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In data odierna, il Consiglio di Stato ha presentato un messaggio relativo alle cosiddette “misure di compensazione” che, unitamente ad altre misure che dovrebbe decidere il Consiglio di amministrazione dell’Istituto di Previdenza del Canton Ticino (IPCT), dovrebbero impedire che la diminuzione del tasso di conversione, prevista nei prossimi 8 anni, abbia conseguenze devastanti (fino ad una diminuzione delle future rendite del 20%) dopo che una diminuzione di questo tipo è già avvenuta nel 2012.

L’MPS ritiene innanzitutto di dover sottolineare come le proposte contenute nel messaggio e quelle che il CdA di IPCT vorrebbe attuare (anche se queste non sono ancora note nel dettaglio) siano state prese grazie alla pressione dei salariati e delle salariate assicurate presso l’IPCT, in particolare sotto la guida dell’associazione che hanno creato a difesa delle pensioni (La Rete a difesa delle pensioni – ErreDiPi); una pressione costante, con mobilitazioni e misure di sciopero che hanno coinvolto migliaia di assicurati e assicurate.

È indubbio che questa mobilitazione dovrà continuare ed intensificarsi in autunno se si vorranno apportare i necessari correttivi migliorativi alle attuali proposte.

Complessivamente, l’MPS  considera che le  misure presentate nel messaggio del Consiglio di Stato e quelle annunciate dal CdA di IPCT non siano convincenti e, soprattutto, non affrontino alcuni problemi principali.

In primo luogo non si affronta uno degli errori principali della riforma del 2012 e meglio il versamento, in quell’occasione, di un contributo di risanamento di gran lunga inferiore al dovuto. Ricordiamo che nel 2012 fu deciso il versamento di un importo di 454 milioni (con un versamento a rate dal 2013 al 2051) quando, per ammissione stessa dell’IPCT, l’importo da versare avrebbe dovuto essere di almeno 1’454 milioni. La differenza era da ricondurre gli errori di valutazione sulle prospettive inflazionistiche e dunque del tasso tecnico. Per il momento gli unici che sono dovuti passare alla cassa per sanare la situazione sono stati gli assicurati, attivi e pensionati, a cui il Consiglio d’Amministrazione, composto dai partiti di governo e dalle cosiddette “organizzazioni sindacali riconosciute” (VPOD, OCST, CCS) ha scippato 500 milioni di interessi sugli averi di vecchiaia ed un taglio delle rendite vedovili in aspettativa dal 25% rispettivamente 10%.

Anche per questa ragione diventa difficile, oggi, essere attratti dalla nuova impostazione che il CdS vuole dare con il suo messaggio, in particolare affidando ancor maggiori competenze e spazio di manovra al CdA ed al CdS per quanto riguarda l’ammontare di prestazioni e contributi. In questo modo, di fatto si limita la possibilità di controllo, almeno per il momento, degli assicurati.

Dubbi analoghi possono essere espressi sul fatto che nel suo messaggio il CdS nulla dice sull’ammontare futuro degli interessi che verranno concessi sugli averi di vecchiaia. Una leva, quella degli interessi, altrettanto importante quanto l’aumento dei contributi. 

Per quanto riguarda l’aumento dei contributi è un dato di fatto che non solo si chiede al personale un aumento dell’onore ma addirittura la ripartizione del premio tra dipendente e datore di lavoro peggiora passando dall’attuale 47.5% al 49% a carico del dipendente.

Su questo punto deve poi essere fatta una considerazione di fondo. Il fatto che l’aumento dei contributi potrebbe permettere, se alcune ipotesi si confermassero, di mantenere gli attuali livelli pensionistici sull’arco di un’intera carriera (40/45 anni già di per sé assai improbabile, per molte ragioni), significa solamente che il personale rinuncia a una parte del proprio salario per finanziare la propria futura pensione. Se proiettata sull’intera carriera lavorativa si tratta di una perdita importante. In altre parole sono i dipendenti, attraverso un taglio salariale, a impedire, forse, che un domani la loro rendita possa mantenere gli attuali livelli. Livelli che, non dimentichiamolo, sono già diminuiti mediamente del 20% con la riforma del 2012.

Va poi aggiunto che questo messaggio non affronta la cosiddetta questione del risanamento dell’IPCT: un’operazione sulla quale si glissa bellamente, dopo averne dichiarato l’urgenza; e, soprattutto, dopo avere inanellato soluzioni abortite (il messaggio sui 500 milioni presentato dal CdS e poi ritirato) e soluzioni fallimentari: il messaggio (sostitutivo di quello precedente) sul prestito di 750 milioni poi approvato da tutti i gruppi in Gran Consiglio (con l’attiva opposizione dell’MPS), non più pervenuto nella sua fase di attuazione (come avevamo facilmente previsto).

Da ultimo non possiamo esimerci dal ribadire il cinismo con cui si conferma che il  capitale che verrà utilizzato per compensare parte di tagli per le persone con più di 50 anni è in gran parte stato accumulato con la decisione di decurtare le rendite vedovili in aspettativa; in altre parole si vuole ridare alle stesse persone ciò che pochi mesi fa si è deciso di togliere.