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Dopo aver subito un crollo economico, l’economia venezuelana sta mostrando segni di ripresa grazie al rilancio della sua industria petrolifera“, si può leggere in un recente articolo apparso sul portale specializzato in idrocarburi Oil Price. Gli iraniani e i russi stanno giocando un ruolo decisivo in questa ripresa, senza contare che il governo di Nicolás Maduro sta pianificando lo sfruttamento del gas naturale con l’aiuto della compagnia statunitense Chevron e delle compagnie europee Repsol (Spagna) ed Eni (Italia).

In ogni caso, dire che qualcosa si sta riprendendo dopo un crollo brutale è qualcosa di un po’ vago. Tra il 2012 e il 2022, il PIL è infatti sceso da 372 miliardi di dollari a 93 miliardi di dollari. Solo nel 2022 si è registrata una crescita dell’8%, una cifra insignificante rispetto a quanto perso. Vero e proprio terremoto economico e sociale, l’inflazione era aumentata, fino al settembre 2018, con un ritmo del 233% al mese, mentre a febbraio 2019 l’iperinflazione, su base annua, aveva raggiunto il 2’295’981%, secondo le stime dell’Assemblea Nazionale.

Ma molte auto sono ora in circolazione, soprattutto i nuovi modelli, poiché il prezzo della benzina di 0,5 dollari al litro (che prima era quasi gratis) ha scoraggiato i conducenti di veicoli più vecchi dall’utilizzarli di nuovo. Molti di questi veicoli sono stati venduti a prezzi scontati da molti dei 7 milioni di migranti al momento della loro partenza: fino a 2’000 dollari per veicoli vecchi di dieci anni.

Prezzi e salari

Per restituire un po’ di movimento e di colore alle deserte e cupe strade venezuelane degli ultimi tempi, nel 2019 è stato necessario liberalizzare i prezzi, in contrasto con la pianificazione socialista chavista. Con la liberalizzazione dei prezzi, nei quartieri popolari sono sorte centinaia di bodegas [piccoli negozi] ben fornite e migliaia di negozi non registrati (informali). Vendono di tutto, dallo scotch e dal whisky americano a prezzi internazionali alla frutta tropicale per riempire lo stomaco di chi non può permettersi di comprare la carne: un kg costa il doppio del salario minimo.

Il risultato è che c’è molta offerta, ma non abbastanza consumatori. Le lunghe code del periodo di scarsità non sono più visibili, ma poche persone possono permettersi di mangiare fuori o di consumare prodotti importati, perché i redditi sono più che esigui. La rete di cooperative Cecosesola (Central Coperativa de Servicios Sociales del Estado de Lara) di Barquisimeto [capitale dello Stato di Lara] sostiene che nel caso delle verdure, ad esempio, “i loro prezzi all’ingrosso sono ben al di sotto del costo di produzione“.

Un insegnante riceve 300 bolivares al mese (11 dollari), ma un litro di olio costa 2 dollari, un chilo di farina 1 dollaro e un barattolo di margarina da 250 grammi 1,2 dollari. Il salario minimo è di 4 dollari (130 bolivares) e lo stipendio di un professore universitario è di 20 dollari. Le ceste alimentari consegnate dai CLAP (Comitati locali di approvvigionamento e produzione) sono sempre più rare e le consegne sono diventate molto irregolari.

Gli insegnanti sono in sciopero da nove mesi perché non possono permettersi nemmeno il biglietto dell’autobus per raggiungere il posto di lavoro, che costa 7 bolivares. Insegnano solo uno o due giorni alla settimana e il resto del tempo fanno fatica ad arrivare a fine mese. In alcuni quartieri, le famiglie si sono organizzate per fornire agli insegnanti un po’ di cibo e di trasporto, in modo che i loro figli possano frequentare le lezioni.

Dalla scarsità alla disuguaglianza

I problemi sono tutt’altro che risolti, anche se l’immagine di stabilità prodotta dall’abbondanza di beni favorisce il governo e scoraggia gli oppositori. La popolazione si sta dedicando a guadagnare un reddito solo per poter mangiare.

