Tempo di lettura: 4 minuti

È un giorno terribile. Dopo esserci svegliati al suono delle sirene d’allarme innescate da un diluvio di centinaia di razzi lanciati contro le città israeliane, abbiamo appreso dell’assalto senza precedenti dei militanti palestinesi di Gaza contro le città israeliane confinanti con la Striscia di Gaza.

Le notizie che giungono [questa mattina di sabato 7 ottobre] sono che almeno 40 israeliani sono stati uccisi e centinaia feriti, e che sono state rapite persone nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già iniziato la propria offensiva contro la Striscia di Gaza, con truppe mobilitate lungo la barriera e attacchi aerei che finora hanno ucciso e ferito decine di palestinesi. Il terrore di vedere combattenti armati nelle strade e nelle case, o di avvistare jet da combattimento e carri armati, è inimmaginabile. Gli attacchi ai civili sono crimini di guerra e il mio cuore va alle vittime e alle loro famiglie.

Contrariamente a quanto dicono molti israeliani – e nonostante il fatto che l’esercito sia stato chiaramente colto di sorpresa da questa invasione – non si è trattato di un attacco “unilaterale” o “non provocato”. L’orrore che gli israeliani, me compreso, stanno provando in questo momento è solo una minima parte di quello che i palestinesi provano ogni giorno sotto il decennale regime militare in Cisgiordania e il ripetuto assedio e assalto a Gaza [2009, luglio-agosto 2014, maggio 2021, agosto 2022, maggio 2023]. Le risposte che sentiamo oggi da parte di molti israeliani – che chiedono che Gaza venga “rasa al suolo”, che dicono che “sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “uccidono intere famiglie”, “non c’è possibilità di parlare con loro” – sono esattamente quelle che ho sentito innumerevoli volte dai Palestinesi sotto occupazione nei confronti degli israeliani.

L’attacco di questa mattina si inserisce anche in un contesto più recente. Uno di questi è l’imminente orizzonte di un accordo di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. Per anni, il Primo Ministro Benyamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i Palestinesi o fare concessioni. Gli accordi di Abraham [1] hanno privato i palestinesi di uno dei loro ultimi assi nella manica negoziale e delle loro ultime basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, anche se questa solidarietà è stata a lungo messa in dubbio. L’alta probabilità di perdere il più importante di questi Stati arabi [l’Arabia Saudita] potrebbe aver contribuito a spingere Hamas sull’orlo del baratro.

I commentatori hanno avvertito per settimane che le recenti offensive [da parte dei coloni sostenuti dall’esercito israeliano] nella Cisgiordania occupata stavano portando su una strada pericolosa. Nell’ultimo anno, sono stati uccisi più palestinesi e israeliani che in qualsiasi altro anno dalla seconda Intifada nei primi anni 2000 (da settembre 2000 a febbraio 2005). L’esercito israeliano effettua regolarmente incursioni nelle città e nei campi profughi palestinesi. Il governo di estrema destra lascia ai coloni la libertà di creare nuovi avamposti illegali e di lanciare pogrom nelle città e nei villaggi palestinesi, con i soldati che scortano i coloni e uccidono o mutilano i palestinesi che cercano di difendere le loro case. Durante le principali celebrazioni [Rosh Hashanah, Yom Kippur, Sukkot, settembre-ottobre], gli ebrei estremisti hanno sfidato lo status quo intorno al Monte del Tempio e alla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, con il sostegno di leader politici che condividono la loro ideologia.

A Gaza, intanto, l’assedio in corso distrugge continuamente la vita di oltre due milioni di Palestinesi, molti dei quali vivono in estrema povertà, con scarso accesso all’acqua potabile e circa quattro ore di elettricità al giorno. Non c’è una fine ufficiale a questo assedio; persino un rapporto del Controllore di Stato israeliano ha rilevato che il governo non ha mai discusso soluzioni a lungo termine per porre fine al blocco, né ha mai preso seriamente in considerazione opzioni diverse dai ricorrenti cicli di guerra e morte. Questa è letteralmente l’unica opzione offerta da questo governo e dai suoi predecessori.

Le uniche risposte che i governi israeliani che si sono succeduti hanno dato al problema degli attacchi palestinesi da Gaza sono state sotto forma di protesi: se arrivano da terra, costruiremo un muro; se arrivano attraverso i tunnel, costruiremo una barriera sotterranea; se lanciano razzi, installeremo dispositivi di intercettazione [Iron Dome]; se uccidono alcuni dei nostri, ne uccideremo molti altri. E così via.

Queste considerazioni non intendono giustificare l’uccisione di civili – che è assolutamente inaccettabile. Piuttosto, vogliono ricordarci che c’è una ragione per tutto ciò che sta accadendo oggi e che, come in tutti i cicli precedenti, non esiste una soluzione militare al problema di Israele a Gaza, né alla resistenza che emerge naturalmente in risposta all’apartheid violento.

Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato per la “democrazia e l’uguaglianza” in tutto il Paese, molti dei quali hanno persino dichiarato di voler rifiutare il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di questo governo. Ciò che questi manifestanti e soldati di riserva devono capire – soprattutto oggi, quando molti di loro hanno annunciato che cesseranno le loro manifestazioni e parteciperanno alla guerra contro Gaza – è che i palestinesi lottano da decenni per queste e altre richieste, di fronte a un Israele che, per loro, è già, ed è sempre stato, completamente autoritario.

Mentre scrivo queste parole, sono seduto a casa a Tel Aviv, cercando di capire come proteggere la mia famiglia in una casa senza rifugio o stanza sicura, seguendo con crescente panico le notizie e le voci di eventi orribili che si verificano nelle città israeliane vicine a Gaza che sono sotto attacco. Vedo persone, alcune delle quali miei amici, che invitano sui social media ad attaccare Gaza con più violenza che mai. Alcuni israeliani dicono che è arrivato il momento di sradicare completamente Gaza, invocando il genocidio. In mezzo a tutte le esplosioni, il terrore e lo spargimento di sangue, parlare di soluzioni pacifiche sembra loro una follia.

Eppure ricordo che tutto ciò che provo in questo momento, e che ogni israeliano deve condividere, è l’esperienza di milioni di Palestinesi da troppo tempo. L’unica soluzione, come è sempre stato, è porre fine all’apartheid, all’occupazione e al blocco, e promuovere un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutti noi. Non è nonostante l’orrore che dobbiamo cambiare rotta, ma proprio a causa di esso.

*Haggai Matar è caporedattore della rivista +972. Articolo pubblicato sul sito web israeliano +972 il 7 ottobre 2023. Una versione in francese (dalla quale prende le mosse la traduzione in italiano) è apparso sul sito www.alencontre.org