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Non appena il Consigliere federale Parmelin ha menzionato la possibilità di una carenza di elettricità in Svizzera, l’UDC ha immediatamente colto l’occasione per presentare la propria soluzione: la costruzione di nuove centrali nucleari sarebbe ormai inevitabile. Stiamo assistendo a una rinascita di questa tecnologia, presentata come una soluzione per il futuro, 10 anni dopo il disastro di Fukushima?

Nell’ottobre 2021, il ministro dell’Economia Parmelin ha dichiarato che, secondo un rapporto sulla sicurezza dell’approvvigionamento elettrico, la Svizzera potrebbe soffrire di una carenza di elettricità a partire dal 2025, nella peggiore delle ipotesi.

Cogliendo l’occasione, l’UDC ha immediatamente organizzato un’operazione politica, attaccando il PSS e il suo ministro Sommaruga, nonché i Verdi, per la loro incompetenza in questo settore. È stata ventilata la nomina di un “generale”, come in tempo di guerra, che si occuperebbe della questione. Eppure su un tema così fondamentale l’UDC ha eluso due questioni importanti.

L’imprevedibilità dei costi

Pensiamo innanzitutto agli elevati e imprevedibili costi di costruzione. In Francia, paese pertanto con una lunga e forte tradizione nucleare, si stima che un nuovo EPR (reattore pressurizzato europeo di nuova generazione) costerà circa 10 miliardi di euro ciascuno, per una serie di sei reattori. Chi finanzierebbe le nuove centrali richieste dall’UDC? La Confederazione, le imprese private? Per il momento, i principali gruppi del settore elettrico sono rimasti in silenzio sull’argomento, così come la stessa UDC. Non si tratta di somme esigue. Come vediamo, la demagogia populista è sempre in azione!

I tempi di costruzione delle nuove centrali non sono compatibili con l’urgenza denunciata dalla stessa UDC. Se non ci saranno ritardi, la costruzione richiederà più di 10 anni. Anche i progetti basati su reattori più piccoli (SMR) non potrebbero essere portati a termine prima del 2029-2030.

Il cantiere di Flamanville-3 in Francia illustra tutte le aberrazioni di questa tecnologia EPR.

I lavori sono iniziati più di 13 anni fa e l’impianto non è ancora operativo – avrebbe dovuto essere messo in funzione nel 2012. Ora si prevede che sarà operativo non prima del 2024. Il mancato termine di costruzione è accompagnato anche da un’esplosione dei costi. Inizialmente stimato a circa 3 miliardi di euro, il costo del progetto è ora salito a 13 miliardi di euro, ovvero 4 volte tanto. Ciò rende la proposta dell’UDC piuttosto irrealistica, a meno che l’UDC non disponga di una bacchetta magica per aggirare questo ostacolo.

Il padronato rappresentato da EconomieSuisse è più cauta sul futuro dell’energia nucleare: “Le nostre centrali nucleari dovrebbero poter continuare a funzionare finché sono sicure, … se le centrali nucleari possono essere gestite in modo redditizio e se il problema dello smaltimento finale delle scorie viene risolto“.

Per il momento, tuttavia, non è stata trovata una soluzione definitiva per il trattamento e lo stoccaggio delle scorie altamente radioattive, il che rappresenta un grosso ostacolo al proseguimento dell’uso di questa tecnologia. Ricordiamo che non si tratta di rifiuti ordinari, ma di materiali in grandi quantità e volumi (il combustibile e le parti essenziali del reattore). Lo smantellamento di questi impianti rappresenta un’impresa gigantesca, la cui gestione e finanziamento sono ben lungi dall’essere risolti.

Aumentare l’età di pensionamento delle centrali atomiche?

