Tempo di lettura: 6 minuti

Big Oil diventa carbon neutral? Come le compensazioni di carbonio influiscono sulle comunità locali e indigene

Le imprese produttrici di combustibili fossili utilizzano sempre più la compensazione delle emissioni di carbonio per affermare che stanno diventando carbon neutral. I giganti del petrolio e del gas come BP, Shell , Total Energies ed Eni hanno tutti utilizzato crediti di carbonio per fornire i cosiddetti combustibili fossili “carbon neutral”.  Inoltre, le strategie per le emissioni “zero netto” a lungo termine di Eni , Shell , TotalEnergies , Chevron ed ExxonMobil includono notevoli quantità di compensazione delle emissioni di carbonio.
Secondo un rapporto diffuso da Shell, entro il 2030 a livello globale verranno compensate fino a 1,5 milioni di tonnellate di CO2 per un valore compreso tra 10 e 40 miliardi di dollari, rispetto ai 2 miliardi di dollari del 2021. 
Ora, quattro recenti casi di studio registrati nell’Atlante globale della giustizia ambientale (EJAtlas) rivelano che i diritti delle popolazioni indigene vengono sistematicamente violati attraverso l’espropriazione delle terre, la violenza, la militarizzazione dei loro territori ancestrali, la perdita di accesso a risorse naturali vitali e la privazione dei diritti civili.  Allo stesso tempo, tutti i progetti studiati vendono crediti di carbonio, e in tre di essi i ricavi sono soggetti ad accordi finanziari poco chiari che emarginano ed escludono le comunità locali.

Come funzionano le compensazioni di carbonio?

Le imprese produttrici di combustibili fossili acquistano crediti di carbonio sul mercato volontario per compensare le emissioni associate ai loro prodotti. Ogni credito di carbonio “compensa” una tonnellata di CO2.
I crediti sono “prodotti” da progetti privati ​​di compensazione che dichiarano di assorbire CO2, come le piantagioni forestali, o da iniziative che pretendono di evitare le emissioni, come progetti per l’energia rinnovabile o la prevenzione della deforestazione, detti anche progetti REDD+, che rappresentano circa il 40 per cento dei crediti di carbonio sul mercato volontario.

[Per chiunque si batta per un clima più sicuro e una giustizia globale, è imperativo opporsi ai mercati volontari del carbonio e al loro utilizzo per presentare dichiarazioni fraudolente di neutralità delle emissioni di carbonio da parte delle società di combustibili fossili.]

I certificatori dei crediti di carbonio, in linea di principio, garantiscono che qualsiasi progetto di riduzione delle emissioni porti reali benefici climatici. 
La chiave per emettere crediti di carbonio da un progetto REDD+ è determinare il tasso di deforestazione di base in aree di riferimento che hanno caratteristiche simili. Il tasso di deforestazione osservato nell’area del progetto viene quindi sottratto dal valore di riferimento per determinare l’“addizionalità” (deforestazione prevenuta) risultante dall’attuazione del progetto.

I progetti REDD+ vendono crediti di carbonio “senza valore”

Tuttavia, un’indagine congiunta di The Guardian , Die Zeit e SourceMaterial ha rivelato che il 94% delle compensazioni di carbonio REDD+ certificate da Verra – il principale certificatore mondiale di crediti di carbonio – sono “inutili”.  
Fondamentalmente, gli scenari di base sono scelti appositamente, e i programmi di conservazione delle foreste non portano ad alcuna riduzione aggiuntiva misurabile di CO2. Verra riceve una commissione per ogni credito approvato, creando un chiaro conflitto di interessi che incentiva la sopravvalutazione dei crediti di carbonio che possono essere venduti.
I critici hanno a lungo ipotizzato che le compensazioni di carbonio non siano altro che aria fritta per consentire all’industria dei combustibili fossili di vendere combustibili fossili senza sensi di colpa . Anche alcuni broker di crediti di carbonio hanno definito i combustibili fossili carbon neutral come “ovvie sciocchezze”. Nei quattro recenti casi di studio aggiunti all’EJAtlas, è stato riscontrato che ciascun progetto REDD+ analizzato aveva una “linea di base gonfiata” che esagerava notevolmente la prevenzione della deforestazione.
Nel caso del Parco Nazionale Cordillera Azul (PNCAZ) in Perù e della Riserva indigena della giungla Matavén in Colombia, i ricercatori non hanno riscontrato alcuna “addizionalità” perché alle aree era già garantito lo status di protezione legale prima dell’istituzione dei progetti REDD+. In altre parole, il progetto sul carbonio non può fermare la deforestazione in un’area che già dispone di misure preventive funzionanti.
Allo stesso modo, nei casi di Kariba REDD+ in Zimbabwe e del Luangwa Community Forest Project in Zambia, le aree del progetto si trovano intorno ai parchi nazionali che hanno lo status protetto. A Luangwa, i principali fattori di deforestazione dell’area di riferimento sono risultati totalmente diversi da quelli dell’area di progetto.

