Pubblichiamo qui di seguito il documento presentato oggi dai deputati dell’MPS con il quale si analizza il messaggio presentato a metà luglio dal governo sulle cosiddette misure di compensazione a seguito della decisione di ridurre il tasso di conversione con la conseguente riduzione delle rendite. (Red).
1.Il Consiglio di Stato dà ragione agli assicurati IPCT
Da ormai oltre un anno le assicurate e gli assicurati all’IPCT si mobilitano per scongiurare un nuovo taglio alle proprie rendite pensionistiche. Alla guida del movimento, l’associazione ErreDipi sostiene che gli assicurati non sono responsabili delle attuali difficoltà dell’ICPT.
Anzi! Gli assicurati, dal 2013, siano essi attivi o pensionati, hanno già contributo al risanamento della Cassa attraverso:
- il versamento di un contributo di risanamento dell’1%;
- la diminuzione delle rendite (mediamente del 20%);
- l’attribuzione d’interessi sugli averi di vecchiaia fortemente al di sotto dei rendimenti ottenuti dagli investimenti del patrimonio della cassa e di quanto promesso nel 2012;
- il taglio delle rendite di vedovanza in aspettativa del 10-25%%;
- la mancata compensazione dell’inflazione sulle rendite;
Questa analisi trova ora esplicita conferma nel messaggio licenziato dal Consiglio di Stato. A pag. 9 scrive il governo:
“Tale perplessità trova l’accordo del Consiglio di Stato: gli attuali dipendenti attivi non sono in alcun modo all’origine della sotto-copertura e dei bisogni di risanamento dell’Istituto, dovuti essenzialmente al deficit di finanziamento nel vecchio regime in primato delle prestazioni e al deficit di finanziamento delle misure transitorie ex art. 24 LIPCT, per cui non pare equo richiedere loro anche un contributo a fondo perso tramite trattenuta salariale (di fatto già partecipano al risanamento ogni qualvolta IPCT attribuisce agli averi di vecchiaia, anno per anno, un interesse inferiore al rendimento conseguito dal patrimonio, vista la necessità di seguire il cammino di finanziamento)”.
Il problema della sottocopertura e dei bisogni di finanziamento della cassa non ha un collegamento diretto con il livello delle rendite se ci soffermiamo sul fatto che questo livello è il risultato del rapporto tra avere di vecchiaia e tasso di conversione. Ma questo solo ad un livello diretto. Più indirettamente, ma non per questo non meno fondamentalmente, le due discussioni sono collegate (quella sulla sotto-copertura e quella sul livello delle rendite). Questo perché l’attribuzione sistematica di un interesse inferiore sugli averi di vecchiaia rispetto ai rendimenti ha avuto come effetto di deprimere l’evoluzione degli averi di vecchiaia. E più gli averi di vecchiaia sono ridotti, più ridotta sarà la rendita pensionistica.
A ciò si aggiunge il fatto che una parte considerevole dei contributi trattenuti (versati dai dipendenti e dal datore di lavoro) non vengono accreditati agli averi di vecchiaia dei singoli assicurati, ma di fatto vanno a contribuire al risanamento della cassa e al pagamento delle prestazioni attuali e future. La percentuale media (calcolata su tutta la carriera lavorativa) è del 15% dei contributi versati che non viene accreditata ai singoli assicurati. Approssimativamente la somma totale non accreditata agli assicurati dal 2013 ad oggi è di circa 300 milioni di franchi.
2. Il prossimo taglio delle rendite è dietro l’angolo
In base alle intenzioni dell’IPCT il tasso di conversione verrà portato dall’attuale 6,17% al 5.25%. Il messaggio stesso lascia però chiaramente intendere che a medio termine si procederà ad un ulteriore taglio delle rendite. Oggi il CdS propone l’obiettivo di un tasso di conversione del 5.25% ammettendo esplicitamente che tale cifra non corrisponde al tasso matematico che con l’attuale tasso tecnico del 2% e l’attuale aspettativa di vita non potrebbe essere maggiore al 4.86%:
“Come evidenziato in una delle precedenti tabelle, il tasso di conversione finale pianificato non è completamente neutrale, e, una volta a regime, rimarranno comunque dei costi annui di pensionamento residui a carico della cassa, che sono però valutati dall’IPCT e dal suo Perito come sopportabili.”
