IPCT, sciopero e scuola: interpellanze MPS

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Pubblichiamo qui di seguito due interpellanze presentate negli scorsi giorni dai nostri deputati. Esse collegate più o meno direttamente con la vertenza IPCT. La prima pone alcune domande sulle trattative in corso e sul valore delle eventuali misure di compensazione; la seconda è più incentrata sullo sciopero e sulle reazioni sollevate. (Red)

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IPCT e compensazioni

C’è voluta la bella giornata di mobilitazione e di sciopero del 10 maggio promossa da ErreDiPi per stimolare le organizzazioni sindacali a fare un minimo di informazione (per mezzo stampa) sugli orientamenti delle proposte che pare emergano nell’ambito delle trattative sulle cosiddette misure di compensazione. Sembrerebbe addirittura che un accordo sia a portata di mano.

Ora, un’informazione e un orientamento di quanto si va discutendo al tavolo delle trattative non sono ancora state fatte da parte di coloro che dovrebbero rappresentare gli assicurati.

Pur ammettendo che le organizzazioni sindacali, presenti in quanto tali alle trattative, discutano e calibrino e proprie proposte sulla base di un confronto con i loro associati in seno agli organismi sindacali, la stessa cosa non si può affermare per i rappresentanti degli assicurati presenti nel Consiglio di amministrazione (CdA) di IPCT e che, in quanto tali, ci pare di capire partecipano alle trattative. Costoro, pur essendo stati proposti ed eletti su liste di emanazione sindacale, hanno comunque raccolto consensi di assicurati che non necessariamente sono membri di un’organizzazione sindacale. Questi rappresentanti hanno un obbligo (legale e morale) di consultarsi (almeno sugli indirizzi e le proposte di fondo) con coloro che affermano di rappresentare: cioè gli assicurati e le assicurate di IPCT.

Detto questo, che ci dice quanto lacunoso sia allo stato attuale il coinvolgimento degli assicurati, vediamo di passare brevemente in rassegna alcune di queste dichiarazioni:

Nelle intenzioni dei sindacati, come confermato dal segretario cantonale della VPOD, il Cantone dovrebbe metterci dei soldi in più – rispetto ai 12 milioni già messi sul tavolo- per compensare la riduzione del tasso di conversione. La differenza potrebbe essere di quattro milioni. Il problema è di non arrivare ad un meno 40 percento sull’arco di una ventina d’anni ma di fermarci a metà. E’ chiaro che ci saranno alcuni costi sia per il datore di lavoro che per il dipendente; l’obiettivo sembra fattibile”. (Rsi)

Il segretario dei Sit si dichiara fiducioso. “Si sta convergendo verso una soluzione, sulla quale vi è apertura da parte della delegazione governativa che partecipata alle trattative. Si lavora a una compensazione sui contributi che consentirebbe al dipendente giunto a fine carriera di perdere al massimo il 3 per cento di rendita…. E’ comunque difficile escludere del tutto gli assicurati dal finanziamento di misure di compensazione”. (La Regione)

Ci siamo incontrati più volte e la trattativa è ancora in corso. Le bocce, sul fronte delle misure di compensazione, non sono ancora ferme”, conferma al CdT il direttore dell’Istituto di previdenza del Canton Ticino (IPCT) Daniele Rotanzi. «Noi – precisa – sediamo al tavolo solo come tecnici, mentre spetterà al Consiglio di Stato e ai sindacati trovare un’intesa». I negoziati, dice Rotanzi, «avanzano, ma non sono ancora conclusi». Le ipotesi sul tavolo, però, non sono poi molte. «Come cassa pensione siamo obbligati ad abbassare i tassi di conversione e lo scenario principale prevede di passare dal 6,17% al 5%», ribadisce il direttore. L’abbassamento, ricordiamo, non sarà immediato, ma verrà spalmato su più anni: «L’ipotesi di lavoro principale è di procedere in maniera graduale, abbassandolo di circa lo 0,15% ogni anno per 8 anni. Il primo scalino lo abbiamo già deciso e dal 1. gennaio del 2024 il tasso passerà al 6,05%».  Il punto, spiega Rotanzi, «è che se si vuole compensare interamente la riduzione prevista per chi ha una carriera piena davanti, i dipendenti più giovani, bisogna aumentare i contributi di risparmio – ossia quelli che vanno ad alimentare il capitale individuale di vecchiaia – del 4%. Da qui, occorre poi capire come suddividere questo 4% tra dipendenti e datore di lavoro». Insomma, il vero nocciolo della questione sta qui: di quanto aumentare i contributi di risparmio e come suddividere questo aumento tra datore di lavoro e dipendente. «L’attuale suddivisione dei contributi globali ricorda Rotanzi – è per il 60% a carico del datore di lavoro e per il 40% a carico del dipendente. Non bisogna però dimenticare gli assicurati che non hanno più una carriera piena davanti a sé – ossia i meno giovani – e per i quali l’eventuale aumento dei contributi di risparmio del 4% non permetterebbe comunque una compensazione piena, siccome ne beneficerebbero per meno tempo. Anche per queste persone si stanno studiando delle possibili misure di compensazione». (Corriere del Ticino)

