Il comitato contro la guerra e contro il riarmo ha organizzato lo scorso 23 maggio a Lugano un dibattito/conferenza sulla guerra in Ucraina. Tre relatori, Jurii colombo, Jo Lang e Aldo Sofia, hanno dato un contributo interessante da tre angolazioni diverse: la situazione in Russia, il ruolo del capitalismo svizzero nei confronti del regime di Putin e la reazione della sinistra in generale di fronte all’aggressione russa all’Ucraina.
Il tema della reazione della sinistra merita qualche riflessione e approfondimento ulteriori. In particolare rispetto al sempre più gettonato tema del multipolarismo. Il suo significato dovrebbe ricondurre a quello di un sistema politico mondiale in cui si aggregano paesi, gruppi politici, correnti di pensiero, a diversi poli di attrazione. Il multipolarismo viene spesso contrapposto al dominio mondiale dell’Occidente, in particolare a quello degli Stati Uniti. Nella reazione di parte della sinistra internazionale, l’aggressione armata di Putin all’Ucraina viene inserita in questa ottica per capire/spiegare/giustificare/analizzare quanto accaduto. Questo approccio è strettamente correlato con una visione del mondo nel quale esiste il dominio degli Stati Uniti/Occidente, l’imperialismo da combattere, e la realtà di altri paesi che spingono per contrastare, rimettere in discussione l’ordine mondiale costituito in tal modo. In quest’ottica, come conseguenza, il dominio USA è il male, mentre l’emergere di nuovi poli rafforza l’idea che una pluralità di centri di potere non solo può contrastare il dominio USA, ma può rappresentare un sostegno a forze progressiste che indicano nuove vie da percorrere nelle relazioni mondiali. In questa concezione non c’è spazio, o molto poco, per differenziare l’azione dei governi e dei popoli. Ad esempio la Cina, polo ormai consolidato di potere, merita agli occhi dei “multipolaristi” un trattamento di riguardo in quanto portavoce di un nuovo ordine mondiale, all’interno del quale nuove relazioni e rapporti tra stati forti devono andare a sostituire l’arroganza e il dominio dell’imperialismo occidentale a trazione Stati Uniti. Se poi, a fronte di qualche critica su sbavature, ad esempio nei confronti delle minoranze in questi nuovi poli di aggregazione, subito viene fatto notare come in Occidente questo è la regola da secoli, perlomeno dallo schiavismo in poi. Ora, nessuno dubita delle colpe dell’Occidente, e per quanto ci riguarda la nostra azione politica nazionale e internazionale lo dimostra. Ma tentare di spiegare le pecche di qualche paese che si riconosce nel multipolarismo, argomentando che in Occidente lo si è sempre fatto, denota una debolezza politica evidente.
In altre parole, sarebbe fin troppo semplice se il contrasto, o la fine, dell’egemonia dell’imperialismo occidentale, fosse riconducibile unicamente alla nascita e allo sviluppo di nuovi poli d’aggregazione geografico/politico/economico. Oppure se questo contrasto bastasse per garantire emancipazione di popoli, maggiore democrazia mondiale e, perché no, un atteggiamento davvero diverso di fronte al dramma ambientale verso il quale stiamo correndo. Purtroppo le cose non stanno affatto così e la guerra in Ucraina lo dimostra da ormai 16 mesi, con i suoi morti, devastazione umana ,economica, sociale, ambientale, con i suoi milioni di rifugiati interni e verso altri paesi, con il frequente mancato rispetto dei diritti umani, con la corsa al riarmo, cui nessuno sembra riesca a resistere, sotto la pressione delle lobbies del settore. La Russia di Putin si è collocata come uno dei capifila di questo nuovo ordine mondiale, addirittura pronta a sacrificarsi per indicare la giusta via. In cosa questa Russia potrebbe rappresentare una via di speranza per porre un argine all’imperialismo occidentale? Quali scelte di politica interna a livello sociale, economico, di democrazia, di lotta contro il cambiamento climatico, di riconoscimento della legittimità delle minoranze, di lotta al patriarcato e alla differenza di genere, indicherebbero questa dinamica? Suvvia, compagne e compagni di questa sinistra che sembra aver smarrito anche l’ultimo soffio di buonsenso, non prendiamoci per i fondelli! E in cosa potrebbe rappresentarlo la Cina? Bisognerebbe poterlo chiedere agli uiguri. Ancora ultimamente il rappresentante permanente cinese alle Nazioni Unite, di fronte alle critiche arrivate da più parti a proposito del trattamento di questa minoranza a opera del governo cinese, affermava che gli Stati Uniti dovrebbero affrontare il genocidio dei nativi, il problema razziale interno, l’ingiustizia sociale, prima di guardare altrove. È questo il modo di porsi dei poteri emergenti a livello mondiale, degli stati che pretendono opporsi all’egemonia occidentale. Consiste essenzialmente nel porsi come baluardo di fronte al Male, come ultima speranza mondiale di costruire un nuovo mondo, naturalmente più giusto, pluralista, democratico. Se poi è presente qualche debolezza, insomma, guardate prima a casa vostra e rimboccatevi le maniche.