La differenza tra questi due tassi di conversione, e meglio tra il tasso matematico del 4.86% ed il tasso proposto del 5.25%, corrisponde a 0,39 punti percentuali. Riprendendo i dati contenuti nel messaggio questa differenza percentuale corrisponde a circa 25 milioni di costi annui di pensionamento residui a carico della cassa. Su quali basi essi siano sopportabili non è dato sapere.
A nostro avviso la cassa ed il governo, con buona pace del perito, hanno costruito il tasso di conversione e le relative misure di compensazione su basi politiche e, meglio, sul compromesso minimo tra forze di governo e sindacali cosi da poter pensare di convincere in ultima istanza (in caso di referendum) la maggioranza della popolazione. Fra qualche anno, scommettendo e sperando in una demoralizzazione del personale, si tornerà alla carica riducendo, questa volta senza neppure la parvenza di misure d’accompagnamento, il tasso di conversione al 4.86%.
Quest’ultimo scenario è assai verosimile alla luce di quanto successo nel passato. Facciamo riferimento in particolare alla riforma del 2012 (con il 20% di diminuzione delle rendite) che aveva visto la stessa configurazione attuale: quasi tutti i partiti favorevoli, l’accordo dei sindacati e l’opposizione (blanda) di Lega-UDC e quella risoluta e netta dell’MPS.
Sono passati 10 anni da quell’accordo “condiviso” ed eccoci nuovamente al punto di partenza. Considerazioni analoghe potrebbero essere svolte con quanto successo con i due messaggi e le due proposte per un versamento straordinario (poi trasformato in prestito) all’IPCT. Un fallimento su tutta la linea.
3. Aumento dei contributi e degli averi di vecchiaia
L’unico elemento d’intervento proposto nel messaggio è la possibilità di aumentare il prelievo dei contributi (del datore di lavoro e del lavoratore) pari al 3%. Esso è composto da un aumento dell’1,8% (60% dell’aumento) a carico degli assicurati e dell’1,2% a carico del datore di lavoro. [1]
Per quel che riguarda i contributi ordinari (cioè quelli che effettivamente alimentano l’avere di vecchiaia) dopo questo aumento la suddivisione sarà del 49,2% a carico degli assicurati e del 50,8% a carico del datore di lavoro. Un peggioramento rispetto alla situazione attuale che vede i contributi a carico degli assicurati pari al 47,5% di fronte al 52,5 % a carico del datore di lavoro. Questa situazione nel paragone con altre casse, è sostanzialmente sfavorevole ai salariati. Una conferma ci viene dallo stesso messaggio del CdS:
“Se invece si osservano solo i contributi ordinari si nota come la maggioranza delle altre casse pensioni offra una suddivisione nettamente più attrattiva per il dipendente”
Complessivamente, sulla questione dei contributi ordinari, si può affermare che essi sono in parte preponderante a carico degli assicurati e che il loro aumento peggiora la suddivisione di questi contributi tra assicurati e datore di lavoro.
Naturalmente, accanto ai contributi ordinari, vi sono i contributi straordinari e quelli di risanamento (3% + 4% per un totale del 7%). Contributi che attualmente sono quasi interamente a carico del datore di lavoro (6%) e che in futuro saranno unicamente a suo carico. Ma va ricordato che questi contributi non vanno ad alimentare gli averi di vecchiaia degli assicurati e che essi sono il frutto di una gestione della cassa della quale gli assicurati non sono assolutamente responsabili. Con questi contributi il datore di lavoro non fa altro che porre rimedio, e solo in parte, a una situazione che, nel corso di quasi tre decenni, si è deteriorata sulla base di scelte che gli organi della cassa (nella quale siedono i rappresentanti del Consiglio di Stato e quelli delle organizzazioni sindacali) ed i partiti di governo hanno adottato, incuranti di questo deterioramento. E del quale – lo ripetiamo – come indica il messaggio dello stesso governo, in nessun modo possono essere ritenuti responsabili gli assicurati. Scelte diverse avrebbero potuto condurre ad una situazione radicalmente diversa.
