Nella giornata di mercoledì, il governo attraverso il ministro Salvini, ha varcato un nuovo Rubicone precettando le lavoratrici e i lavoratori del settore trasporti che da ben 34 giorni avevano dichiarato la sospensione del lavoro per il rinnovo dei contratti scaduti e contro i turni massacranti (in Trenitalia).
“E’ un’iniziativa vergognosa, sbagliata e illegittima” ha sostenuto il segretario generale della Filt Cgil Stefano Malorgio; in realtà si tratta di un attacco diretto e violento, un atto di imperio governativo contro il diritto di sciopero, che chiarisce per tutti quale sia il nemico di fondo che questo governo vuole colpire conoscendone la forza potenziale, il movimento delle lavoratrici dei lavoratori con le sue lotte e rivendicazioni. Non a caso fin dalla sua formazione avevamo denunciato la natura profondamente antioperaia del governo Meloni e la necessità che le organizzazioni sindacali suonassero le campane a martello per denunciarne la pericolosità, costruendo da subito una vasta mobilitazione sociale.
L’elemosina del caffè
Nelle ultime settimane il governo Meloni, se da una parte aveva mostrato alcune contraddizioni e difficoltà, nello stesso tempo aveva più che mai espresso la sua determinazione e la sua forza nel procedere spedito verso i suoi obiettivi.
Infatti ha portato a casa, qualche giorno fa, il decreto sul lavoro del primo maggio che stravolge il pur già carente “reddito di cittadinanza” riducendo drasticamente la platea di coloro che possono accedervi (350 mila perdono il sussidio da questo mese e altri 265 mila dalla fine dell’anno) e le stesse modalità di utilizzo e contemporaneamente ha ancora peggiorato le norme che garantiscono e perpetuano la precarietà del lavoro. Oggi con la precettazione nel settore dei trasporti compie un ulteriore passo e test per verificare le reazioni dei sindacati e sulla scia di Reagan punta a dividere i lavoratori contrapponendoli ai cittadini.
Tanto più la compagine governativa ha abbassato la saracinesca di fronte alle proposte di intervenire sul lavoro povero, anzi poverissimo, ricusando l’istituto del salario minimo, ben presente in altri paesi per limitare le forme di supersfruttamento più brutali che coinvolgono molti milioni di lavoratrici e lavoratori.
Martedì, col ministro dell’agricoltura, ha lanciato invece in pompa magna in conferenza stampa (seguita da un’incessante campagna di spot sulla televisione) la misura “Dedicata a te”, un bonus per i poveri (una platea potenziale di 1,3 milioni di famiglie) finanziato con la ridicola cifra di 500 milioni (un caffè al giorno), che dovrebbe valere fino alla fine dell’anno e che esclude in ogni caso coloro che utilizzano altre forme di sostegno al reddito, quindi i percettori del “reddito di inclusione” e tanto più i single. In proposito non possiamo che rinviare alla lettura dell’articolo “Con un caffè al giorno il governo non scaccia lo spettro della povertà”.
Salari a picco
Tutto questo mentre la recente ricerca dell’OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ci informa che l’Italia è il paese in cui più che altrove, il quadro economico congiunturale e l’impennata dei prezzi hanno determinato la maggiore caduta dei salari reali: il 7,5% rispetto alla media europea già di per sé molto pesante del 2,2%. Va da se che questa stessa inchiesta ci informa che a pagare il prezzo più duro sono proprio le lavoratrici, i lavoratori e i nuclei familiari titolari dei salari più bassi; questi hanno subito una perdita del 10,3%. Questi dati confermano solo una realtà molto ben conosciuta e subita dalle classi lavoratrici. La ricerca OCSE consiglia anche i governi europei di intervenire con sostegni mirati e significativi verso le famiglie a basso reddito specificando che ci sono i margini per assorbire gli aumenti salariali visto che dal 2019 al 2021 i profitti mediamente sono saliti del 21% mentre il costo del lavoro si è fermato a un + 15,6%. Anche questo è abbastanza noto, anche se finora, nel nostro paese non si è tradotto né in una denuncia del fatto che l’inflazione sia una inflazione da super profitti, né in una corrispondente forte campagna di mobilitazione e lotta sul tema cruciale dei salari e della difesa delle condizioni di vita delle classe lavoratrici.
Per questo la nostra organizzazione è pienamente partecipe della campagna per la raccolta firme su un disegno di legge popolare per il salario minimo a 10 euro che pensiamo debba essere collegata alla richiesta della reintroduzione di una scala mobile che difenda permanentemente le retribuzioni salariali dal carovita. In proposito si sta lavorando a costruire un secondo disegno di legge che rilanci questa misura essenziale per tutte le lavoratrici e lavoratori.