Alla luce di queste considerazioni ed affermazioni chiediamo al Consiglio di Stato:

1.Conferma che per compensare la riduzione del tasso di conversione dal 6.17% al 5% è necessario un aumento complessivo dei contributi del 4%?

2. Considerato che tale aumento dei contributi non sarebbe comunque sufficiente per compensare pienamente le diminuzioni di rendite per coloro che non sono all’inizio della loro carriera, a quanto ammonterebbe la perdita – pur ipotizzando questo aumento dei contributi del 4% – se, prima dell’età di pensionamento un dipendente ha ancora
a. 10 anni di contribuzione
b. 15 anni di contribuzione
c. 20 anni di contribuzione
d. 25 anni di contribuzione

3. L’aumento del 4% dei contributi a quanti milioni corrispondono per il personale alle dipendenze dell’amministrazione cantonale?

4. Nel bilancio 2021 dell’IPCT è stato inserito a passivo un accantonamento di 306 milioni per misure di compensazione a seguito della riduzione del tasso di conversione. Come è stato creato quest’accantonamento? Detto in parole povere questi 306 milioni da dove provengono e chi li ha finanziati?

5. Lo scorso 5 aprile 2023 l’assemblea dell’associazione ErreDiPi ha approvato una risoluzione nella quale chiede al Consiglio di Stato e all’IPCT di sottoporre al voto di tutti gli assicurati IPCT le misure di compensazione che saranno contenute nel messaggio dell’esecutivo al Gran Consiglio. ErreDiPi chiede che tale votazione avvenga con la stessa procedura e nella stessa forma delle elezioni dei rappresentanti degli assicurati nel CdA e che essa, al pari di tutte le parti coinvolte, possa esprimere all’indirizzo degli assicurati il proprio punto di vista sul contenuto del messaggio. Intende dar seguito a questa richiesta? In caso negativo quali sono le motivazioni per tale rifiuto?

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Informazione alle famiglie e riconoscimento dei diritti
in occasione dello sciopero del 10 maggio

Il 10 maggio molte sedi scolatiche hanno partecipato allo sciopero indetto dalla Rete in Difesa delle Pensioni (ErreDiPi): la stragrande maggioranza delle sedi di Scuola Media (Sme), tutte le sedi di Scuola Media Superiore (SMS) a diverse sedi di Scuola Elementare (SE).

Il diritto di sciopero è stato di fatto riconosciuto dal DECS e dal Consiglio di Stato non solo attraverso le circolari già pubblicate in passato, ma anche in questa occasione: nelle indicazioni inviate alle direzioni e ai docenti, in nessun caso tale diritto è stato espressamente negato, ma ci si è concentrati sulle istruzioni pratiche affinché i dipendenti del Cantone che vi avrebbero partecipato annunciassero e segnalassero la propria astensione ai dirigenti delle scuole, dei servizi e degli uffici presso i quali prestano servizio.

Nei giorni immediatamente precedenti lo sciopero abbiamo tuttavia assistito a due episodi, entrambi coinvolgenti l’amministrazione cantonale, che hanno sollevato perplessità, quasi volessero mettere in discussione il principio – apparentemente acquisito – del diritto di sciopero.

Il primo riguarda proprio le indicazioni relative alla segnalazione dell’astensione dal lavoro. Se per i docenti (che non timbrano la propria presenza a scuola) la circolare del Consiglio di Stato indicava la necessità di segnalare questa astensione attraverso un formulario messo a disposizione dalle direzioni, per tutti gli impiegati, per i quali vige il rilevamento elettronico delle presenze e dell’orario di lavoro, si invitava a segnalare l’astensione del lavoro attraverso i codici che indicano assenza relativi a “scalo ore”, “affari privati” o “vacanza”; non veniva invece menzionato il codice 61 – pure contenuto negli apparecchi elettronici di rilevamento delle presenze ed espressamente indicato come “sciopero”.