4.Trasferimento occulto di contributi dagli averi di vecchiaia individuali all’IPCT
In relazione al tema dei contributi ordinari trattenuti dobbiamo inoltre attirare l’attenzione su un’anomalia (voluta) contenuta nella legge. L’articolo 11 indica l’ammontare dei contributi trattenuti pari, attualmente, al 22.1% del salario assicurato. Nulla viene però detto sulla destinazione di tale trattenuta eccezion fatta per il premio rischio invalidità e morte del 2.2%. Competenza, quella degli accrediti di vecchiaia, attribuita al CdA di IPCT attraverso il suo regolamento.
È evidente che tale contributo ordinario netto del 19.9% dovrebbe essere interamente destinato ad alimentare l’avere di vecchiaia dei singoli assicurati. Nei fatti però solo una parte di tale contributo è destinato a tale scopo: 13% (da 20 a 34 anni), 16% (35 a 44 anni), 19% (45 a 54 anni), 22% (55 a 65 anni).
In media, sull’arco dell’intera carriera lavorativa, il mancato versamento ammonta al 15% dei contributi totali. Si tratta di un trasferimento occulto dagli averi di vecchiaia del personale all’IPCT. Dal 2013 ad oggi la somma totale si aggira sui 300 milioni di franchi.
5. Passaggio di competenze dal Gran Consiglio al Consiglio di Stato ed al CdA di IPCT
Ma la proposta contenuta nel messaggio ha un’altra insidia che non può essere in nessun caso sottovalutata. Ci riferiamo alla cosiddetta proposta di correggere gli elementi di “rigidità” contenuti nella LIPCT, quelle “inflessibilità” che non permetterebbero all’IPCT di adattarsi alle evoluzioni economiche e demografiche. Da qui la proposta di modificare alcuni articoli della LIPCT:
“Per evitare un modello troppo rigido, la proposta concreta prevede di inserire nella legge una forchetta, sia per l’ammontare complessivo del nuovo contributo supplementare, situato tra un minimo dello 0% ed un massimo del +4% dei salari assicurati, sia per la sua ripartizione tra dipendenti e datori di lavoro (tra un minimo del 50% e un massimo del 70% per la parte dipendenti; queste percentuali sono dettate dal fatto che, come si dirà in seguito, si propone di trasferire l’1% di contributo di risanamento a carico dei dipendenti ai datori di lavoro)” (pag. 8).
“Secondo il perito questo articolo si scontra (come altri) con l’art. 50 cpv. 2 LPP, secondo cui l’Ente di diritto pubblico può definire solo il finanziamento (o le prestazioni), ma non entrambe. Vista la contemporanea esistenza dell’art. 11 LIPCT sul finanziamento, è palese che l’intenzione principale del legislatore era quella di fissare i contributi. Pertanto l’art. 6 sulle prestazioni non ha ragione d’essere, tanto più che non contiene nulla di straordinario o transitorio, ma si limita ad elencare le abituali prestazioni della previdenza professionale. “(pagina 18)
Questa flessibilità di fatto rappresenta una modifica fondamentale dell’attuale assetto, poiché trasferirebbe parte delle competenze sui contributi dal Gran Consiglio al Consiglio di Stato e al CdA di IPCT e quindi pone un serio problema di controllo democratico.
Gli ultimi anni hanno dimostrato come il CdA di IPCT (di concerto con il CdS) abbia sempre agito in modo poco trasparente rispetto alle proprie decisioni.
Clamorosa la decisione di tagliare le rendite vedovili del 10-25% presa durante la campagna per la elezione dello stesso CdA e con i rappresentanti degli assicurati che si sono guardati bene da qualsiasi “consultazione” degli assicurati. Questo dimostra quanto essi siano poco “rappresentativi” di chi pretendono di “rappresentare”.
