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Negli ultimi giorni, la piccola isola siciliana di Lampedusa ha visto sbarcare sul suo territorio più migranti che abitanti. E come in ognuno di questi episodi di emergenza migratoria in Europa, i rappresentanti politici sono impegnati in una crociata: per aumentare il loro capitale elettorale, usano una retorica bellicosa, mentre si susseguono gli annunci di chiusura delle frontiere. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, questa è l’occasione per superare a destra i potenziali rivali.

Al di là del cinismo dell’opportunismo politico, cosa ci dice l’episodio di Lampedusa? Ancora una volta, che le politiche migratorie messe in atto dagli stati europei negli ultimi trent’anni, e accelerate dal 2015, hanno contribuito a creare le condizioni per una tragedia umanitaria. Abbiamo chiuso le vie legali di accesso all’Europa, costringendo milioni di esuli a prendere la pericolosa via del mare. Abbiamo permesso ai vari governi italiani di criminalizzare le ONG che soccorrono le imbarcazioni in difficoltà, aumentando la mortale pericolosità della traversata in mare. Abbiamo collaborato con governi che non rispettano i diritti dei migranti: primo fra tutti la Libia, che abbiamo armato e finanziato per rinchiudere e violentare le popolazioni migranti al fine di impedire loro di raggiungere l’Europa.

L’episodio di Lampedusa non è quindi solo una tragedia umana: è anche il sintomo di una politica migratoria miope che non capisce che sta contribuendo a creare le condizioni che vorrebbe evitare, rafforzando l’instabilità e la violenza nelle regioni di partenza o di transito, e arricchendo le reti criminali che trafficano in esseri umani che dice di combattere.


Una crisi di accoglienza, non una crisi migratoria

Cominciamo con quello che potremmo definire l’effetto hotspot. Negli ultimi mesi si è registrato un aumento significativo delle traversate del Mediterraneo centrale verso l’Italia, tanto che il 2023 potrebbe, se la tendenza continua, essere alla pari con il 2016 e il 2017, che hanno battuto i record in termini di attraversamenti in quest’area. È ovviamente questo aumento delle partenze che ha portato all’attuale sovraffollamento di Lampedusa e alla situazione di crisi a cui stiamo assistendo.

Ma, in realtà, Lampedusa ha vissuto un’emergenza dopo l’altra da quando, all’inizio degli anni 2000, l’isola è diventata il principale punto di approdo dei migranti nel Canale di Sicilia. Intercettarli e confinarli nell’hotspot di questa minuscola isola di 20 km² aumenta la visibilità del fenomeno, creando un effetto di emergenza e invasione che giustifica una gestione disumana degli arrivi. Era già successo nel 2011, all’epoca della Primavera araba, quando in pochi mesi sbarcarono qui più di 60’000 persone. Il governo italiano ha bloccato i trasferimenti verso la Sicilia, creando deliberatamente una situazione di sovraffollamento e crisi umanitaria. Le immagini del centro sovraffollato, dei migranti esausti che dormono per strada e che protestano contro questa accoglienza indegna sono state ampiamente riportate dai media. Tutto ciò ha permesso al governo italiano di introdurre l’ennesimo stato di emergenza e di legittimare nuove politiche repressive.

Se guardiamo agli hotspot europei, possiamo vedere che queste situazioni si ripetono e che la concentrazione in pochi punti strategici, di solito isole dell’Europa meridionale, ha fallito. L’effetto Lampedusa è lo stesso dell’effetto Chios o dell’effetto Moria (su Lesbo): per le loro dimensioni ridotte, queste isole di confine presentano da sole tutte le caratteristiche di una gestione disumana e inefficace della migrazione. Concepita nel 2015 a livello europeo ma applicata da tempo in alcuni paesi, questa politica non ha portato a una gestione più razionale del flusso di arrivi. Al contrario, ha imposto un enorme onere umano e finanziario a piccole aree periferiche. Persone traumatizzate, sopravvissuti e sempre più spesso bambini piccoli vengono accolti in condizioni spaventose. Si tratta di una crisi di accoglienza, non di una crisi migratoria, come molti hanno già dimostrato.

Cambiare paradigma


Un’altra miopia europea è credere di poter arginare il flusso di migranti lavorando con i paesi di transito e di partenza. A parte la vulnerabilità che questa politica crea nei confronti di stati che possono usare il ricatto migratorio in qualsiasi momento – cosa che Gheddafi ed Erdogan non hanno evitato di fare – essa crea le condizioni stesse per la partenza delle persone in questione. L’esternalizzazione peggiora la situazione dei migranti in questi paesi, compresi quelli che vorrebbero restare. Aumentando la criminalizzazione della migrazione, l’esternalizzazione rafforza il loro desiderio di fuggire. Da anni i migranti fuggono dalle prigioni e dalle torture libiche e, negli ultimi mesi, dalle violenze di un governo tunisino in preda a una svolta autoritaria che li rende capri espiatori. L’accordo tra UE e Tunisia, l’ennesimo del genere, che condiziona gli aiuti finanziari alla lotta all’immigrazione, rafforza questa dinamica, con i tragici episodi di quest’estate al confine tra Tunisia e Libia.

Lampedusa ci insegna che è necessario un cambiamento di paradigma, dato che le soluzioni proposte dagli stati europei (esternalizzazione, deterrenza, criminalizzazione dell’immigrazione e dei suoi sostenitori) si sono dimostrate inefficaci nel migliore dei casi, e letali nel peggiore. In particolare, contribuiscono a radicare regimi autoritari e pratiche violente nei confronti dei migranti. E a trasformare gli esseri umani in soggetti umanitari.

*articolo apparso sul quotidiano francese Libération il 17 settembre 2023. Marie Bassi insegna all’ Università della Costa Azzurra; Camille Schmoll è ricercatrice all’Institut convergences migrations, Unité mixte de recherche Géographie cités (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales-EHESS)