A molti questo modo di procedere è parso come un goffo tentativo di “far sparire” l’espressione concreta di un diritto pertanto formalmente riconosciuto; un espediente messo in atto nel tentativo di scoraggiare chi volesse scioperare, partendo dall’idea che non sia possibile astenersi dal lavoro per una ragione che non è contemplata dall’amministrazione cantonale. Inutile aggiungere che questo fatto permetterà eventualmente di fornire cifre sull’adesione allo sciopero assolutamente prive di qualsiasi serio fondamento.

Un secondo episodio riguarda le lettere inviate da diverse direzioni delle Sme, in collaborazione con i collegi dei docenti, ai genitori degli allievi; lettere con le quali si segnalava lo sciopero del 10 maggio e si mettevano in evidenza le conseguenti difficoltà al normale svolgimento delle lezioni, invitando le famiglie che fossero in grado di farlo a tenere a casa gli allievi la mattina di mercoledì 10 maggio. In tutte queste comunicazioni si sottolineava che per tutti gli allievi che le famiglie avessero comunque inviato a scuola, l’accudimento sarebbe stato garantito.

A titolo esemplificativo riportiamo qui di seguito alcuni brani di quella che, forse, è stata la prima (24 aprile) di queste lettere inviate alle famiglie degli allievi: quella della SMe di Losone, addirittura con la collaborazione dell’associazione genitori:
Questa mobilitazione prevede l’astensione dal lavoro: durante la mattinata del 10 maggio i docenti della SMe di Losone si asterranno pertanto dall’insegnamento, non terranno lezioni e sospenderanno qualsiasi attività didattica. Lo sciopero è un diritto costituzionale dei lavoratori, tuttavia nel settore pubblico devono essere garantiti i servizi minimi all’utenza in situazione delicata.
In ossequio alla risoluzione governativa sopra citata, la nostra scuola garantirà pertanto un servizio minimo di presa a carico degli allievi le cui famiglie dovessero trovarsi in difficoltà a gestire i figli durante la mattina del 10 maggio. Allo scopo di organizzare un adeguato servizio di accoglienza e di cura, vi preghiamo di voler ritornare il formulario debitamente compilato entro venerdì 5 maggio 2023 in segreteria…
Tuttavia, per evidenti motivi logistici e di adeguata gestione degli allievi in un momento privo di insegnamento, invitiamo caldamente tutte le famiglie che possono garantire la cura dei loro figli nella mattina del 10 maggio a non mandare gli allievi a scuola.”

Facciamo notare come questa lettera – inviata congiuntamene dalla presidenza del collegio dei docenti, dalla direzione della sede e sostenuta dalla direzione del comitato genitori delle sede di Losone, fa emergere i seguenti punti:
– la necessità di garantire, in caso di sciopero, un servizio minimo all’utenza;
– l’invito alle famiglie che possono garantire la cura dei figli a non mandarli a scuola il 10 maggio;
– la comunicazione chiara che  sarebbe stato organizzato un adeguato servizio di sorveglianza e di cura per i ragazzi che fossero stati comunque inviati a scuola

Questa comunicazione, così come quelle – dello stesso tenore – inviate alle famiglie da numerose altre sedi, ci pare esemplare dal punto di vista della correttezza nei confronti delle famiglie e un esercizio equilibrato tra la necessità di garantire un diritto ai lavoratori e alle lavoratrici della scuola (il diritto di astenersi dal lavoro) e il diritto delle famiglie a poter comunque disporre di un “servizio minimo” di cura per i propri figli qualora la famiglia stessa non potesse assumerlo.
A noi pare che l’inizitiva di una comunicazione di questo tipo alle famiglie avrebbe dovuto essere assunta direttamente dal DECS e non essere oggetto di censure, più o meno esplicite, da parte dei responsabili dipartimentali (quella del settore medio, Tiziana Zaninelli, ha dichiarato di aver “… scritto alle direzioni per dire che ritengo inopportuno invitare le famiglie a tenere gli allievi a casa”).

Alla luce di queste considerazioni formuliamo le seguenti domande:

1. Per quale ragione, nella circolare del 3 maggio 2023 (“Mobilitazione del 10 maggio 2023 – Informazioni”) non si è indicata la possibilità di “giustificare” la propria astensione dal lavoro ricorrendo al codice 61 (sciopero)?

2. Per quale ragione il governo o il DECS non hanno ritenuto opportuno comunicare alle famiglie che il 10 maggio vi sarebbe stata un’astensione dal lavoro in molte scuole dell’obbligo e che, di conseguenza, sarebbe stato garantito essenzialmente un servizio minimo (accudimento degli allievi), indicando la possibilità di tenere i figli a casa?

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