Certo il Gran Consiglio non è stato migliore nelle sue decisioni ma, almeno, questo avviene sulla scena pubblica, permette una discussione e permette agli assicurati di intervenire e anche di mobilitarsi.
Lo stesso modo in cui è stata condotta la trattativa attorno alle proposte oggetto dell’attuale messaggio del governo (frutto dell’accordo con delle sigle sindacali amiche e “riconosciute” dal governo) è avvenuto nella più totale mancanza di trasparenza o di procedure di consultazione degli assicurati. Né prima della trattativa, né tanto meno alla conclusione, nessun organismo sindacale di queste organizzazioni, né tantomeno il grosso degli assicurati sono stati investiti per una ratifica dell’accordo sul quale si fonda il messaggio del governo.
Certo, molti problemi di rappresentanza sono legati al fatto che non necessariamente gli attuali rappresentanti degli assicurati in seno al CdA di IPCT – espressione delle organizzazioni sindacali – sono effettivamente “rappresentativi” degli assicurati; ma le strutture stesse di IPCT, il ruolo e i compiti assegnati al CdA frenano fortemente questa “rappresentatività” dove confliggono costantemente la difesa degli interessi degli assicurati e quelli della Cassa in quanto tale.
Infine va richiamato il fatto che non è scontato quale sarà la decisione finale del Gran Consiglio in merito all’aumento dei contributi ordinari e alla loro ripartizione: non sarebbe la prima volta che il Consiglio di Stato, di fronte all’opposizione di una sola parte del Parlamento, abbandona le proprie posizioni: significativo il destino del messaggio del gennaio 2020 sul versamento straordinario di 500 milioni.
6. Misure di competenza di IPCT
Il messaggio e un recente comunicato di IPCT (che riprende ampi stralci di quanto contenuto nel messaggio) confermano come, accanto alle misure di competenza del datore di lavoro (in particolare l’aumento dei contributi), vi sia tutta una serie di misure di competenza della cassa.
Il punto fondamentale è quello legato a misure di compensazione per gli assicurati vicini all’età di pensionamento e che quindi, malgrado l’aumento dei contributi, non avrebbero il tempo necessario per recuperare un livello di averi di vecchiaia in grado di compensare la diminuzione dei tassi di conversione che si susseguiranno nei prossimi 8 anni.
Si tratta delle cosiddette “Allocazioni individuali per accrescere il capitale di vecchiaia”; qui le indicazioni precise:
“Come visto in precedenza, l’aumento dei contributi ricorrenti annui del +3% non basta a minimizzare la riduzione delle rendite dei futuri pensionati che non hanno una carriera completa davanti a sé. Il CdA intende pertanto allocare degli accrediti individuali una tantum, con effetto 01.01.2025, a tutte le persone risultanti affiliate a IPCT in data 31.12.2023 contenendo così la riduzione massima delle rendite ad un – 2%, onere ritenuto sopportabile dal Perito in materia di previdenza professionale dell’IPCT in virtù dell’accantonamento per misure compensatorie. Tale contributo è finalizzato al sostegno del livello delle pensioni e non verrà pertanto allocato né alle persone che lasciano IPCT prima del pensionamento, né sui capitali prelevati a contanti al momento del pensionamento” (pag. 17).
Il meccanismo di attribuzione non è chiaro; ma è chiaro che queste misure di compensazione da parte della cassa potranno entrare in vigore solo nella misura in cui il Parlamento accoglierà l’aumento dei contributi così come proposto:
“In particolare l’attribuzione individuale dei supplementi di avere di vecchiaia potrà essere confermata solo in quel momento, perché in assenza della componente di intervento sui contributi, l’attribuzione individuale andrebbe ricalibrata e ridefinita” (pag. 16).
Ma da dove proviene il finanziamento di queste misure di compensazione? Il messaggio (pag. 16) ci indica che
“…è stata finanziata negli anni scorsi, da un lato allocandovi una parte del rendimento conseguito dal patrimonio di IPCT, e dall’altro riducendo gli impegni per le rendite vedovili in aspettativa (per decesso di un pensionato) dal precedente 66.67% della rendita di vecchiaia o invalidità al nuovo 60% (seguendo lo standard del mercato) o al 50% (per i pensionati prima del 2013 o per i beneficiari delle norme transitorie ex art. 24 LIPCT, ossia per coloro che hanno goduto di rendite calcolate secondo il precedente piano in primato delle prestazioni”.
