Se c’è una cosa che non si può criticare al presidente Allende è di non aver mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale, perché durante il suo governo ha attuato pienamente il suo programma. Nessuno può criticarlo per non aver trasformato il Cile in un paese socialista, nel senso più profondo del concetto, cioè il passaggio dal sistema capitalista a un modo di produzione socialista, perché non ha mai fatto questa promessa.
In termini di sociologia politica, ha sostanzialmente completato il programma di cambiamenti che caratterizza una rivoluzione democratico-borghese – così concepita nella storia dopo la Rivoluzione francese del 1789 – perché ha nazionalizzato le materie prime di base dell’industria mineraria, il sistema finanziario e le telecomunicazioni, nazionalizzando la Banca di Cile e la compagnia telefonica ITT, oltre a creare un settore economico chiamato “area sociale”. Mise fine al latifondo attraverso una Riforma Agraria che portò all’esproprio di 5,5 milioni di ettari e alla loro immediata consegna ai contadini, uno dei punti fondamentali che caratterizzano un processo democratico-borghese.
La nazionalizzazione del rame fu la misura più importante adottata dal governo di Salvador Allende:
- per aver riaffermato il diritto dei nostri paesi latinoamericani a recuperare le loro ricchezze alienate dalla classe dirigente al capitale monopolistico straniero;
- per aver dato concretezza storica, in un paese particolare della nostra America – il Cile – a uno dei punti chiave del processo di liberazione nazionale, ispirato alla concezione bolivariana e al pensiero nazional-anti-imperialista di precursori della nostra sovranità come José Martí, Eloy Alfaro, José María Vargas Vila, Manuel Ugarte, César Augusto Sandino, José Carlos Mariátegui, Salvador de la Plaza e Julio Antonio Mella;
- per aver recuperato la memoria storica di cileni che hanno saputo difendere la sovranità delle ricchezze nazionali, come Pedro Félix Vicuña, Francisco Bilbao, Santiago Arcos, José Manuel Balmaceda, Luis Emilio Recabarren, Marcial Martínez, Tancredo Pinochet Le Brun, Eugenio Matte Hurtado e Ricardo A. Latcham;
- per aver dimostrato che i governi dei paesi altamente industrializzati, come quelli dell’Europa e degli Stati Uniti, proteggono gli interessi delle imprese transnazionali, in violazione della Dichiarazione universale approvata dalle Nazioni Unite, che riconosce il diritto dei popoli all’autodeterminazione e a governarsi come liberamente scelgono;
- per aver evidenziato che le grandi potenze, in nome della loro particolare concezione della Democrazia, si arrogano il diritto di intervenire nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, direttamente con le truppe, bombardando e intaccando gravemente la stessa Dichiarazione dei Diritti Umani, o promuovendo colpi di stato militari, come è accaduto in Cile, Brasile, Paraguay, Uruguay, Argentina, Bolivia, Perù, America Centrale, Giamaica, Grenada e Guyana, così come nelle nazioni africane e asiatiche, ignorando le Costituzioni e le leggi che questi popoli hanno democraticamente approvato e legittimando lunghe dittature militari.
Nessun “passaggio al socialismo”
L’amministrazione governativa dell’Unidad Popular (UP) può essere criticata per una certa mancanza di efficienza nell’amministrazione di alcune imprese nazionalizzate, nonché per le espressioni di settarismo politico con l’opposizione e tra gli stessi partiti di sinistra, come conferma lo stesso ex segretario del PC, Luis Corvalán, nelle sue Memorie: “Il settarismo ha fatto molti danni. Il comportamento settario e arrogante prese forma in una parte di Unità Popolare”.
A ciò si aggiungono debolezze tattiche e passi inopportuni, in particolare il lancio del progetto di Educazione Nazionale Unificata (ENU) che, senza volerlo, è stato usato dall’opposizione politica come pretesto per accusare l’UP di porre fine all’educazione privata o alle scuole pubbliche, una proposta che l’ENU non ha mai fatto.
Allo stesso modo, era un pretesto sostenere che Allende fosse legato al “blocco socialista”, quando è pienamente dimostrato che proclamò il Cile come paese non allineato, insieme ai popoli del “terzo mondo”. Ancor meno, era un fantoccio dell’Unione Sovietica intento ad attuare il “comunismo”; la prova è che il Cile tra il 1970 e il 1973 non ricevette alcun aiuto economico sostanziale dai paesi cosiddetti “socialisti”, come disse lo stesso Allende in incontri privati al ritorno dal suo tour in Europa (“Ho ricevuto solo 20 milioni di marchi dal governatore della Repubblica Federale di Germania, Willy Brandt”).