Le comunità locali ricevono pochi benefici economici

I ricavi derivanti dalla vendita di compensazioni di carbonio sono destinati a beneficiare le comunità che vivono nell’area del progetto fornendo alternative ai mezzi di sussistenza che teoricamente causano la deforestazione. Tuttavia, è normale che i broker del carbonio che mediano tra le società private e le organizzazioni che gestiscono i progetti di compensazione si prendano una parte significativa delle vendite.
Il broker di crediti di carbonio South Pole, che si sottopone al Verified Carbon Standard di Verra per la verifica di alcuni dei suoi progetti, riceve una commissione per ogni credito venduto ad acquirenti internazionali. South Pole, è stato messo sotto esame dopo che si è scoperto che uno dei suoi progetti di punta, Kariba REDD+, ha emesso fino a 30 volte più crediti di quanto avrebbe dovuto. Le indagini hanno rivelato che i dirigenti di South Pole sapevano che questo era un problema e alcuni dipendenti si sono addirittura dimessi a causa delle rivelazioni.
Inoltre, South Pole ha guadagnato il 73% in più in commissioni da Kariba REDD+ rispetto a quanto formalmente concordato attraverso la speculazione sul mercato del carbonio. Le ONG e le imprese che hanno implementato i progetti REDD+ in tutti e quattro i casi di studio hanno contratti di distribuzione finanziaria non verificabili.
Questi intermediari hanno lo scopo di garantire che i ricavi derivanti dalla vendita dei crediti siano distribuiti alle comunità attraverso accordi giuridicamente vincolanti, ma poiché non esistono regolatori, le comunità territoriali sono vulnerabili e possono essere sfruttate dai promotori dei progetti. In entrambi i casi in Africa si è scoperto che le imprese del progetto erano registrate in paradisi fiscali e in un paradiso fiscale è stata creata addirittura una criptovaluta per vendere crediti provenienti dal progetto Kariba REDD+.
Nel caso di PNCAZ, le comunità Kichwa non hanno chiarezza sulla vendita dei crediti di carbonio e non hanno ricevuto alcun beneficio finanziario o economico dalla ONG che gestisce il progetto. Le transazioni finanziarie opache lasciano un enorme divario nella responsabilità che rende le comunità indigene e territoriali previste potenziali vittime di appropriazione indebita.

I bisogni fondamentali e le tradizioni delle comunità locali vengono negati

Nel PNCAZ, alcune comunità agricole sono state rimosse dal territorio per far posto all’area protetta e, invece di rimuovere alcuni villaggi Kichwa, i confini del parco sono stati tracciati appositamente per escluderli dall’area protetta. Per queste comunità Kichwa, ciò significava che non potevano più cacciare, pescare, foraggiare o coltivare nel loro territorio ancestrale senza permessi ufficiali che limitassero il numero di giorni in cui possono entrare nell’area protetta, con conseguente perdita di mezzi di sussistenza e persino di malnutrizione in alcuni casi.
Le comunità Kichwa subiscono anche l’invasione dei loro territori da parte di taglialegna illegali e coltivatori di coca, e quando i membri della comunità denunciano questi casi, vengono ignorati dalle autorità locali perché non hanno diritti di proprietà fondiaria legalmente riconosciuti. Nonostante ciò, i membri della comunità Kichwa hanno ricevuto minacce di morte dai trafficanti di droga affinché rimanessero in silenzio.  A Kariba e Luangwa, i casi studio hanno rivelato la privazione dei diritti civili delle comunità locali per quanto riguarda la governance del progetto.
I membri della comunità non comprendono il progetto e stanno perdendo il loro tradizionale rapporto con i loro territori a causa del timore di pattuglie armate e di restrizioni su chi può utilizzare la terra per il foraggiamento o la caccia. Tuttavia queste restrizioni non si applicano ai clienti paganti che si recano nelle aree del progetto per il turismo safari.  Nel caso di Luangwa, Eni è arrivata addirittura a diventare partner governativo del progetto REDD+, senza però mantenere le promesse fatte ai residenti. Quest’anno, una troupe giornalistica italiana ha scoperto che il colosso petrolifero aveva costruito una nuova classe a Luangwa ma si era rifiutato di affidare l’edificio alla scuola, lasciandolo vuoto per oltre un anno.