I due accantonamenti sono stati creati con misure che hanno colpito gli assicurati; la mancata attribuzione di rendimenti maggiori che hanno depresso gli attuali averi di vecchiaia; il taglio di prestazioni, in particolare le rendite vedovili ed il trasferimento occulto di parte dei contributi ordinari.
Si tratta quindi di misure di compensazione che gli assicurati hanno preventivamente finanziato, vedendosi ridotte le prestazioni finanziarie o le rendite future.
Questa situazione ci porta a riflettere su un altro aspetto fondamentale dell’accordo: e cioè il fatto che le misure di compensazione per tutte le classi di età più vicine al pensionamento saranno a carico non del datore di lavoro (che se la cava con un modesto 1,2% di aumento dei contributi), ma a carico della cassa, cioè fondamentalmente con il contributo degli assicurati che hanno dovuto rinunciare a delle prestazioni e a minori accrediti di vecchiaia.
È quanto successo, né più né meno, con la riforma di 10 anni fa. Con essa di fatto si è caricato sulla cassa l’assunzione della maggior parte dei costi derivanti per la garanzia delle prestazioni dei lavoratori che avevano più di 50 anni al momento. La storia si ripete e si ripete male.
Da qui la necessità di utilizzare questa nuova riforma della Legge IPCT per sanare gli errori commessi nel 2012 e nel 2022 in relazione al contributo di ricapitalizzazione del datore di lavoro dell’IPCT e dunque l’ente pubblico. L’articolo 16 della legge nel quale viene indicato l’ammontare di tale ricapitalizzazione che tutti riconoscono oggi nettamente insufficiente deve essere modificato.
7. Altro che semplici adattamenti tecnici
Con il messaggio si tenta, con nonchalance, di introdurre alcune modifiche sostanziali della legge IPCT facendole passare per adattamenti tecnici. Tra di queste, lo stralcio dell’ammontare del contributo sostitutivo AVS. Ossia quel contributo, pari oggi al 80% della rendita AVS (con 35 anni di contribuzione) che viene versato durante il periodo di prepensionamento. In futuro spetterà al CdA definire l’ammontare di tale contributo sostitutivo. E quali rassicurazioni abbiamo che in futuro, così come fatto in gran segreto per le rendite di vedovanza, il CdA non procederà ad un decurtamento di tale rendita?
Oppure, ancora, la possibilità per la cassa di introdurre piani di pensionamento alternativi fondati su un versamento diverso dei contributi decisi dai salariati. Un chiaro tentativo di creare pensioni a più velocità e eliminare qualsiasi elemento di solidarietà ancora sussistente malgrado il passaggio al primato dei contributi avvenuto nel 2012.
8. Prime conclusioni
Le proposte di modifica legislative contenute nel messaggio, che riprende l’accordo concluso tra sindacati e governo, non sono, e per più ragioni, convincenti e non garantiscono agli assicurati le attuali rendite:
a) I dati relativi alla possibilità che l’aumento dei contributi previsto possa permettere di evitare sul medio-lungo periodo una diminuzione delle rendite. Questo non solo perché le varianti in campo sono numerose e imponderabili (ma questo, va da sé, è strettamente legato a tutti i sistemi di capitalizzazione), ma perché si presuppone qui, onde non subire diminuzione di rendite future, una carriera completa di 40-45 anni: “Con questa misura, di competenza delle Istituzioni politiche cantonali, viene raggiunto l’obiettivo di permettere alle persone con una carriera completa davanti a sé (40/45 anni di contributi) di non subire praticamente alcuna riduzione della rendita di vecchiaia” (pag. 1).” Ora questa ultima ipotesi appare assai inverosimile. Non possiamo poi non notare come questa ipotesi, al pari della nuova scala salariale introdotta pochi anni fa e che ha comportato un allungamento delle carriere – dai 10-15 anni a 25 anni), configuri, ancora una volta, una discriminazione di genere poiché, per molte ragioni, le donne non riescono quasi mai ad avere lunghe e complete carriere lavorative nell’amministrazione pubblica.