E’ importante richiamare il fatto che anche settori borghesi, tra cui alcuni giornali come La Repubblica si dichiarano favorevoli al salario minimo, come strumento di alleggerimento dei disastri che le scelte liberiste determinano. Sarà necessario essere molto attenti su quali misure vogliono introdurre: per esempio le cosiddette forze del “campo largo” hanno prodotto un disegno di legge comune che propone un salario minimo di 9 euro. Il problema non sono tanto i 9 euro, rispetto ai 10 euro proposti dalla sinistra radicale (anche se centinaia di migliaia di lavoratori hanno un salario orario compreso tra i 9 e 10 euro), ma una norma che ne stravolgerebbe il senso stesso: l’adeguamento dei contratti con paga oraria al di sotto dei 9 euro, avverrebbe non a carico dei padroni, ma dello stato, cioè del fisco che come è noto è alimentato in grandissima parte proprio dalle tasse delle lavoratrici e dei lavoratori!
Dal PNRR all’autonomia differenziata
Il governo appare più in difficoltà nella gestione del PNRR, nel far avanzare gli obiettivi individuati a cui sono collegati i finanziamenti dell’Unione Europea. In realtà ritardi si erano già manifestati con il precedente governo, a cui si aggiungono di certo alcune divergenze in particolare per quanto riguarda la realizzazione delle cosiddette “riforme” e poi anche le deboli capacità di gestione del personale governativo e pubblico ai vari livelli. I ritardi più grandi si riscontrano però nella attuazione degli investimenti, dove con la dismissione di importanti strutture pubbliche e di un personale adeguato che ormai datano da tempo, sembra essere venuta meno la capacità di gestione di un piano operativo che è capitalista, ma che presuppone forti strutture pubbliche per realizzarlo.
Difficile pensare che partiti come il PD e il M5S possano costruire una forte e credibile opposizione solo denunciando i ritardi di un progetto, quello di Draghi, che è in gran parte strettamente funzionale al rilancio liberista capitalista del capitalismo europeo e italiano.
Meloni e soci vanno invece molto di fretta verso la realizzazione dell’autonomia differenziata che segnerebbe, se realizzata, non solo la divisione del paese, ma una dura sconfitta e una profonda divisione delle classi lavoratrici.
I casi giudiziari e lo scontro con la Magistratura
Sulle vicende giudiziarie di vari componenti del governo e dello scontro tra governo e magistratura che riempiono le pagine dei giornali ci limitiamo a poche considerazioni:
è da sempre evidente e confermato lo squallore dei personaggi che compongono lo schieramento delle destre a partire da FdI, il loro carattere reazionario, maschilista, sessista, nemici dei diritti delle donne, che non riescono in alcun modo a contenere e mascherare anche solo per opportunità politica;
in secondo luogo questi soggetti esprimono una concezione molto particolare della giustizia che viene sempre più manifestata da vasti settori delle classi dominanti. Per le classi subalterne e in particolare i poveri e i migranti deve valere una posizione giustizialista (repressione su vasta scala, galera per tutti); per i potenti, per le classi “superiori” e le loro coorti politiche e istituzionali, compresi i parvenu arrivati al potere deve valere il principio pieno del garantismo giuridico, anzi, a dire il vero, essi aspirano ad essere insindacabili, in un altro standard fuori dalla giustizia comune;
per ragioni politiche evidenti la Meloni non ha intenzione e non può, se non nel caso di una minaccia diretta al suo potere, scaricare qualcuno dei suoi, perché il suo partito e la sua compagine devono rimanere ben uniti per affermare la loro “legittimità autoritaria”.
Qualcuno continua a stupirsi che Meloni e soci si comportino coerentemente con la loro storia, la loro ragione sociale avversa alla giustizia e alla libertà e la loro funzione antitetica alle classi lavoratrici. Sic!
Non torniamo in questa sede sulla politica estera del governo, se non che l’Italia si conferma pienamente inserita nella coalizione imperialista con gli USA e la Nato, un scelta ben precisa della Meloni per garantirsi anche una stabilità nazionale.
La costruzione delle opposizioni
Difficile pensare che in questo contesto le opposizioni istituzionali in campo possano, sia per i limitati numeri parlamentari, sia per le debolezze politiche, al di là della maggiore reattività polemica della Schlein nel dibattito o di quella di Conte (tenuta un po’ in sordina dalle grandi testate giornalistiche di “opposizione”), possano realmente mettere in difficoltà il governo. Non parliamo poi dei duo Calenda Renzi, che potranno svolgere se mai una funzione di ultimo, pronto soccorso nel caso in cui veramente il governo corresse qualche serio pericolo.
Nello stesso tempo è utile ricordare che come Berlusconi non è crollato sotto i colpi dello scontro con la Magistratura (E’ caduto solo quando la borghesia ha deciso che era necessario sostituirlo), non sarà questa compagine di governo ad entrare in crisi nel conflitto con i magistrati, a cui meno che mai può essere affidato lo scettro dell’opposizione.