Purtroppo una parte della sinistra internazionale sembra incapace di uscire da questa visione, vera ubriacatura pseudo ideologica, per cui qualsiasi foglia si muova in contrasto all’ideologia occidentale dominante merita protezione. E così, in questa folle dinamica, dimentica che ci sono i popoli da difendere e non i governi, i diritti di cittadine e cittadini, e non qualche presunto grande statista. Allo stesso modo si guarda all’Ucraina, confondendo governo e popolazione, Zelensky e civili che si sono reinventati in difensori del loro territorio, in tenaci oppositrici e oppositori di qualsiasi concessione all’esercito invasore di Putin. La stessa lettura viene riservata a chi, come noi, non ha avuto nessun dubbio nel denunciare l’aggressione e nel posizionarsi al fianco della popolazione ucraina, nel difendere il suo diritto di decidere come difendersi, con o senza armi. Chi, come noi, ha saputo distinguere la lotta di liberazione di un popolo da un governo neoliberista che va affrontato giorno dopo giorno. Quello di Zelenky, appunto. Ma siccome al peggio spesso non si riesce a mettere un freno, ecco un’altra perla di questa visione, come quella che indica nell’Ucraina un serbatoio dell’estrema destra mondiale. Salvo dimenticarsi che alle ultime elezioni questa componente ha raccolto qualche briciola e nulla più (nel 2019, con circa il 2,5% dei voti, il partito Svoboda ottenne un misero seggio). Che dire allora dell’Italia di Meloni, della Francia di Le Pen, della Svizzera dell’UDC? A Russia e Cina, rappresentanti di quel nuovo mondo emergente finalmente più democratico dell’altro, qualcuno osa affiancare Erdogan, Assad, l’Iran, il Nicaragua di Ortega, l’India di Modi. Fantastici compagni di viaggio! Il vero motivo di questa dinamica è che questi despoti si trovano nella necessità di nascondere il loro vero obiettivo, cioè non quello di battersi contro il dominio dell’imperialismo occidentale, ma contro la democrazia nei loro rispettivi paesi. In realtà queste élite hanno fatto e continuano a fare affari con l’Occidente. Come ci ricordava molto bene Jo Lang durante la serata di Lugano, i capitalisti se la intendono sempre, da qualunque paese provengano. Altro che sud globale e altre storie del genere. Questi regimi stanno in realtà seguendo molto bene le orme dell’Occidente, stanno replicando con crescente velocità le peggiori scelte fatte dai capitalisti occidentali. Pensiamo solo al tema dell’estrazione delle materie prime, combustibili fossili e altro, che proprio in Russia e Cina ha avuto un’impennata in questi ultimi 30 anni circa. Il disastro ambientale conseguente, la mancanza di diritti di lavoratrici e lavoratori del settore, l’opacità che permea queste attività, i giganteschi benefici a favore di pochi. Tutto questo non ha nulla da spartire con la visione, appunto, del sud globale che si sta sollevando. Caso mai potremmo dire che i nuovi emergenti hanno imparato bene dai loro maestri occidentali.
In mezzo ci stanno i popoli, aggrediti giorno dopo giorno, derubati dei loro diritti più elementari, schiavizzati dalla voracità e potenza di classi sociali che controllano i gangli principali degli stati. E allora cerchiamo di capirla finalmente la vera scommessa di una sinistra internazionalista, pluralista, femminista, ecologista: non sono i governi che dobbiamo guardare ma i popoli. Ecco perché ci battiamo contro Putin, Biden, Zelensky, Meloni, Macron, Xi Jinping, Modi, Ortega, … Ecco perché siamo al fianco del popolo ucraino, delle lavoratrici e lavoratori di questo paese che si battono, tra infinite difficoltà, contro la legge liberista sul lavoro e sulla riforma agraria, dei movimenti antirazzisti negli USA e del movimento femminista, dei disertori russi fuggiti per evitare la guerra e dell’opposizione democratica interna a Putin, delle nicaraguense e dei nicaraguensi che resistono alla dittatura Ortega, della società civile del Kashmir indiano che denuncia crimini contro l’umanità da parte dell’esercito di Modi. Ecco perché, pur difendendo fino all’ultimo la rivoluzione cubana, non possiamo accettare l’idea che chiunque a Cuba osi criticare il governo cubano venga bollato come agente controrivoluzionario al soldo dell’imperialismo statunitense.
Dietro questo nuova visione del mondo, questo multipolarismo emergente, si nascondono forme di autoritarismo che ogni militante di sinistra degno di questo nome deve vedere e condannare. Pena un’ambiguità e un appoggio indiretto a personaggi che rappresentano l’opposto esatto dei nostri valori. Questo atteggiamento che impone di leggere la politica mondiale con gli occhiali del multipolarismo, porta inevitabilmente a negare le derive autoritarie e fascisteggianti all’interno di stati che dovrebbero, agli occhi di parte della sinistra, rappresentare un’ottima occasione per mettere nell’angolo il dominio occidentale. Così la Russia di Putin, polo emergente in questa visione, va capita in questa guerra, va considerato che l’occidente, attraverso la NATO, si è avvicinato troppo ai suoi confini e che questa dinamica ha messo Putin nell’obbligo “di fare qualche cosa per difendersi”. Poco importa quali settori della società russa questo criminale rappresenti, poco importa il livello di repressione interno, poco importa il prezzo che la popolazione ucraina sta pagando. E se anche, pur timidamente, qualcuno di questi arriva a riconoscere che di fronte a tanta brutalità bisogna pur potersi difendere, ebbene lo si faccia senza le armi occidentali, ma con la volontà nel negoziato, con trattative di pace, con il disarmo, concedendo magari una parte del territorio all’aggressore, mettendo a tacere i crimini contro l’umanità commessi dai soldati russi, gli stupri, le torture, i massacri di Bucha e Mariupol e tanti altri. Assurdo! Inaccettabile!
Nei giorni della repressione a Praga ad opera delle truppe sovietiche nel 1968, un giovane aveva scritto su di un cartello, ripreso dai giornali di tutto il mondo: “Lenin svegliati, sono diventati tutti matti!”. La sua attualità anche in questa guerra è tutta lì da vedere.