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A cinque anni dalla mobilitazione del 2019, che aveva visto un’ampia e formidabile partecipazione di collettivi femministi, le organizzazioni sindacali e numerosissime associazioni hanno indetto  un nuovo sciopero delle donne per il 14 giugno.

Le ragioni di questa mobilitazione sono molteplici. Le donne stanno pagando la fattura più elevata della crisi sociale, economica ed ecologica che stiamo vivendo. Sono le più colpite dalle controriforme neoliberali e dalle riorganizzazioni del mercato del lavoro. La crisi pandemica ha ulteriormente accelerato questo processo.

Bassi salari, condizioni di lavoro precarie e un’enorme quantità di lavoro non retribuito

Le discriminazioni nel mondo del lavoro sono evidenti: per limitarci alla sola questione salariale, basterà qui ricordare che, in media, le donne guadagnano il 18% in meno degli uomini. Un dato di per sé già impressionante che viene però costruito facendo finta che tutti e tutte abbiano un lavoro a tempo pieno. Sappiamo che la realtà è ben diversa: le donne sono impiegate maggiormente a tempo parziale, interrompono frequentemente la loro carriera professionale e difficilmente hanno posizioni dirigenziali all’interno delle aziende. Se si prendessero in considerazione anche questi elementi la differenza salariale reale tra uomini e donne raggiungerebbe almeno il 43%!

Ancora oggi le donne sono principalmente assunte in determinati settori, legati alla cura e alla riproduzione sociale, settori nei quali, proprio in virtù del loro presunto “carattere femminile”, si pagano salari più bassi e sono socialmente meno riconosciuti. Si pensa infatti che le donne siano “naturalmente” portate a svolgere questi lavori e per questo non sia necessario riconoscere loro una vera retribuzione. Si tratta però di lavori essenziali e determinanti per il funzionamento del sistema economico e sociale capitalistico nel quale viviamo.

Accanto a questo, le donne continuano ad assumere ancora la stragrande maggioranza del lavoro domestico non remunerato, contribuendo così a riprodurre la forza lavoro senza che questo loro lavoro sia in qualche modo remunerato o riconosciuto come tale.

Una situazione che pesa enormemente sul benessere e la qualità di vita delle donne e che si traduce poi in una precarietà al momento della pensione. Le rendite pensionistiche delle donne sono del 38% inferiori a quelle degli uomini, situazione che non potrà che peggiorare con l’aumento dell’età di pensionamento e con le previste riforme del secondo pilastro che comporteranno un’ulteriore diminuzione delle rendite.

Attraverso lo sciopero vogliamo rendere visibile il lavoro svolto dalle donne; un lavoro non valorizzato e mal pagato, quando avviene sotto forma di lavoro salariato e, del tutto invisibile e non remunerato, quando si svolge quotidianamente tra le mura domestiche.

Controllo del nostro corpo e violenza di genere

Le politiche che mirano oggi a rendere più difficile il ricorso alle interruzioni di gravidanza, l’accesso ai metodi contraccettivi e ai servizi della salute per le donne non sono altro che l’espressione della volontà delle classi dominanti e del loro sistema politico di ricacciare le donne all’interno del loro ruolo tradizionale di mogli e madri modello.

Un controllo che passa anche dalla violenza di genere. Una violenza che colpisce le donne in casa, sul lavoro, per strada e nello spazio pubblico. I casi di violenza sono in aumento: 1 donna su 3 è vittima di violenza nell’arco della sua vita; una violenza frutto della cultura patriarcale che vuole le donne al servizio della società, private di autonomia e libertà; una violenza strutturale in un sistema come il nostro fondato sulla discriminazione e l’oppressione di genere.

Lo sciopero delle donne è anche l’occasione per ribadire la nostra contrarietà a tutti i tentativi di controllare le nostre vite e il nostro corpo, per esprimere la nostra volontà di lottare contro la violenza.

Contro la guerra e in solidarietà alle popolazioni oppresse

L’invasione dell’Ucraina ha portato la guerra anche in Europa. Ma la guerra è un’esperienza quotidiana di moltissime popolazioni. Guerre imperialiste, per aumentare le zone di influenza e il controllo su alcuni territori, guerre per le materie prime e i mercati. La guerra significa, sempre, un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, significa violenza e sopraffazione. Una violenza che si esercita molto spesso sulla vita delle donne; nelle situazioni di guerra il lavoro di cura e di riproduzione sociale si intensifica e si esercita in condizioni di crisi, gli stupri stanno diventando una potente arma per combattere queste guerre, i diritti vengono negati e cancellati, le guerre aumentano i fenomeni migratori e spesso sono le donne che fuggono con le famiglie diventando vittime di tratta e non trovando poi accoglienza nei paesi di arrivo.

Partecipare alla mobilitazione del 14 giugno è anche un modo per affermare la nostra solidarietà con tutte le donne e le minoranze di genere nel mondo che non possono scioperare o rivendicare i loro diritti, che hanno pochi o nessun diritto, che sono imprigionate perché sono donne, omosessuali, trans. In solidarietà con le donne iraniane, afghane, curde, ucraine e tutte le altre.

Lo sciopero delle donne è un’opportunità per ribadire le nostre rivendicazioni

  • parità salariale, di assunzione e di carriera, per garantire la nostra indipendenza economica;
  • riduzione generalizzata dell’orario di lavoro (senza diminuzione dei salari) per permettere una migliore qualità di vita a tutti e tutte;
  • riconoscimento, socializzazione e valorizzazione del lavoro domestico, educativo e di cura;
  • salvaguardia e sviluppo di servizi pubblici di qualità ovunque;
  • mezzi e strutture adeguate alla lotta contro la violenza sessista e sessuale;
  • parità di accesso all’assistenza sanitaria e inclusione della salute delle donne e delle persone LGBT+ nella ricerca.

Vogliamo un mondo libero dallo sfruttamento e dalla violenza patriarcale e capitalista. Il nostro femminismo è un femminismo anticapitalista, un femminismo che non vuole integrare le donne nel sistema neoliberale, ma che vuole cambiare quel sistema alla radice per rivendicare l’autonomia, l’autodeterminazione e l’emancipazione delle donne.