Da una prima considerazione sulle recenti elezioni comunali e regionali, si possono facilmente trarre due conclusioni: una chiara vittoria del blocco neoconservatore e reazionario e una sconfitta politica del PSOE. La risposta di Pedro Sánchez all’euforia dei suoi avversari non si è fatta attendere. È arrivata il giorno dopo, anticipando al 23 luglio (23J) le elezioni legislative generali che erano state fissate per il dicembre di quest’anno.
Così, ancora una volta, il leader socialista, dopo aver ammesso il suo errore nell’adattarsi al quadro che il blocco di destra era riuscito a imporre durante la recente campagna elettorale, ha fatto ricorso alla sua ben nota abilità tattica per mettere a segno un colpo di mano e aprire un nuovo scenario, non previsto da nessuno, affidandosi ancora una volta alla dea Fortuna. Stiamo quindi entrando in una nuova fase in cui la posta in gioco è se ci sarà un cambio di ciclo definitivo o se, al contrario, la resilienza che Sánchez ha dimostrato finora riuscirà a sopravvivere a questa nuova prova, che sarà senza dubbio molto più difficile delle precedenti, tenendo conto, inoltre, che si svolgerà in un contesto di un’avanzata neo-conservatrice in Europa.
Sembra già chiaro che, in vista del 23J, l’obiettivo di Alberto Núñez Feijóo [presidente del Partito Popolare dall’aprile 2022] e Pedro Sánchez sarà quello di ridurre il confronto elettorale a una polarizzazione bipartisan. È improbabile che questo favorisca il Movimiento Sumar [la cui leader è Yolanda Diaz, vicepresidente e ministro del Lavoro e dell’Economia sociale], che è già stato legalizzato [come partito politico dal 31 maggio 2023] e che, pur non presentandosi alle prossime elezioni, non uscirà indenne dal 28 maggio (28M); soprattutto vista la sconfitta del principale alleato di Yolanda Díaz, Ada Colau [sindaco di Barcellona dal giugno 2015], alle elezioni del Consiglio comunale di Barcellona. Anche un Podemos molto più debole non riuscirà a dare un grande contributo, come vedremo di seguito.
Infatti, Sánchez si appellerà al voto utile contro il PP-Vox a scapito di una convergenza di formazioni politiche (tra cui Izquierda Unida, En Comú Podem, Más Madrid e Compromís) che difficilmente saranno in grado di contrastare questa pressione con uno schema unitario. Un nuovo tentativo di movimento-partito che, peraltro, sembra intenzionato a continuare a scommettere sulla riproduzione del modello di un governo di coalizione progressista che non ha mantenuto nemmeno le promesse fondamentali del suo programma di governo – come, tra l’altro, l’abrogazione delle riforme del lavoro e della legge bavaglio di Rajoy e Zapatero, o una riforma fiscale progressiva – e che, in caso di rinnovo, questo avverrebbe nel contesto di un rapporto di forza ancora peggiore rispetto alla scorsa legislatura.
Una marea che beneficia della decomposizione di Ciudadanos
In realtà, quanto accaduto il 28 maggio ha confermato la tendenza alla crescita del PP prevista dai sondaggi (ad eccezione di quello del Centro de Investigaciones Sociológicas), grazie soprattutto al fatto che il PP è stato in grado di conquistare una parte significativa dei voti di Ciudadanos (Cs), un partito ormai quasi scomparso. Inoltre, il PP ha dimostrato di saper attrarre parte del voto di Vox [estrema destra], soprattutto nella regione di Madrid, dove ha ottenuto la maggioranza assoluta.
Ciononostante, la differenza di voti tra il PP e il PSOE nelle elezioni municipali a livello dell’intero paese, con un’affluenza del 63,92%, non appare sufficiente a garantire una vittoria del PP nelle elezioni generali di luglio: 31,51% contro 28,11%. Tuttavia, ciò significa che il primo partito della destra ha conquistato il governo in un buon numero di città importanti (tra cui le città emblematiche di Valencia contro Compromís, Siviglia contro il PSOE e Cadice contro Adelante Andalucía) e, soprattutto, nelle comunità autonome che ha strappato al PSOE, come País Valencià, Aragona, Isole Baleari, Estremadura, La Rioja e Cantabria. Anche se in alcuni di essi dovrà pagare un prezzo elevato per ottenere l’appoggio di Vox, un partito che, sebbene abbia guadagnato peso a livello comunale con il 7,19% dei voti, è molto lontano dai 3,5 milioni di voti ottenuti alle elezioni generali del 2019. Nonostante ciò, esso determinerà la governabilità di sei regioni autonome e 30 capoluoghi di provincia.
