affrontare il probabile referendum Lega-UDC su eventuali misure di compensazione approvate dal Gran Consiglio.

Un punto di partenza

La giornata del 10 maggio deve essere considerata un punto di partenza per approfondire il movimento. La situazione politica generale, l’evoluzione delle trattative (malgrado l’assoluta mancanza di trasparenza verso i lavoratori, filtrano segnali tutt’altro che incoraggianti), l’orientamento che prevale in seno alle forze politiche, tutto ci dice che per ottenere soddisfazione alle proprie rivendicazioni, impiegati e docenti assicurati alla LPP dovranno continuare ed  approfondire al mobilitazione.

Una via questa che non alternativa, anche perché la campagna attorno al tema delle pensioni sarà ancora lunga viste le intenzioni di alcune forze politiche di lanciare un referendum di fronte a qualsiasi accordo che implichi qualsivoglia misure, anche minima, di compensazione.

Pubblico e privato

La prossima primavera dovremo pronunciarci in ogni caso sulla riforma della LPP varata dal Parlamento federale (cfr pag. 3 di questo numero di Solidarietà). Una riforma che, modificando il tasso di conversione – diminuzione del 12% delle rendite – e prevedendo misure di compensazione inadeguate, presenta la stessa configurazione dell’IPCT.

Un’occasione importante per mostrare come pubblico e privato siano legati dalla stessa logica padronale di attacco alle pensioni, utilizzando gli stessi meccanismi (diminuzione del tasso di conversione) e avendo come obiettivo una diminuzione delle rendite: unico strumento da punto di vista padronale per perpetuare un sistema (il 2° pilastro) che sta dimostrando sempre più la sua incapacità a rispondere ai bisogni dei salariati, cioè garantire pensioni (e condizioni di vita) dignitose.             

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