b) l’aumento dei contributi è in gran parte a carico degli assicurati (il 60%). Si tratta di una perdita sul salario disponibile (leggermente minore se riferita al salario AVS e non al solo salario assicurato) che, comunque, gli assicurati-lavoratori si porteranno dietro, cumulandola, per tutta la durata della propria carriera lavorativa. Il messaggio non affronta il problema del trasferimento occulto di parte dei contributi di vecchiaia dai singoli assicurati all’IPCT cosi come una retribuzione parziale degli averi di vecchiaia.
c) le misure di compensazione prevista da IPCT sono fondate da un lato su una restituzione parziale di perdite di gran lunga maggiore subite dagli assicurai sui propri averi di vecchia nel corso degli anni a seguito della bassa remunerazione dei capitali e del trasferimento occulto di parte dei contributi ordinari e quindi un contenuto aumento degli averi di vecchiaia; dall’altro su un taglio a prestazioni (rendite vedovili). Per i lavoratori e le lavoratrici più anziani il datore di lavoro non verserà alcuna compensazione.
d) pur non essendo direttamente legato all’accordo e al messaggio presentato dal governo (pur avendo implicazioni importanti) il problema del cosiddetto “risanamento” di IPCT resta intatto. Il legame è dato dal fatto che una analisi approfondita di questa necessità di risanamento dimostrerebbe come i problemi legati al rapporto tra averi di vecchiaia e tasso di conversione sia in parte collegato anche ad un insufficiente finanziamento della cassa negli scorsi decenni (da cui anche la necessità di “risanamento”).
Il problema resta irrisolto nella misura in cui il primo messaggio (gennaio 2020) per un versamento di un contributo di 500 milioni non è nemmeno stato sottoposto alla decisione del Parlamento; il secondo (quello relativo a un prestito di 700 milioni approvato dal Parlamento nell’aprile del 2022) non ha trovato nessuna pratica applicazione.
Possiamo quindi concludere che in gran parte sono gli stessi assicurati a finanziare le cosiddette misure di compensazione. Da questo punto di vista l’accordo alla base del messaggio non appare per nulla convincente; e nemmeno tale da garantire che non vi saranno in un futuro non molto lontano ulteriori misure che andranno a toccare rendite e salari degli assicurati.
9. Proposte legislative del Movimento per il Socialismo
Sulla base di quanto abbiamo fin qui indicato è evidente che il messaggio del governo non possa essere da noi accolto in quanto tale e che ci batteremo per una serie di modifiche; questo sia in seno alla discussione sul messaggio, sia attraverso la proposta di modifiche ulteriori alle disposizioni di legge. I nostri interventi si struttureranno attorno ai seguenti punti:
- Ampliamento della cerchia degli assicurati agli enti di diritto e pubblica utilità, sussidiati in modo ricorrente dal Cantone ed ai dipendenti USI e Supsi
- Aumento del supplemento sostitutivo della rendita AVS/AI dal 80% al 100% e finanziamento interamente a carico del datore di lavoro;
- Inserimento nella legge del concetto che il contributo ordinario deve essere utilizzato nella sua totalità per alimentare gli accrediti di vecchiaia
- Soppressione del blocco dell’adeguamento delle pensioni al rincaro
- Definizione dell’ammontare minimo degli interessi sugli averi di vecchiaia (tasso tecnico maggiorato del 1%)
- Aumento dell’importo a carico del Cantone per la ricapitalizzazione da 454 a 954 milioni (da versare entro il 31.12.2051)
- Allineamento dell’obiettivo del grado di copertura alla legislazione federale (riduzione dal 85% al 80%).
- Nomina dei rappresentanti del datore di lavoro nel CdA dell’IPCT da parte del Gran Consiglio e non più da parte del Consiglio di Stato.
[1] tabella e confronti con l’attuale situazione a pag.9.