La minaccia di una carenza di energia viene quindi usata come pretesto dai sostenitori del nucleare per prolungare la vita operativa delle attuali centrali. Originariamente progettate per funzionare per 20-30 anni, molte centrali in tutto il mondo stanno prolungando la loro vita operativa. Negli Stati Uniti, il Paese con il maggior numero di impianti ancora in funzione (93), l’età media supera i 40 anni. Anche in Francia, dove sono attualmente in funzione 56 reattori, alcuni impianti si stanno avvicinando ai 40 anni. Le quattro centrali svizzere hanno 38, 42, 49 e 52 anni. Chiaramente, più a lungo un impianto è in funzione, maggiore è il rischio di malfunzionamento a causa dell’inevitabile usura delle parti più sensibili. In caso di incidente grave, i territori sarebbero irradiati per periodi molto lunghi, costringendo le popolazioni a un esodo definitivo. Le centrali svizzere sono situate vicino alle principali città della Svizzera tedesca.

Basso rischio o alto pericolo?

È quindi totalmente irresponsabile continuare a promuovere questa tecnologia e presentarla come “sicura” e “controllata”. Il caso di Fukushima è stato ampiamente dimenticato. Eppure il Giappone avrebbe dovuto offrire tutte le garanzie di sicurezza che l’ex URSS non poteva offrire.

Se i calcoli delle probabilità di rischio fossero stati validi, gli incidenti di Chernobyl e Fukushima non sarebbero mai dovuti accadere. E senza il sacrificio di centinaia di tecnici e soccorritori, le conseguenze di questi disastri sarebbero state molto più drammatiche. Anche se un incidente è statisticamente piccolo, le conseguenze sociali sono inaccettabili.

Non si tratta di un rischio, come lo presentano i suoi sostenitori, ma di un pericolo grave che deve essere evitato rinunciando a qualsiasi nuova costruzione e chiudendo rapidamente gli impianti esistenti.

Tutta l’operazione di risanamento serve a nascondere il problema principale dell’uso civile dell’atomo: le conseguenze di un incidente che rilasci emissioni radioattive.

L’energia nucleare non è un’opzione accettabile. I suoi costi vertiginosi, la produzione di scorie altamente radioattive e i suoi pericoli inaccettabili la rendono una tecnologia da bandire al più presto dall’orizzonte energetico. L’onere dello smantellamento e delle scorie che ricadrà sulle generazioni future è già abbastanza grande. Esistono alternative e scenari che ci permettono di fare a meno dell’energia nucleare entro il 2040.

La miniaturizzazione: una soluzione?

La Francia è un caso particolare in Europa. È il Paese con il maggior numero di centrali nucleari in funzione, con 56 unità (negli Stati Uniti ce ne sono 93). Il Presidente Macron ha proposto di rilanciare un massiccio piano per la costruzione di nuovi impianti basati su una nuova tecnologia, il “piccolo reattore modulare” (SMR). Si tratta di unità di produzione di energia elettrica con una capacità inferiore (circa 340 MW) rispetto alle unità attuali o a quelle dei futuri reattori di tipo EPR (da 1 a 1,7 GW). Gli SMR dovrebbero essere più facili da produrre e meno costosi.
Presentati come una soluzione futura per la produzione di energia elettrica senza emissioni di CO2 e quindi in linea con la decisione di eliminare gradualmente gli idrocarburi, gli SMR presentano diversi svantaggi.
Non si prevede che vengano sviluppati per almeno altri quindici anni. Un unico prototipo esiste già in Russia, che non è esattamente il luogo migliore per svilupparli. Questi tempi lunghi non soddisfano quindi l’urgente necessità di ridurre rapidamente le emissioni di CO2. La loro produzione limitata significa che non possono essere pianificati come unità sostitutive per le centrali elettriche esistenti e obsolete.
Sembra che l’obiettivo principale di questa soluzione sia quello di riabilitare l’atomo come fonte di energia e di convincere l’opinione pubblica della necessità di perseverare in questa direzione per estendere la durata di vita degli impianti attuali e pianificare la loro sostituzione con reattori di tipo EPR.

* membro dell’associazione “Sortir du nucléaire”.

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