Tutti i venezuelani usano il dollaro, che combinano con il bolivar, nelle transazioni quotidiane, compresi gli acquisti di cibo e i trasporti. Dato che un venezuelano su cinque è emigrato, le rimesse giocano un ruolo decisivo nel riattivare i consumi. Uno dei problemi più gravi è che le rimesse vengono ricevute in modo molto disomogeneo. Le classi medie urbane tendono ad avere un familiare all’estero, cosa che non avviene per le classi popolari, che in gran parte devono accontentarsi dei sussidi e delle borse di studio che il governo distribuisce a caso.

Petrolio e repressione

I 3 milioni di barili di petrolio estratti dalla Petróleos de Venezuela SA (PDVSA) quando Hugo Chávez salì al potere nel 1999 erano scesi a 392’000 barili al giorno nel luglio 2020. Secondo Oil Price, entro maggio 2023 il Venezuela estrarrà 819’000 barili di petrolio al giorno, più del doppio del suo minimo storico, ma quattro volte meno di prima del crollo.

L’Iran ha inviato benzina, ma soprattutto ha fornito tecnici e pezzi di ricambio per rimettere in funzione la raffineria El Palito a Puerto Cabello (stato di Carobobo) e la raffineria Amuay nello stato di Falcón, due pezzi da museo che hanno rispettivamente 70 e 60 anni.

Nonostante gli sforzi degli alleati internazionali, i mesi di maggio e giugno 2023 sono stati caratterizzati da lunghe code di veicoli di ogni tipo che cercavano di rifornirsi di benzina. Non sembra esserci fine alle carenze in questo Venezuela di improvvisazione e apatia ufficiale. Tutto indica che il rilancio dell’economia è destinato a scontrarsi con infrastrutture obsolete, costruite per lo più negli anni Cinquanta.

Infatti, oltre agli accordi con Chevron, il governo prevede di utilizzare i 200’000 miliardi di piedi cubi di gas naturale del Venezuela [Un piede cubo equivale a circa 0.02831685 metri cubi], al decimo posto tra le riserve più importanti al mondo, per stimolare la crescita economica, e saranno sfruttati dall’italiana Eni e dalla spagnola Repsol, ha dichiarato a maggio a Bloomberg Pedro Tellechea, presidente di PDVSA.

La probabile espansione dell’economia sarà però possibile solo se saranno soddisfatte due condizioni preliminari. La prima è quella denunciata dal Programma venezuelano di educazione e azione per i diritti umani (Provea) nel suo rapporto 2021 – “25 anni di esecuzioni extragiudiziali in Venezuela: 1995-2020“: “In un contesto di crimini contro l’umanità (crímenes de lesa humanidad) sistematici e generalizzati“, secondo l’ONG, nel 2020 ci sono state 3034 esecuzioni extragiudiziali. Nel 2019 sono state 2012 e dal 2013, quando Maduro è salito al potere, sono state 7’000, una cifra scandalosa che non sembra impressionare alcuni progressisti della regione, ma che scoraggia le proteste.

Il secondo ostacolo a questa cosiddetta ripresa è la crescita delle disuguaglianze e della povertà. Nel suo rapporto sul 2022, Provea afferma che 6,5 milioni di venezuelani hanno sofferto la fame tra il 2019 e il 2021, che il 4,1% dei bambini soffre di malnutrizione acuta e che tra il 2012 e il 2022 la produzione agricola è diminuita del 50%.

Il rapporto aggiunge che “il Venezuela è uno dei Paesi con la maggiore disuguaglianza di reddito tra i suoi abitanti“, che si può notare semplicemente guardando le strade e le vie su cui circolano costosi SUV. La crisi sociale che minaccia il Venezuela potrebbe essere ancora più devastante dell’inflazione che ha distrutto l’economia. Anche se il regime sembra essersi consolidato, molti ritengono che le possibilità di costruire una società più giusta siano svanite.

*Articolo pubblicato sul settimanale uruguaiano Brecha il 30 giugno 2023; traduzione in italiano a cura del segretariato MPS.