Informazioni confermate in seguito, in un’intervista della giornalista Tamara Avetikian del quotidiano cileno El Mercurio del 26 settembre 1998, da un alto esponente del KGB, il generale Nikolai Leonov, ex vicedirettore dell’intelligence del Comitato di sicurezza dello stato sovietico. Lo stesso Leonov, tra l’altro, ha dichiarato al giornalista italiano de L’Unità, Giancarlo Summa, “il governo di Unità Popolare chiese 30 milioni di dollari nel 1973. Il Comitato Centrale ci chiese un parere e noi, dopo lunghe discussioni, demmo una risposta negativa”.
Non ci sono basi serie – alla luce di un’approssimazione alla verità storica – per accusare Salvador Allende di aver spazzato via lo stato borghese e il sistema capitalista, instaurando il socialismo nel senso più rigoroso del termine; obiettivi che, ad eccezione del MIR, del Frente Revolucionario e di un settore del Partito Socialista, non furono mai voluti dai partiti di governo, soprattutto dal Partito Comunista, che si limitò a realizzare la fase democratica borghese, coerentemente con la sua concezione della “rivoluzione per tappe”.
Il piano di UP, esplicitato nelle fonti dell’epoca, era quello di arrivare il più forte possibile alle elezioni presidenziali del 1976. Ogni altra speculazione politica su un presunto autogol era solo un altro dei tanti pretesti per giustificare il golpe militare.
Pertanto, le accuse rivolte al governo Allende avevano il solo scopo di creare un’atmosfera favorevole al golpe militare, che avrebbe ripristinato il vecchio e tradizionale sistema di dominio di classe praticato dai governi oligarchici del XIX e XX secolo.
La strategia di UP di utilizzare la legalità per consolidare il processo ha agito come un vero e proprio “boomerang”, poiché i partiti di opposizione si sono affidati a meccanismi legali, da loro stessi creati, per imporre paradossalmente un’uscita illegale. Mentre UP giurava fedeltà alla legalità, il Partito Nazionale e la Democrazia Cristiana usavano la mazza legale per attaccare la Costituzione e il governo eletto con la più grande maggioranza democratica della storia cilena.
Mantenendo intatta la struttura istituzionale creata dalla classe dominante (parlamento, magistratura, Corte dei conti e Forze armate), c’erano oggettivamente le condizioni per il rovesciamento del governo di UP.
In conclusione, un’analisi oggettiva dei fatti, al di là di qualsiasi approccio ideologico, ci permette di affermare che nei 1004 giorni del governo Allende furono mantenute le regole generali del sistema capitalista, pur con il completo adempimento dei compiti democratici borghesi non risolti dai precedenti presidenti della Repubblica.
Pertanto, non si è passati, in senso stretto, dal capitalismo al socialismo, comprendendo che una rivoluzione socialista significa la sostituzione della classe dirigente con la classe operaia, lo smantellamento delle istituzioni dello stato borghese, principalmente le forze armate e il parlamento.
Pertanto, era ed è sbagliato anche caratterizzare il governo di UP come una fase di “transizione al socialismo”, perché la “scienza politica” e i classici del marxismo, da Marx a Lenin e Trotsky, hanno dimostrato che il periodo di transizione inizia con la presa del potere da parte della classe operaia, insieme ad altri movimenti sociali, generando un nuovo tipo di stato, governato da organi rappresentativi dei lavoratori.
Furono adottate misure di nazionalizzazione, senza confondere la socializzazione con la nazionalizzazione delle imprese, concetti che gli analisti del governo Allende hanno spesso confuso, dove le grandi imprese furono sì nazionalizzate, ma questo non autorizza a parlare di socialismo in Cile, così come ci furono nazionalizzazioni nell’Argentina di Perón, nella Bolivia di Paz Estenssoro, nel Messico di Cárdenas, senza che questo potesse definirle in alcun modo “socialiste”.
In questo periodo sono state adottate misure di carattere socialista, come l’amministrazione delle imprese da parte dei lavoratori, la creazione di fattorie collettive, l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione nelle mani dei grandi imprenditori, permettendo ai piccoli proprietari terrieri urbani e rurali di sopravvivere.
Non ci sono precedenti di una simile transizione che culmini nell’instaurazione di una società pienamente socialista, un fenomeno che non si è verificato in nessun paese, compresi Russia, Cina, Europa orientale, Corea, Vietnam e Cuba.
Questo periodo di transizione può durare molti anni, come sono durati altri periodi di transizione nella storia, come i secoli di transizione dal modo di produzione schiavistico a quello feudale e dal modo di produzione feudale a quello capitalistico. Nessun politologo rigoroso potrebbe dimostrare con i fatti che il Cile sotto UP abbia vissuto questa fase di transizione al socialismo.
Sulla giusta strada dell’autocritica: Pedro Vuskovic
Una delle migliori valutazioni del governo dell’UP è stata fatta dall’importante ministro di Allende, l’economista Pedro Vuskovic. Nella sua opera “Politica economica e potere politico”, pubblicata nel 1976, fu uno dei pochi leader di UP che osò formulare una rigorosa autocritica, all’interno di una valutazione positiva delle misure adottate dal presidente Allende.