La domanda quindi è: dove sta l’opposizione sociale? Cosa è avvenuto su questo terreno nella costruzione di un percorso di mobilitazione, di presa di coscienza su tutti i grandi temi, quelli economici e sociali, quelli dei diritti declinati in tutti i suoi aspetti, quelli della giustizia sociale e quindi delle politiche alternative al liberismo di Giorgetti e company, in totale continuità con i precedenti governi?
Il giudizio sui movimenti non può essere completamente negativo, ma i passi compiuti sono stati troppo pochi e così anche quelli della convergenza e quelli di una consapevole radicalità di contenuti finalizzati a costruire un più complessivo movimento sociale di opposizione che riesca ad incidere sul piano dei rapporti di forza tra le classi.
Le manifestazioni sono state anche numerose ed alcune imponenti come quelle che si sono espresse nelle diverse città con i gay pride e per i diritti. Né sono mancati momenti importanti di sdegno e di solidarietà per i migranti, od anche significative manifestazioni che rimandano alla crisi climatica e alla scelta delle classi dominanti di parlare falsamente “green”, quando in realtà fanno scelte del tutto opposte. Così come è andato avanti il lavoro per contrastare il famigerato disegno di legge di Calderoli sulla autonomia differenziata che rimanda in primo luogo, ma non solo, alla difesa e al rilancio di una sanità pubblica accessibile per tutte e tutti e di qualità.
Sul terreno della sanità siamo arrivati a un punto di non ritorno con l’introduzione dei Pronto soccorsi privati in Lombardia, ma che stanno per fare la loro comparsa anche in Piemonte….!
Importanti manifestazioni per la difesa della sanità pubblica sono state, organizzate dalla CGIL, ma con il concorso di molti soggetti sociali, a Torino e poi quella nazionale a Roma.
Sulle tre manifestazioni di CGIL CISL e UIL di maggio abbiamo già scritto dei loro limiti, anche di contenuto (non si parlava della autonomia differenziata) anche se abbiamo sottolineato la disponibilità di settori significativi della classe a una più forte attivazione se mai si volesse costruire un percorso di lotta serio e coerente da parte dei gruppi dirigenti.
Alcune manifestazioni dei sindacati di base hanno mostrato la presenza di settori di lavoratori radicalizzati e combattivi, anche se sono manifestazioni molto identitarie frutto di scelte politiche dei gruppi dirigenti che difficilmente possono coinvolgere settori di lavoratori e lavoratrici decisamente più ampi.
Infine le due giornate di sciopero dei metalmeccanici, quella delle regioni del Nord e quella del Lazio con le regioni del Sud, che secondo i promotori hanno visto un buona ed anche forte astensione di lavoro. Manifestazioni per altro rivolte principalmente contro il governo e il suo non intervento nelle scelte produttive; rivendicazione certo giusta, ma che lascia da parte il nemico sociale fondamentale, quel padronato che è il soggetto attivo delle ristrutturazioni, della riduzione del personale, dei carichi di lavoro insopportabili ai fini di uno sfruttamento particolarmente duro.
Le preoccupazioni di molti dirigenti sindacali di costruire un percorso credibile di mobilitazione e di sensibilizzazione per ricostruire le condizioni di una lotta più forte e dello sciopero generale, sono reali e possono essere anche condivise, ma per superare queste difficoltà da tempo si sarebbe dovuto lavorare, ma non lo si è fatto, e soprattutto dovrebbe essere molto ben spiegato alle lavoratrici e ai lavoratori, che c’è la determinazione delle direzioni sindacali ad arrivare a una lotta molto dura, ben costruita dal basso, senza la quale non si battono, né i padroni, né quel governo che ne cura gli interessi..
La manifestazione di fine settembre che si sta preparando contro il progetto dell’autonomia differenziate è certamente valida e interviene su un aspetto centrale dello contro politico e sociale. Sarebbe il caso di specificare con molta forza che la lotta è contro ogni forma di autonomia differenziata, essendo stato il centro sinistra venti anni fa ad aver modificato la Costituzione che ora si vuole difendere, creando le basi normative per l’attuale progetto di legge Calderoli, tanto più che molti del PD la sostengono se pure in una versione attenuata rispetto alla destre.
Saremo partecipi di questa manifestazione, a partire dalla sua organizzazione per renderla credibile sui luoghi di lavoro, ma essa deve essere veramente il trampolino di lancio per costruire lo sciopero generale cioè uno scontro politico e sociale molto forte che chiami in causa non solo il governo, ma anche la classe borghese capitalista. Se questo non sarà la Melone pur con qualche problema, riuscirà a portare a casa la sua legge finanziaria per il prossimo anno.
La partita è difficile, e la scelta del governo di attaccare lo stesso diritto di sciopero lo dimostra, ma non è chiusa. Ma appunto l’attività delle/dei militanti sindacali e sociali deve rendere credibile e desiderabile in ampi strati di lavoratrici e lavoratori la fattibilità e l’assoluta necessità di questo percorso di lotta intorno a una convergenza di obiettivi che cambi il clima sociale e politico stesso del paese, cioè i rapporti di forza.
*Sinistra Anticapitalista