La principale eccezione alla vittoria del PP, come sottolinea Petxo Idoiaga (articolo del 31 maggio sul sito Viento Sur), è stata la Comunità autonoma basca e la Navarra, dove Euskal Herrua Bildu [“Riunire i Paesi Baschi”], unica beneficiaria della campagna anti-ETA condotta principalmente da Isabel Diaz Ayuso [membro del PP e presidente della Comunità di Madrid], e ha goduto di una notevole ascesa che minaccia l’egemonia del Partito nazionalista basco (PNV). D’altra parte, UNO Podemos è scomparso dai parlamenti regionali di Madrid, Valencia e delle Isole Canarie e da molti municipi, compresa la capitale Madrid. Non è più presente in cinque governi regionali e rimane presente solo in 17 capoluoghi di provincia. Questa debacle ha costretto il partito a rassegnarsi a essere un attore secondario nel progetto di Yolanda Díaz. Resta da vedere se questa confluenza si concretizzerà e, in caso affermativo, fino a che punto condivideranno un discorso comune durante una campagna che li costringerà a differenziarsi ulteriormente dal PSOE.
Un altro caso è quello della Catalogna, dove la dimensione nazionale ha avvantaggiato il Partito Socialista di Catalogna (PSC), mentre ha danneggiato la Sinistra Repubblicana di Catalogna (ERC) contro Junts per Catalunya. Questa volta Junts per Catalunya ha fatto leva sull’immagine nostalgica della vecchia Convergència, incarnata con successo dal candidato sindaco di Barcellona Xavier Trías [sindaco dal luglio 2011 al giugno 2015]. Da parte sua, la Candidatura di Unità Popolare (CUP), pur non riuscendo a conquistare un seggio nel Consiglio comunale di Barcellona, ha conquistato il secondo posto a Girona all’interno della coalizione e rimane la quarta forza politica in termini di numero di seggi nel Consiglio comunale della Catalogna nel suo complesso.
Un ritorno alla centralità dei due partiti maggiori?
Mettendo al centro del dibattito questioni collaterali – come la denuncia delle alleanze del “Sanchismo” (Sanchez) con “comunisti, separatisti e terroristi” e facendo rivivere il fantasma dell’ETA dodici anni dopo il suo scioglimento, piuttosto che affrontare i problemi locali e regionali (come la crisi della sanità, dell’istruzione o degli alloggi, o la lotta all’inflazione), il PP è riuscito a creare un clima di pericolo per il regime e per la Spagna, oltre che di insicurezza pubblica: tutto ciò gli ha permesso di uscire vittorioso da questa sfida.
La gioia per il trionfo al primo turno, come già detto, è stata di breve durata. I leader e i dirigenti del PP (guidati dall’ex presidente Aznar) non hanno potuto nascondere la loro delusione per la decisione di Sánchez di indire le elezioni a luglio. Infatti, ciò li costringe ad affrontare un “secondo turno” in tempi molto più brevi di quelli che pensavano di poter sfruttare per approfondire, con il potente supporto mediatico di cui dispongono, l’erosione della coalizione di governo progressista, adesso, se possibile, ancora più delegittimata. Tuttavia, non hanno tardato a scegliere lo slogan che avrebbe guidato la loro campagna: “O Sánchez o la Spagna”. Ancora una volta, Alberto Núñez Feijóo, con Isabel Diaz Ayuso in prima linea, utilizzerà lo spettro di una rottura dell’unità della Spagna – che non è né all’ordine del giorno né auspicata dal PSOE – come collante del suo programma neoliberale, autoritario e reazionario al servizio della struttura di potere oligarchica che rappresenta.