Egli esordisce affermando che “si sente la necessità di analisi critiche e autocritiche che nascano dalle stesse forze popolari (…) questo compito di valutazione è ancora in sospeso (…) la prima cosa che risalta nell’esperienza del Governo Popolare è il confronto tra alcuni compiti molto grandi e decisivi, che sono stati lasciati alla politica economica, e la relativa debolezza della base di appoggio politico su cui si è dovuto sviluppare”.
Vuskovic afferma che i partiti di ‘UP non compresero l’intima relazione tra gli obiettivi a lungo termine e quelli a breve termine:
“Da un lato, si mise in dubbio la necessità dell’intreccio e della simultaneità di entrambi gli obiettivi, suggerendo che essi rappresentassero la coesistenza di due politiche diverse. Una ‘riformista’, che enfatizzava gli obiettivi di stabilità, redistribuzione e innalzamento del tenore di vita materiale; l’altra ‘rivoluzionaria’, di espropriazione della borghesia e di avvio di trasformazioni socialiste. Dall’altro lato, si considerava fondamentale l’apporto politico rappresentato dalla politica economica a breve termine, i cui risultati immediati erano visti come un sostegno da non rischiare in una rapida avanzata delle espropriazioni e dell’area sociale, che avrebbe potuto deteriorare le possibilità di neutralizzare e acquisire maggiore forza nella piccola borghesia; di conseguenza, quest’ultima tendeva a essere frenata (…). Come per altri aspetti, le differenze di comprensione politica del processo all’interno dell’UP ostacolarono una decisione politica definitiva e la conduzione della politica economica oscillò erraticamente tra le due opzioni”.
Attore e testimone dei dibattiti ministeriali, Vuskovic sottolinea con franchezza che UP non fu in grado di agire rapidamente di fronte alla chiusa opposizione borghese:
“L’intero processo era inevitabilmente destinato a svolgersi nel quadro di un crescente inasprimento della lotta di classe e del confronto con l’imperialismo. Questo era il fatto centrale a cui la leadership politica doveva rispondere ai suoi vari livelli e, naturalmente, al livello più ristretto della politica economica. In questo senso, se fosse stata presa con le dovute conseguenze, la preparazione a questo inevitabile confronto avrebbe dovuto e potuto esprimersi in una varietà di aspetti: nella rapidità con cui vennero intaccate le basi di appoggio della borghesia, nel grado di riorientamento dei legami economici esterni, in una varietà di decisioni sulla formazione e sulla gestione dell’Area della Proprietà Sociale, e persino in un uso più cauto delle riserve in previsione dell’accerchiamento finanziario cui l’imperialismo avrebbe teso”.
Per quanto riguarda la partecipazione popolare e il ruolo dei Cordones Industriales, afferma che all’interno dei partiti dell’UP c’erano idee contrastanti:
“Le assemblee settoriali dei lavoratori arrivarono a rappresentare un potere reale, ma non furono né formalmente riconosciute né stimolate e sostenute dalla struttura amministrativa e dalla direzione politica, poiché le discrepanze interne nella concezione della politica di massa si riprodussero anche in questo senso. Ciò era tanto più vero quando si trattava di iniziative che andavano oltre la sfera della produzione per diventare espressioni più generali del potere in senso lato, come nel caso dei Comandos Comunales e dei Cordones Industriale (…) L’accesso alla partecipazione era relativamente ampio nelle imprese dell’area sociale, ma molto limitato nelle imprese dell’area privata, dove veniva incoraggiata solo la costituzione di ‘comitati di vigilanza’ con scarso potere, alla cui formazione e incoraggiamento veniva dedicata in pratica pochissima attenzione”.
Vuskovic è trasparente nel sottolineare che all’interno dell’UP
“c’erano discrepanze tra concezioni che attribuivano maggiore importanza a una politica di massa piuttosto che a una politica di alleanze, discrepanze che di fatto si risolvevano generalmente a favore di quest’ultima (…) La politica di alleanze (con settori del centro) sacrificava lo sviluppo di una politica di massa (…) Il potenziale di mobilitazione di massa e la gestazione e lo sviluppo di nuove forme di potere popolare non erano sufficientemente percepiti”.
Questo testo è un estratto del capitolo “El gobierno de Salvador Allende”, scritto da Luis Vitale e inserito nel libro “Para recuperar la memoria histórica. Frei Allende y Pinochet” (Ediciones ChileAmérica – CESOC, Santiago del Cile, luglio 1999), opera collettiva di Luis Vitale, Luis Moulian, Luis Cruz, Sandra Palestro, Octavio Avendaño, Verónica Salas e Gonzalo Piwonka. Luis Vitale (1927-2010), nato in Argentina, è stato storico, intellettuale marxista di riferimento, noto militante della sinistra socialista rivoluzionaria cilena, autore di numerosi libri e saggi sulla storia politica e sociale del Cile e dell’America Latina.