È violato il diritto al consenso libero, preventivo e informato

I processi per il consenso libero, preventivo e informato (FPIC) delle comunità locali sono richiesti dagli standard delle Nazioni Unite per l’avvio di progetti REDD+.  Tuttavia, nel caso della PNCAZ, le comunità Kichwa hanno vinto una causa nell’aprile di quest’anno contro il governo peruviano per aver violato i loro diritti FPIC, portando il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale a chiedere formalmente un’azione urgente da parte dello Stato.  A Luangwa, uno dei partner del progetto, USAID, ha addirittura ammesso che il processo FPIC era insufficiente e, in tutti i casi di studio, le comunità territoriali non comprendevano il concetto astratto di crediti di carbonio.
La domanda rimane: qualche comunità acconsentirebbe se capisse che la vendita di compensazioni di carbonio giustifica maggiori emissioni e, in definitiva, minaccia la sopravvivenza a lungo termine dei loro territori a causa delle conseguenze dell’aumento delle temperature e degli eventi meteorologici estremi? 
Nel caso della riserva Matavén, le 16 comunità indigene hanno creato una struttura politica che le ha aiutate a ottenere diritti di proprietà fondiaria costituzionalmente riconosciuti prima di avviare il progetto REDD+ nel loro territorio. Dei quattro casi di studio, questo è stato il fattore determinante che ha ridotto gli effetti negativi e massimizzato i benefici del progetto sul carbonio per le sei Prime Nazioni [i Popoli Originari, ndt] che gestiscono il territorio.
Nonostante ciò, alcune interviste con la popolazione locale hanno rivelato lamentele nei confronti di una visione ristretta della conservazione che colpisce le pratiche e le conoscenze tradizionali indigene, che gli studi hanno scoperto essere vitali per il mantenimento della biodiversità.

No alle compensazioni di carbonio, sì al debito climatico

I progetti di compensazione del carbonio REDD+ non vendono solo crediti di carbonio che giustificano la perpetuazione del modello dei combustibili fossili.  Riproducono anche ingiustizie storiche e rapporti di potere asimmetrici in cui i ricchi, le minoranze bianche e occidentali traggono profitto, e le comunità indigene razzializzate, soprattutto nel Sud del mondo, ne subiscono gli impatti. È un’estensione della logica che ha visto una minoranza raccogliere i benefici del sistema fossile nell’ultimo secolo e mezzo, mentre la maggioranza è lasciata a subire gli impatti peggiori della crisi climatica ed ecologica.
Le élites ricche e occidentali hanno contratto un debito climatico ed ecologico con tutte quelle persone che hanno contribuito pochissimo all’attuale crisi, ma che sono le prime ad esserne colpite. Per chiunque si batta per un clima più sicuro e una giustizia globale, è imperativo opporsi ai mercati volontari del carbonio e al loro utilizzo per presentare dichiarazioni fraudolente di neutralità delle emissioni di carbonio da parte delle società di combustibili fossili.
Parallelamente, i peggiori trasgressori del clima devono essere tenuti a pagare le comunità locali che difendono la foresta, non come una contropartita , non come una compensazione delle emissioni di carbonio, ma come un debito climatico ed ecologico.

* Articolo apparso in lingua inglese sul sito www.Theecologist.org theecologist.org il 18 agosto 2023. La traduzione in italiano è stata curata da Giorgio Tinelli per Ecor.Network. Nathaniel Rugh e Marcel Llavero-Pasquina sono ricercatori dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Universitat Autònoma di Barcellona (ICTA-UAB) e membri del team dell’Atlante Globale della Giustizia Ambientale.