Di fronte a questo obiettivo, Sánchez non sembra temere il rischio di trasformare il 23J in un plebiscito intorno alla sua persona, desideroso di ottenere una vittoria che gli permetta di non ricorrere a scomode alleanze alla sua sinistra. Cercherà quindi di calmare il disagio dei baroni del partito sconfitto [PSOE], cercando di rafforzare la sua immagine di partito di Stato e di competere senza mezzi termini con la destra. Lo ha già fatto in molte delle sue opzioni politiche. Ora estenderà questo orientamento a nuove concessioni su temi come la lotta al cambiamento climatico, la politica fiscale, il diritto alla casa o la cosiddetta insicurezza dei cittadini; e tutto ciò, naturalmente, esprimendo la volontà di attuare tagli di bilancio dettati dalla Commissione europea o di obbedire a una NATO a guida statunitense. Non è nemmeno da escludere che la loro comune aspirazione, con il PP, a recuperare la centralità dei due partiti a livello statale, o addirittura il sistema bipartitico, li porti dopo il 23J a cercare un accordo per una riforma elettorale sul modello greco, nel tentativo di imporre un’alternanza che era stata seppellita nel 2015. Tutto questo in nome della stabilità di un regime che, nonostante la fine dei cicli aperti dal 15M (Movimento degli Indignati) e dal sovranismo catalano, presenta ancora molte crepe e deve affrontare maggiori turbolenze internazionali; e, soprattutto, una serie di disordini sociali che potrebbero in futuro produrre rivolte come quelle in corso in Paesi come la Francia o la Gran Bretagna.
Ridurre la minaccia dell’estrema destra cambiando rotta
Non sarà certo possibile arginare la deriva di destra spostando il PSOE a destra. L’esperienza recente degli ultimi tre anni, come d’altronde in altri Paesi, lo ha già dimostrato: come abbiamo sostenuto nell’ultimo numero di Viento Sur, i nuovi progressisti possono essere, per dirla con Modonesi, una “diga temporanea”, un male minore di fronte al blocco reazionario, ma non sono in grado di “risolvere le contraddizioni di fondo” che ne spiegano l’ascesa.
In questo contesto, la situazione di “pace sociale” che le leadership delle organizzazioni sindacali CCOO e UGT hanno mantenuto per tutta la legislatura, e che hanno rinnovato con il recente patto con i padroni, non sembra in grado di favorire la rimobilitazione della sinistra. Sarà quindi difficile creare le condizioni favorevoli per superare il quadro bipartitico della campagna elettorale e, soprattutto, per far emergere un progetto autonomo e alternativo nella campagna che metta al centro questioni fondamentali come la lotta al cambiamento climatico, la precarietà delle nostre vite, i progressi nel riconoscimento della realtà plurinazionale dello Stato o il rifiuto del razzismo strutturale che, come abbiamo visto di recente, è arrivato ad avere le sue peggiori espressioni non solo alla nostra frontiera meridionale, ma anche sui campi di calcio.
In questo contesto, anche la sinistra anticapitalista deve assumersi la sua parte di responsabilità per la situazione di sconfitta collettiva in cui ci troviamo e che la porta a essere praticamente assente come alternativa politica nella prossima battaglia elettorale. Ciò non significa che debba ignorare la necessità di contribuire a impedire la vittoria del blocco di destra, perché non possiamo sottovalutare la minaccia che rappresenterebbe il suo accesso al governo dello Stato, con il conseguente attacco ai diritti civili e sociali fondamentali (in primo luogo contro le persone del Sud e le donne) e il rafforzamento di una cosiddetta democrazia militante [estensione dei poteri legali per difendere il cosiddetto ordine liberaldemocratico], pronta persino a mettere fuori legge parte dell’attuale spettro parlamentare. Tuttavia, la sinistra anticapitalista dovrebbe affrontare questo pericolo da una posizione autonoma e critica che, a sua volta, cercherebbe di unire i movimenti sociali e le forze politiche a sinistra del PSOE, in un processo di rimobilitazione sociale contro le politiche neoliberiste e neoconservatrici, da qualunque parte provengano e chiunque le governi.
In ogni caso, a prescindere dai risultati del 23J, ci aspettano tempi ancora più difficili: è tempo di resistere alla minaccia dell’autoritarismo reazionario, ma anche di un sistema bipartitico che si sta rafforzando, e di cercare nuove vie di convergenza e di ancoraggio alle classi lavoratrici che contribuiscano a offrire un orizzonte di speranza per un cambiamento reale. Per fare questo, dovremo affidarci al lavoro essenziale e paziente delle reti di solidarietà di quartiere e dei luoghi di lavoro, che ci permetteranno di costruire un radicamento sociale più profondo attorno a una cultura della mobilitazione e della solidarietà che rimetta il conflitto sociale e la difesa di una vita dignitosa su un pianeta abitabile al centro della lotta contro il capitale.
* Jaime Pastor è politologo e caporedattore di Viento Sur. L’articolo è apparso il 31 maggio 2023 sulla rivista Viento Sur. La traduzione è stata curata dal segretariato MPS.